Uno studente mi ha contattato per ragionare della sua tesi di master. Intende studiare la cooperazione sociale di tipo b, quel settore del vasto mondo cooperativo che ha come finalità l’integrazione sociale, l’inserimento e la transizione al lavoro di persone in difficoltà.
Le questioni affrontabili sono diverse. Ho dato una prima risposta e ho preso tempo. Con questo post chiedo una mano nel precisare aree di ricerca e di approfondimento.
Riporto di seguito le prime ipotesi che mi sono venute in mente…
1.
Un classico, che vale sempre la pena esplorare, è il senso del lavoro nell’ambito delle cooperative sociali di tipo b (l’etica del lavoro). La nostra cultura attribuisce significati fondamentali al lavoro. A partire dal primo articolo della Costituzione Italiana. E sottace, come è giusto, (ma poi le ambivalenze fanno capolino) attribuzioni meno edificanti. Di lavoro parla anche la Bibbia: il lavoro è espiazione per una colpa radicale: avere mangiato dell’albero della conoscenza (o giù di lì, confido che la memoria mi sostenga).
Il punto è provare ad identificare le (diverse) rappresentazioni del lavoro in uso nelle cooperative sociali b. Non solo e non tanto il valore del lavoro celebrato, quanto forse quello assunto, che si presenta nelle forme organizzative, nei rapporti, nelle disposizioni, negli accordi, nei divieti, nella ripartizione delle risorse…
2.
Un’altra questione da indagare potrebbe essere quella dei modelli di inserimento lavorativo (inserimento, transizione, integrazione lavorativa o socio-lavorativa). Come preparare, accompagnare, seguire, orientare e aiutare le persone a reinserirsi? Quali percorsi, professionalità, supporti, strumenti? Quali forme di coinvolgimento dei servizi invianti e quali collaborazioni? Quali figure responsabili, dedicate o no, educative, tecniche, di coordinamento, o altro…
3.
Altra questione ancora potrebbe essere quella dell’economia e dell’innovazione nelle cooperative sociali B. Saremmo in una ambito meno filosofico-culturale (1), e meno psico-educativo (2), e più socio-economico (3). Quale settori economici praticati dalle cooperative sociali b? Quale ricchezza economica e sociale viene generata? Quali prospettive di sviluppo? Quali collocazioni nel mercato? Quali prospettive: marginali, in evoluzione, innovative?
4.
Vi sarebbe un quarto tema. Si tratta di prendere in considerazione il funzionamento organizzativo. Il tema del potere, delle forme di governo, della partecipazione, delle modalità di apprendimento e di sviluppo di conoscenze. Quali assetti organizzativi, quali condivisione di responsabilità? Quali modalità per connettere i processi di accoglienza, inserimento e accompagnamento con i processi produttivi e di servizio? Quali modalità per affrontare le trasformazioni (crisi?) che stanno investendo il sistema della cooperazione sociale?
5.
Ed una quinta questione indagabile riguarda l’immagine che le cooperative b (non) hanno nella società. Come comunicano, si rendono visibili, spiegano il loro lavoro, i risultati che raggiungono, il loro valore economico e sociale… Come stanno in contatto con l’evoluzione del mercato e i cambiamenti nell’immaginario collettivo verso i disagi, che sembrano cambiare anche per effetto dell’insicurezza e della crisi che investe la società italiana?
6.
Una sesto possibile regione da perlustrare è quella dei rapporti che le cooperative sociali b costruiscono. Che capacità hanno di attivare interlocutori, di coinvolgerli (senza confusioni), di fare sistema? Lavorano sole, sviluppano raccordi? E di che tipo? Progettuali, operativi, commerciali, di rappresentanza? Le coop b collaborano e sono sostenute da consorzi, network, organizzazioni di rappresentanza? Attraverso quali legittimazioni gettano ponti e attraversano in/visibili confini settoriali per affacciarsi a scambi con imprese profit o di settori di attività differenti?
Non sono sicuro che i temi siano ben raggruppati. O forse le questioni, più semplicemente interagiscono e non sono facilmente districabili. Rimangono poi aperte le domande di metodo e le letture preliminari per entrare nel tema.
