In genere viene agevole citare Platone (gli spunti sono sovrabbondanti). Nello specifico, alleggerendo l’aurea sapienziale si potrebbe dire: le conoscenze sono cambiamento: se non facciamo spazio a nuove conoscenze – lasciando andare le vecchie – non si creano le condizioni per generarne di nuove. Ma come lasciare andare le vecchie conoscenze? Solo dimenticandole o facendo (finalmente) piazza pulita? O piuttosto attivando modalità di studio (che per come ce ne parla Platone), sembrano essere attività intenzionalmente riorganizzanti.
«Ma ancor più sorprendente è che anche le conoscenze non solo alcune nascono e altre svaniscono, e anche noi non siamo mai gli stessi neppure sul piano delle conoscenze, ma anche ad ogni singola conoscenza accade la medesima cosa. Infatti ciò che chiamiamo studiare ha luogo in quanto la conoscenza se ne va: la dimenticanza è esodo di una conoscenza, mentre lo studio, riproducendo in noi un nuovo ricordo al posto di quello che se ne è andato, conserva la conoscenza così che sembri la stessa. È in questo modo, infatti che si conserva tutto ciò che è mortale, non con l’essere assolutamente identico come il divino, ma lasciando al posto di ciò che invecchia e se ne va, qualcos’altro di nuovo e di simile.»
Platone, Simposio, 207c-208a.
Nella formazione (e nei processi di innovazione) l’apprendimento individuale e l’apprendimento organizzativo rimangono due questioni aperte.
Non sembra efficace riproporre agli adulti il modello dell’istruzione scolastica: esclusivamente asimmetrica, frontale e trasmissiva (per la verità si cerca di non eccedere neppure nelle scuole dell’obbligo). Gli adulti infatti apprendono collegando, scomponendo, attingendo a saperi in relazione alle loro esigenze, alle loro esperienze. Rielaborando. Come costruire allora occasioni di riflessione e di sviluppo di nuove conoscenze individuali che tengano conto di queste esigenze/propensioni?
E come apprendono le organizzazioni? Come intuizioni, attese, proposte e prospettive di individui e di gruppi entrano a far parte del capitale di conoscenze e opportunità di cui le organizzazioni possono disporre?
Riprendendo Platone (alla buona e senza soggezione) studiare è un modo per rinnovare le conoscenze. Platone sembra stupirsi e quasi dover giustificare il fenomeno del rimescolamento e del superamento delle conoscenze. Noi (di norma) ci stupiamo un po’ meno. O meglio asseriamo spesso di non (voler) essere conservatori.
Vengo al punto (come si conviene in un post) e faccio una proposta (alla buona e senza soggezioni) che vorrebbe ad un tempo rispondere all’esigenza sia di sostenere gli individui interessati a costruire nuove conoscenze (anche riaggregando saperi), sia di coinvolgere le organizzazioni inducendole a riconoscere in avvio i processi di rinnovamento e a servirsi degli esiti di tali approcci.
Sarebbero utili gruppi di lettura e di scrittura, laboratori orientati a leggere le pratiche e le loro relazioni con i mutamenti dei contesti in cui queste pratiche si svolgono, gruppi di osservazionie e riconsiderazione delle proprie rappresentazioni (sistemi di conoscenze molto resistenti alla messa in discussione, gomitoli di conoscenze non facilmente scomponibili e rimetabolizzabili).
Gruppi che consentano la lettura e la scrittura: due dispositivi, due possibilità essenziali per sviluppare nuove proposte.
Gruppi con compiti attivi, di ricerca, di sviluppo di proposte e di sperimentazioni. Non solo e necessariamente intraorganizzativi, ma anche interorganizzativi.
Gruppi che aprano varchi fra territori, appartenenze e saperi forti, gruppi che facciano incontrare prospettive e paradigmi diversi, proposte ed esperienze sviluppate in settori anche non immediatamente riconducibili ai campi di azione conosciuti.
Gruppi con compiti di scrittura (attività eminentemente) costruttiva, che lascia tracce dentro di sé e ha la possibilità di veicolare conoscenze, idee, apprendimenti e ipotesi nelle organizzazioni e nelle reti a cui le organizzazioni partecipano, offrendo qualche maggiore occasione di ascolto e di ricezione.
