A grandi linee tutti ricordiamo la storia di Cosimo barone rampante. Primogenito, destinato a succedere al padre, il Barone Arminio Piovasco di Rondò (a modo suo rampante, impegnato in contese e rivendicazioni di possedimenti, alla ricerca di riconoscimenti nobiliari). Cosimo si ribella al genitore e all’ordine costituito, a dodici anni sale su una quercia – e da lì in poi vivrà sospeso – solitario signore del dominio degli alberi.
Possiamo leggere ne Il barone rampante di Italo Calvino alcuni elementi propri delle vicende di successione in/compiute, utilizzare il romanzo come narrazione che fornisce il modello di un passaggio generazionale conflittuale e contrastato, cogliere alcune dinamiche e formulare alcune domande.
Dall’inizio del capitolo VIII (da pagina 71 a pagina 73 nell’edizione pubblicata da Mondadori (1993) traggo il brano in cui si racconta il primo incontro tra padre e figlio (dopo il gran rifiuto di Cosimo di mangiare le lumache) e l’esplicitazione confusa della scelta di prendere le distanze dalla traiettoria successoria predestinata. Per inquadrare l’episodio provo a dividerlo in sequenze. Divisione arbitraria, ad uso delle mie argomentazioni (il testo si ricompone facilmente, leggendo le sole parti segnalate come citazioni):
In quei giorni Cosimo faceva spesso sfide con la gente che stava a terra, sfide di mira, di destrezza, anche per saggiare le possibilità sue, di tutto quel che riusciva a fare di là in cima. Sfidò i monelli al tiro delle piastrelle. Erano in quei posti vicino a Porta Capperi, tra le baracche dei poveri e dei vagabondi. Da un leccio mezzo secco e spoglio, Cosimo, stava giocando a piastrelle, quando vide avvicinarsi un uomo a cavallo, alto, un po’ curvo, avvolto in un mantello nero. Riconobbe suo padre. La marmaglia si disperse; dalle soglie delle catapecchie le donne stavano a guardare.
Cosimo se ne è andato. Deciso ma ancora non abbastanza sicuro di sé, si misura con altri coetanei, esplora il mondo e si diverte. All’arrivo del padre tutti capiscono che l’incontro è epocale. Si interrompono i giochi, tutti si ritirano e fanno spazio. Non resta che attendere, guardare come evolverà l’incontro. La ribellione di Cosimo ha una risonanza sociale (non solo famigliare). C’è attesa per quello che accadrà, può avere conseguenze e non solo per i contendenti.
Il Barone Arminio cavalcò fin sotto l’albero. Era il rosso tramonto. Cosimo era tra i rami spogli. Si guardarono in viso. Era la prima volta, dopo il pranzo delle lumache, che si trovavano così, faccia a faccia. Erano passati molti giorni, le cose erano diventate diverse, l’uno e l’altro sapevano che ormai non c’entravano più le lumache, né l’obbedienza dei figli o l’autorità dei padri; che di tante cose logiche e sensate che si potevano dire, tutte sarebbero state fuori posto; eppure qualche cosa dovevano pur dire.
Il padre è andato a cercare il figlio. Un cedimento di posizione? Un obbligo non eludibile? Si guardano: non ci sarebbe nulla da dire, si potrebbero dire molte cose. Il conflitto è così profondo, strutturale, le ragioni delle posizioni così soggettive e non contendibili che meriterebbero più che l’ascolto, il riconoscimento. Siamo al tramonto di un ordine famigliare e sociale (lo sa l’autore che ci racconta i fatti, lo sappiamo in quanto lettori, ma non sappiamo se il padre e il figlio ne siano consapevoli). Tutto è andato fuori posto. Il figlio accetta l’incontro. Potrebbe andarsene, rifiutare il contatto e le richieste (già contenute nella ricerca del figlio che il padre, il barone Arminio ha intrapreso).
– Date un bello spettacolo di voi! – cominciò il padre, amaramente. – È proprio degno di un gentiluomo! – (Gli aveva dato del voi, come faceva nei rimproveri più gravi, ma ora quell’uso ebbe un senso di lontananza, di distacco).
– Un gentiluomo, signor padre, è tale stando in terra come stando in cima agli alberi, rispose Cosimo, e subito aggiunse – se si comporta rettamente.
– Una buona sentenza, – ammise gravemente il Barone, – quantunque, ora è poco, rubavate le susine a un fittavolo. –
Era vero, mio fratello era preso in castagna. Cosa doveva rispondere? Fece un sorriso, ma non altero o cinico: un sorriso di timidezza, e arrossì.
Anche il padre sorrise, un sorriso mesto, e chissà perché arrossì anche lui. – Ora fate comunella coi peggiori bastardi e accattoni, – disse poi.
– No, signor padre, io sto per conto mio, e ognuno per il proprio, – disse Cosimo, fermo.
I quattro richiami da parte del padre esprimono il sistema di valori che conta per il genitore.
