Traduco il paragrafo conclusivo dell’articolo di Annie Charlotte Giust-Ollivier, ‘Lo psicosociologo di fronte alle poste in gioco della responsabilità’ pubblicato su La Nouvelle Revue de Psychosociologie, 2/2006, pp. 47-58.
Chiarisco subito che non mi convince la professionalizzazione di un approccio, di un orientamento di ricerca. Dal pensare la prospettiva psicosociologica come un campo di connessioni interdisciplinari allo ‘psicosociologo’ il passo non è breve. E segnala un processo di istituzionalizzazione in corso, la ricerca di riconoscimento e di legittimazione attraverso l’introduzione della nominazione di una professione definita.
Tuttavia vi sono spunti per provare a chiarire quali aspetti caratterizzano, segnano, attivano questo orientamento che collega teoria e pratiche, problemi e azioni, ricerca e intervento.
Le domande dei professionisti rivolte allo psicosociologo sono sempre determinate contemporaneamente da poste in gioco sociali, politiche, cuturali, economiche, e dalla soggettività coinvolta. Benché, nell’attualità dei problemi posti, siamo indotti a privilegiare certi registri a scapito di altri, è allo stesso tempo necessario rinunciare alle abituali categorie dei discorsi, quelle della causalità lineare o determinista. L’avvenimento all’origine della domanda, al quale ci si riferisce è allo stesso tempo interno ed esterno. I significati sociali hanno le loro risonanze soggettivi come i conflitti soggettivi e intersoggettivi producono effetti sociali. È a questa connessione che apre lo psicosociologo, in questo indecidibile dove i discorsi, le rappresentazioni, gli affetti, attualizzati nei dispositivi d’intervento, sono suscettibili di rivelare il senso che prendono gli avvenimenti per gli individui e i gruppi che li vivono. Alla questione di sapere se, così facendo, o psicosociologo sta psicologizzando il sociale o sociologizza la dimensione psicologica, costretti a scegliere una lettura imperniata sui processi soggettivi o una lettura che privilegia i processi socioeconomici e politici, rispondiamo che la sua responsabilità è di essere sul fronte di questa complessità, che si lascia ascoltare nei discorsi che gli sono rivolti. La sua attenzione è rivolta a questa negoziazione sempre ripresa, non risolta, che mostra all’opera questi dialoghi che si annodano nelle strutture, nelle significazioni, nelle logiche sociali, culturali, politiche e dei soggetti alle prese con conflitti che attestano la loro singolarità. Egli cerca, con gli attori che lo sollecitano di ‘sforzarsi di realizzare la possibilità di socialità’ (Arend, Teoria del giudizio politico).”
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