Insomma chiarisi le idee per avviare i primi passi verso costruzione di una tesi rimane un’operazione che conserva una sua complessità sfidante.
Di qui la richiesta di spunti, suggerimenti, indicazioni…
;-)
ma una tesi di master che sviluppi quelle 6 aree sarebbe già assai ricca… a me però piacerebbe ci fosse qualcuno che prova a studiare i “cicli di vita” delle coop b, soprattutto in un momento in cui mi pare si faccia un gran parlare di “fusioni” e di “fatturato minimo di esistenza”.
rada
Pingback: Davide Vassallo, ospite della settimana 33/2011 « Mainograz
Altri spunti interessanti possono venire dall’inserto di Achille Orsenigo sull’ultimo numero di animazione sociale sul tema delle organizzazioni che curano.
Matteo
Ho ricevuto Animazione Sociale e ieri sera sono riuscito a sfogliarla.
In effetti l’inserto di Achille Orsenigo propone spunti interessanti.
Penso di utilizzarlo per una riflessione sul segretariato sociale (e più in generale sui sistemi di primo contatto e di ricevimento).
Pingback: Paolo Fontana, ospite della settimana 30/2011 « Mainograz
Sono molto più pratica , in quanto, dopo le premesse cui hai fatto così ampiamente cenno, etica, economia, interazione ecc.. vedrei bene in una tesi l’esemplificazione in ogni paragrafo, con la documentazione digitale o non , di cosa si è realizzato in una realtà del genere già attiva su un territorio (mi viene in mente “Il brugo”) e quali sono le difficoltà quotidianamente esistenti e risolte o non risolte dalla comunità con l’aiuto delle altre comunità. Ciao Annarita
Ciao Graziano, come sempre i tuoi post sono lucidi stimoli di riflessione e di lavoro.
Io credo che le dimensioni che tu hai evidenziato siano tutte presenti e contribuiscano tutte a costruire un immagine dell’oggetto “Cooperazione di tipo B oggi”.
Un altra dimensione, aggiuntiva ma trasversale a molte tematiche che tu hai evidenziato, è a mio parere quella di “Progetto”.
Il paradigma di un Progetto (1.educativo individuale, 2.educativo di cooperativa, 3.di settore di impresa) concepito come una sequenza che da un Analisi del Bisogno (per lo più autoreferenziale) porti a stabilire degli obiettivi (a priori) attraverso una strategia composta da Azioni, è un paradigma che sentiamo ancora valido ed efficace, in grado di guidarci nel nostro lavoro quotidiano?
Se così non è, come lo ripensiamo all’interno delle cooperative B?
E’ una riflessione che richiede di ragionare sulla propria Vision, sul significato che attribuiamo al nostro lavoro, sulle nostre aspettative anche di operatori sociali, sulle collaborazioni che sviluppiamo con la rete territoriale e sul loro senso.
Caro Davide, nell’apprezzare la vostra profonda analisi dei problemi che attanagliano la cooperazione sociale ed assodato che l’analisi dei bisogni sia, allo stato del tutto autorefenziale per cui si richiede un’approccio composito ed integrato di azioni sociali, del tipo integrazione-inclusione, non è forse da considerare superato lo stesso modello divisorio di cooperativa di tipo A o B?. Credo che sia il peso dell’attualità a giocare un ruolo decisivo, perché individua questioni ineludibili e che sollecitano l’attenzione di discipline diverse. Si delineano così anche campi di ricerca unificanti che spingono ad un lavoro comune a diverse discipline, (M.C.A. Strategia di Lisbona) anzi sfidano le stesse partizioni disciplinari.
Si tratta ad esempio, di tutte le questioni volte a disegnare il perimetro stesso dell’azione individuale ad individuare il senso che assume il legame sociale, (capitale sociale), a cogliere le nuove antropologie. (immigrazione) Ecco l’autoreferenzialità delle scienze sociali, per la fatica di identificare modalità e fini che consentano loro di collocarsi in forme adeguate nell’epoca che viviamo.
Antonio Leomanni .Coop Soc. Onlus
Distretto famiglieHinrete