La proposta è quindi piuttosto basic: sperimentare circoli di studio, con compiti di lettura, sviluppo di proposte, documentazione. Spazi di contatto, confronto, riflessività. Circoli che intrecciano differenze, e assumono l’impegno di coinvolgere nel rinnovamento delle conoscenze punti di vista ‘stranieri’ (riducendo la separazione fra chi fornisce saperi e chi li assorbe). Gruppi più simili a laboratori che hanno compiti di collegare la conoscenza e l’azione, promuovere progetti o prototipi. Gruppi più simili ad alcune proposte di formazione attiva che vanno facendosi largo.
PS
Il ‘mortale’ a cui Platone allude contrapponendolo al divino potrebbe essere inteso in una doppia accezione: che cose costruite dai mortali, le cose destinata a morire. Quello che spesso le organizzazioni realizzano ha una valore nell’arco di un tempo dato, poi la rispondenza, l’efficacia, l’utilità sembra diminuire, a volte fino a perdersi (almeno in quella forma, secondo quei determinati canoni). Fare spazio a conoscenze nuove potrebbe consentire di conservare quella scintilla di divino (quale che sia il significato che vogliamo attribuire al termine) che è riposta in alcune delle attività alle quali ci applichiamo.
Io credo non ci sia bisogno di spazio per le nuove conoscenze, perchè non possono essere messe da parte, possono solo evolvere, crescere. Se non esistessero le esperienze e conoscenze “passate”, sarebbe come ricominciare da capo ogni giorno. ( Eh, lo so, a volte non sarebbe proprio male!)
Credo piuttosto che la cosa più difficile per qualcuno sia trovare la voglia (o la capacità?) di andare più in là, di crescere, non tanto professionalmente quanto umanamente.
Innovare: conoscere cose nuove o in modo nuovo?
Entrare in contatto con nuove conoscenze, fare nuovi incontri (previsti e imprevisti), considerare il punto di vista degli altri, esserne turbati, affascinati, respinti e poi ancora attratti, riconsiderare il proprio modo di pensare… apprendere cambia la nostra visione delle cose.
A volte, non sempre, sentiamo che il nostro modo di entrare in conttatto con il mondo non è adeguato, efficace, sensibile quanto servirebbe. A quel punto non è solo cioè che sappiamo o che vediamo che deve essere riconsiderato ma noi con le nostre categorie di lettura. Apprendere ci cambia e – più o meno consapevolmente – può indurci ad innovare il nostro modo di conoscere e di apprendere.
Platone era uno dei maestri dell’ARTE: quando parlava di mortale e divino aveva le sue buonissime ragioni. Ma questo è un altro discorso molto molto lungo.
Conoscenza e coscienza sono due binari paralleli le cui traversine sono costituite dall’esperienza. L’avanzamento del coscienza avviene per espansioni e contrazioni del SE, che passano per periodi di EROS (desiderio di maggiore consapevolezza) e THANATOS (disassemblamento, assimilazione). Ogni volta che acquisiamo nuova conoscenza essa viene interiorizzata e tramite l’esperienza viene penetrata.
Come dicevano gli antichi: se vuoi capire un cavallo devi essere un cavallo.
Ogni volta che abbiamo interiorizzato una nuova conoscenza ecco che incominciamo a vedere il mondo con occhi differenti. Le lenti distorcenti costituite dalle submodalità di percezione vengono modificate ed adattate a recepire informazioni relative al nuovo livello di consapevolezza raggiunto.
L’avanzamento nella consapevolezza è una salita verso la perfezione umana, come rappresentato nel vecchio testamento con la scala di Giacobbe.
L’importanza degli armadi…
La frase che più mi ha colpito è “fare spazio a conoscenze nuove”. Non è infatti scontato che in una organizzazione si preveda coscientemente ed efficacemente questo spazio. Spesso questo spazio è occupato da più o meno velate lotte intestine per la conquista di qualcosa (potere? visibilità? autonomia? successi?). Fare spazio dentro l’organizzazione, coinvolgendo in tale mossa i suoi membri, senza che qualcuno si senta messo da parte, si può fare, a patto ci siano ampi e ordinati armadi dove riporre le vecchie conoscenze (archivi, dati, insuccessi, successi, contatti…), sempre utili alla bisogna.. Spazio nuovo dunque, ma non buttate quello vecchio, archiviatelo! Un caro saluto!