La legge 120/2011 viene indicata anche come legge Golfo-Mosca dal nome delle due deputate – Lella Golfo del PdL e Alessia Mosca del PD – che l’hanno presentata all’attenzione deliberativa del Parlamento [la legge è stata approvata il 12 luglio 2011].
Si tratta di una legge importante perché introduce l’obbligo di equilibrare le rappresentanze di genere negli organi di governo e di controllo – consigli di amministrazione e collegi sindacali – delle società quotate [quindi poche – 300 circa – ma grandi, rispetto alla quantità di micro, piccole e medie imprese che costituiscono la maggioranza delle imprese italiane, a cui certo vanno aggiunte le circa 6.500 tra controllate e partecipate pubbliche].
Quote di genere, di fatto quote rosa… La legge stabilisce infatti che ci deve essere equilibrio di genere fra amministratori delle società quotate: “Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio deve essere applicato per tre mandati consecutivi (articolo 1, comma 1) e per organi con più di tre componenti. E su questo vincolo la Consob è chiamata a indirizzare, a vigilare, e a sanzionare le inadempienze.
[Il sito della Consob però non è agevolmente navigabile. (Evvabbe’)]
Inoltre non solo il genere meno rappresentato (le donne) deve entrare negli organi di governo, ma pure nei collegi sindacali (articolo 1, comma 3).
La legge – recita l’articolo 2 [e le cose si fanno meno urgenti e rivoluzionarie] – si applica dal primo rinnovo che interviene dopo un anno dall’entrata in vigore della legge (e quindi possono teoricamente passare quasi quattro anni prima che una donna sieda in CdA), stabilendo che per il primo mandando di rispetto della legge il genere meno rappresentato (le donne) abbia “una quota pari almeno a un quinto degli amministratori e dei sindaci eletti”.
[Provo a riformulare l’articolo 2 con parole mie: “La legge entra in vigore dopo un anno dalla approvazione e per il primo rinnovo degli organi di governo o di controllo, amministratori o sindaci devono essere almeno un quinto”. (Si potrebbe fare ancora meglio, ma per questa volta non voglio infierire)]
La legge Golfo-Mosca poi fa un altro bel passo avanti. Con l’articolo 3 (comma 1) stabilisce che “le disposizioni della presente legge si applicano anche alle società controllate direttamente o indirettamente da pubbliche amministrazioni”, rimandando (comma 2) a un regolamento, da definirsi entro due mesi, il compito di definire termini e modalità di attuazione dell’articolo che estende le quote. Passano i mesi, ne passano tredici, e il 3 agosto 2012 il Consiglio dei Ministri approva uno schema di regolamento che, di fatto, ricalca la legge:
Un bel passo, non c’è che dire, ma incontro due difficoltà: la prima a scaricare il testo completo della bozza di regolamento dal sito del Governo, la seconda a comprendere quando lo schema di Decreto del Presidente della Repubblica entrerà definitivamente in vigore [su questo punto chiedo aiuto ai/lle giuristi/e]. Quello che comprendo è che la volontà politica è sufficientemente chiara, mentre gli atti formali sono in corso d’opera.
Questa legge ha un valore pratico e un valore simbolico.
Di fatto impone che nei luoghi decisionali si faccia spazio alle donne.
Gli effetti potrebbero essere quelli di portare competenze ed esperienze nei consigli di amministrazione di società importanti per dimensioni, volume d’affari, patrimoni, e di far diventare questa configurazione di governance un riferimento nel mercato.
Inoltre (ma si tratta di un effetto collaterale) potrebbero diminuire le presenze incrociate nei consigli di amministrazione [anche solo di un po’ e sarebbe un passo avanti].
Come si vede la mia è una visione fiduciosa.
So bene che le cose sono complesse e non mi nascondo il rischio che si ampli la platea dei soggetti che decidono, ma che in sostanza il potere rimanga nelle mani di un’élite (composta da uomini e da donne, mogli o compagne di…, figlie di…, cugine, zie, parenti alla lontana di…).
Eppure confido che questo cambiamento sia un segnale per dare spazio alle donne, per dare più spazio a tutti/e. Ad esempio in altri settori economici che non facciano parte di mercati regolati, ad esempio i mondi della cooperazione non solo sociale, o, perché no, della politica… in fondo i consigli comunali in Italia sono più di ottomila.
In un certo senso confido che questa legge abbia anche un valore simbolico e culturale: il potere conviene sia distribuito piuttosto che concentrato, la varietà e la rotazione nei luoghi dove vengono prese le decisioni produce effetti positivi, che sopravanzano di gran lunga il rischio di dispersività.
Mi sembra di notare anche, in diverse occasioni, che il Paese è già avanti. In molti campi le donne occupano posizioni di responsabilità, ma i segnali vanno consolidati, diffusi, formalmente riconosciuti, ribaditi.
E forse questa legge potrebbe avere il valore di far traboccare il vaso, di indurre al ripensamento e all’azione [moral suasion? O emulazione piuttosto?].
Il sindacato potrebbe tenerne conto, e così i partiti.
E poi, a seguire, le imprese e le organizzazioni dove molto spesso le donne occupano sì posizioni di responsabilità, ma non occupano posizioni apicali.
Questa mattina, chiudendo un incontro di consulenza-formazione organizzativa, una collega ha citato un proverbio che riprendo perché mi aiuta a sintetizzare quello che penso: «Pietre che rotolano non fanno muschio». Quindi, per quel che vale, il mio punto di vista è che questa legge ha un senso perché indica una prospettiva.
Ciao Maria Teresa,
grazie!
Ci sono un sacco di pietre da far rotolare (e qualcuna che ci rotola addosso;-)
Metto nell’elenco dei libri da comprare.
A presto,
Graziano:-)
… a proposito di donne ai posti di comando (e del perché spesso non ce la facciano o nemmeno ci provino), trovo azzeccato e interessante il libro di Chiara Lupi “Ci vorrebbe una moglie – Ostacoli sulla via delle carriere femminili e altri piacevoli impedimenti”, ed.ESTE. Secondo me qualche pietra andrebbe fatta rotolare anche lì ;-)