Se le cose non sono nominabili sono difficili da considerare.
Se i fenomeni non si possono circoscrivere è arduo ragionarci.
Se i prodotti non hanno un nome è impossibile venderli.
Per la verità la posizione di Wittgenstein è ancora più radicale. La settima asserzione del Tractatus logico-philosophicus non sembra ammettere vie d’uscita:
7. Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere.
Questa premessa giustifica in parte l’uso della metafora meccanicistica presentata nel post Ma-esattamente-che-lavoro-fai? scritto per (provare a) descrivere il lavoro di consulente delle organizzazioni. Poi preparando l’esame di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni di venerdì 21 giugno 2013, ho trovato un passo di Richard Sennett che sembra scritto per me. Ne seleziono alcuni stralci qui di seguito:
… Il presente capitolo sarà dedicato all’esplorazione di quella speranza. Cercherò di mostrare come il lavoro fisico può instillare nelle persone un comportamento sociale di tipo dialogico.
Le abilità tecniche sono principalmente di due tipi: quelle che servono per fabbricare le cose e quelle che servono per ripararle. Delle due attività la prima può apparire più creativa, mentre la seconda sembra meno importante, un lavoro effettuato a cose fatte, appunto. In realtà le differenze non sono così grandi. Di solito lo scrittore creativo deve anche fare la revisione, correggere, aggiustare le prime stesure; e non di rado, nel riparare un guasto, al tecnico vengono nuove idee sul funzionamento o la costruzione di quell’apparecchio o impianto.
L’artigiano che diventa bravo a fabbricare le cose acquista abilità fisiche utili per la vita sociale. Il processo avviene nel suo corpo; per evidenziare il nesso esistente tra il fisico e il sociale, in gergo parliamo, con un brutto termine, di embodiment, incorporazione dell’esperienza. In questo capitolo, ne analizzeremo tre dimensioni: come il ritmo del lavoro fisico prende corpo nel rituale; come i gesti corporei animano le relazioni sociali informali; come il lavoro dell’artigiano attraverso la resistenza fisica getta luce sui modi di gestire le resistenze e le differenze sociali. Mi rendo conto che, espressi in questo modo, tali nessi sembreranno astratti; cercherò dunque di dare loro concretezza.
Il tema della riparazione riguarda anche il mondo al di fuori del laboratorio, proprio perché la società odierna ha un bisogno urgente di essere riparata. Ma il lavoro di riparazione è una faccenda complicata; esistono metodi diversi e spesso confliggenti per riparare i guasti e le diverse strategie portano in direzioni sociali tra loro contrastanti. Se vogliamo assumere il modello del laboratorio come guida al cambiamento, dobbiamo, una volta di più, immergerci nel lavoro concreto di chi le riparazioni le effettua.
[…] Le abilità fisiche usate nel fabbricare e nell’aggiustare gli oggetti ci forniscono semplicemente degli spunti per comprendere meglio le relazioni sociali.
pp. 219-220 Richard Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, 2012 (2012).
Chi l’ha detto che fare consulenza non sia un lavoro fisico?
E che non richieda di intervenire per costruire e per riparare?
Vero Rossella.
L’idea di riparazione meccanica può essere fuorviante.
Però c’è un aspetto che mi fa pensare.
A volte della parti usate possono ritrovare funzionalità in sistemi diversi.
L’idea rimane a rischio di semplificazione: riparazione mediante sostituzione, ma introduce l’idea di riuso di ciò che apparentemente non serviva più.
Che pensieri immaginativi ci vogliono per immaginare soluzioni riparative?
;-)
Quello con cui ci confronta ogni giorno, come professionisti e come esseri umani è che “il lavoro di riparazione è una faccenda complicata; esistono metodi diversi e spesso confliggenti per riparare i guasti e le diverse strategie portano in direzioni sociali tra loro contrastanti.”.
Mi pare che anche i tempi della riparazione siano un’ingannevole questione.. spesso ci si attende dalla riparazione un’immediata visibilità che rischi di indurre in una “sostituzione di pezzi” con il rischio di generare sprechi sociali ed economici… forse di questi tempi dobbiamo pensare ad una cura della riparazione che valorizzi ciò che c’è (persone, competenze, culture, risorse..) orientandosi ad una misurazione degli esiti meno frettolosa e più competente, anche socialmente.
Sennett è sempre una bella lettura.. i questi giorni sono anche io in sua compagnia sullo stesso libro!
Rossella E.