– Vi invito a venire a terra, – disse il Barone, con voce pacata, quasi spenta, – e a riprendere i doveri del vostro stato.
– Non intendo obbedirvi, signor padre, – fece Cosimo, – me ne duole.
Erano a disagio tutti e due, annoiati. Ognuno sapeva quel che l’altro avrebbe detto. – Ma i vostri studi? E le vostre devozioni di cristiano? – disse il padre. – Intendete crescere come un selvaggio delle Americhe?
Cosimo tacque. Erano pensieri che non s’era ancora posto e non aveva voglia di porsi. Poi fece: – per essere pochi metri più in su credete che non sarò raggiunto dai buoni insegnamenti?
Anche questa era una risposta abile, ma era già come uno sminuire la portata del suo gesto: segno di debolezza, dunque.
L’avvertì il padre e si fece più stringente: – La ribellione non si misura a metri, – disse. – Anche pure di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno.
«Torna coi piedi per terra, figlio! Ritorna in te. Obbedisci a tuo padre. Ritorna nell’ordine dei rapporti». Esaurite le argomentazioni che poggiano su assunti profondi, in teoria non negoziabili, il barone Arminio prova la via degli argomenti personali: lo studio, l’educazione… Poi lo scarto argomentativo. La ribellione è un viaggio senza ritorno!
Adesso mio fratello avrebbe potuto dare qualche altra nobile risposta, magari una massima latina, che ora non me ne viene in mente nessuna, ma allora ne sapevamo tante a memoria. Invece s’era annoiato di stare lì a fare il solenne; cacciò fuori la lingua e gridò: – Ma io dagli alberi piscio più lontano! – frase senza molto senso, ma che troncava netto la questione.
Come se avessero sentito quella frase, si levò un gridio di monelli intorno a Porta Capperi. Il cavallo del Barone di Rondò, ebbe uno scarto, il Barone strinse le redini e s’avvolse nel mantello, come pronto ad andarsene. Ma si voltò, trasse fuori un braccio da mantello e indicando il cielo che s’era rapidamente caricato di nubi nere, esclamò: – Attento, figlio, c’è Chi può pisciare su tutti noi! – e spronò via.
Il barone Arminio s’appella all’ordine delle cose. Profetizza. La ribellione riconfigurata così non investe più la relazione tra padre e figlio ma è un atto di arroganza contro l’ordine del mondo. Vaticino e minaccia, spostamento di livello. Tre mosse retoriche: come padre ho esperienza e titolo per prefigurare le conseguenze; dalla sovversione dell’ordine naturale delle cose non possono che venire conseguenze negative.
E la natura partecipa e riflette il conflitto tra padre e figlio, tra due diverse ipotesi esistenziali che non trovano (qui) punti di contatto né di ricomposizione. E insieme agli elementi atmosferici che sembrano riflettere lo stato d’animo dei personaggi, c’è un pubblico che reagisce e sente la tensione (non si è mai soli!).
Non si sceglie la propria famiglia e la propria condizione, ma ci si deve fare i conti.
Si deve (in qualche modo) decidere quale posizione assumere nei confronti della propria famiglia, della propria condizione, del proprio status, del progetto che la società prefigura, la famiglia costruisce, i genitori immaginano.
Non sempre si è in grado di argomentare le proprie scelte, spiegare le pulsioni e i desideri, motivare i no.
Ma la storia non finisce qui (si veda il capitolo XIV).
Segue un secondo post.
Cito due testimonianze: la prima di un giovane imprenditore oggi alla guida della azienda fondata dal padre e la seconda di una giovane imprenditrice inserita nella holding di famiglia.
Giovane imprenditore
E quindi, nel piccolo o nel grande… le dinamiche son le stesse… quindi tu… respiri qualcosa e devi riuscire a capire se quello che stai respirando è anche il tuo di ossigeno, quello che a te serve… e non è sempre facile capire quanto sia stato contagiato e quanto no, non si capisce spesso se i figli di albergatori sono albergatori perché volevano fare gli albergatori o perché sono figli di albergatori.
Quindi oltre a quest’analisi di quanto c’è di proprio, quanto c’è di trasmesso, mi son trovato anch’io a far scelte di vita, di studio… quando scelsi la facoltà di legge… mio padre mi disse non ci siamo capiti, abbiamo un albergo, ci sono le lingue da studiare, economia e commercio… Anche se in realtà…
Giovane imprenditrice
Essendo la secondogenita ed essendo donna, le aspettative sono state ribaltate tutte su mio fratello, essendo primogenito, essendo maschio che ha anche un carattere più conciliante in casa rispetto al mio; i miei volevano che facessi economia son andata a fare psicologia, son andata a fare percorsi non molto in linea con le aspettative dei miei genitori… non si son mai imposti nelle scelte, però sotto sotto, il desiderio di un genitore che si proseguisse con i figli nell’attività aziendale era sempre vivo…
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