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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Di padre in figlio, alla ricerca di riferimenti archetipici

Quante storie

Questo post è una anche una ‘proposta di ricerca’.
ln tema degli avvicendamenti apicali e intermedi stiamo lavorando su più fronti. Stiamo aggiornando i riferimenti bibliositografici per avere un quadro delle questioni poste sotto attenzione dai ricercatori. Stiamo conducendo alcune interviste esplorative per costruire una prima mappa di fattori in gioco ad ambiti organizzativi differenti. E stiamo provando a identificare questioni trasversali.
Fra le ipotesi che ci orientano in questa fase vi è l’idea che se le esperienze di successione non sono una novità della modernità – ma piuttosto una questione antropologica rilevante – presente in differenti culture, allora dovremmo trovarne traccia nei miti e nelle fiabe.
Per questo siamo alla ricerca di miti, narrazioni epiche, fiabe che possano aiutarci ad identificare l’intreccio di aspetti in gioco. E a illuminare le storie contribuiscono i commenti, a loro volta utili a cogliere dinamiche e a interpretare i racconti. Sino ad ora abbiamo trovato alcuni spunti, e confidiamo nel supporto di chi ci legge per ricevere segnalazioni, da considerare e da rilanciare. Intanto presentiamo quello che abbiamo raccolto: cinque narrazioni che hanno a tema passaggi e relazioni tra padri e figli.

Urano, Crono, e i loro figli…

La genealogia greca ha una sua complessità. Qui, brutalmente (come si conviene parlando di dei e di eroi greci) si va per semplificazioni (seguendo le tracce di Graves, 1983 e lasciando eventualmente a Paolo Dagazzini un approfondimento filologicamente e storicamente più pertinente). La storia in sintesi è questa: Urano per non essere spodestato sprofonda i ciclopi suoi primi figli nel Tartaro, genera poi con la Madre Terra i titani, che, guidati dal più giovane Crono aggrediscono Urano loro padre nel sonno. Crono evira Urano prende il potere e a sua volta scaccia nel Tartaro di nuovo i ciclopi ed anche i titani suoi fratelli. Crono, per non essere a sua volta detronizzato, divora i suoi figli non appena generati, ma Rea moglie di Crono, per salvare madre Zeus il suo terzogenito lo nasconde e poi lo aiuta a far vomitare i fratelli al padre. Guidati da Zeus i figli nuovamente si alleano sconfiggono ed esiliano Crono. Lo schema si ripete: il padre per conservare il potere elimina i figli, la madre sostiene il successore, favorisce un’alleanza fra i figli e contribuisce a promuovere una ribellione che determina la sconfitta del padre e l’avvento al potere di un figlio.
È necessario eliminare i figli per garantirsi l’immortalità? È nel sistema delle relazioni che i figli insidino il potere assoluto dei padri? Il ruolo delle madri è la promozione di alleanze rivoluzionare? La storia, pur nelle variazioni, è destinata a ripetersi. Prima Urano e poi Crono risolvono i potenziali conflitti eliminando i contendenti. E lo stesso Zeus fatica a gestire le lotte fra gli dei che animano l’Olimpo.

Dedalo e Icaro

La vicenda di Dedalo inventore-geniale-e-volante e Icaro figlio-che-non-ascolta è certamente conosciuta.
Dedalo ha sviluppato nel tempo conoscenze tecniche. È l’architetto che costruisce per conto di Minosse il labirinto, il palazzo nel quale imprigionare il Minotauro. (E chissà che questo Minotauro non sia una parte dello stesso Dedalo, la parte delle pulsioni, delle passioni ingovernabili, che solo in un… dedalo di corridoi e stanze dai quali non era possibile evadere, sia possibile contenerle). Dedalo è l’esperto, colui che conosce molte cose, che domina il sapere (scultore di statue così verosimili da prendere vita), il suggeritore della modalità per entrare e poi uscire dallo stesso labirinto (infatti rivelerà il trucco del gomitolo a Teseo, l’uccisore del Minotauro). Dedalo non è solo l’artigiano che sa costruire con cera e piume delle ali per evadere dalla sua stessa prigione, ma lo scienziato che conosce i segreti dei materiali e i loro comportamenti in situazioni mutevoli. Tanto che spiega al figlio Icaro come utilizzare le ali, ammonendolo di non volare troppo in basso per non venire appesantito dall’umidità del mare e neppure troppo in alto per evitare che il sole sciolga la cera disfacendo le ali e facendolo precipitare.
Dedalo sfugge dal labirinto con il figlio Icaro volando, vincendo la gravità, superando sé stesso. Un vero intraprendente-tecnico-scienziato. Un risk-manager, che mentre salva se stesso indica al figlio la via per salvarsi.
Icaro, iconograficamente imberbe e inesperto (sbarbato, come Telemaco), non ascolta e vola in alto, insegue il carro del sole, le ali si sciolgono, precipitare in mare e perde la vita. Forse il Dedalo come padre ha sbagliato. Forse ha pensato di conoscere il figlio abbastanza da credere che lo avrebbe obbedito. Forse il figlio, mancando di conoscenze e di padronanza, ha sottovalutato i pericoli. Certamente non ha ascoltato suo padre. O forse sull’acquiescenza alle disposizioni paterne ha preso il sopravvento il desiderio di raggiungere il carro del sole… La contrapposizione sembra essere chiara: un padre competente assume il ruolo di guida. Un figlio inesperto, si lascia trascinare dai sogni fino a perdere la vita. Qualcosa non ha funzionato nel passaggio generazionale?

Odisseo e Telemaco

Qui abbiamo un figlio Telemaco che non si emancipa in assenza del padre Odisseo. E un padre che rinuncia alle sue responsabilità per andare in guerra, un padre che viene trattenuto e non torna a casa per tempo (non vuole o non può?). Il figlio cerca il padre: la sorte di quest’ultimo non è chiara, gli sviluppi possibili sono trattenuti, bloccati da questa assenza. Senza padre (vivo o morto), Telemaco è sospeso tra il l’impossibilità di rivendicare il potere e il rischio di venire estromesso. L’assenza del padre ostacola il passaggio delle consegne. Ed è la stessa assenza che non consente ai proci di prendere il potere, proci che tuttavia non rinunciano, giorno dopo giorno dilapidavano le risorse di Itaca. Il figlio parte alla ricerca del padre (senza perdere una dimensione adolescenziale). Il padre nel frattempo è trattenuto prima e impossibilitato poi a rientrare in patria. Solo quando padre e figlio si ritroveranno nel cortile del palazzo potranno alleandosi scacciare i pretendenti…

Il gatto con gli stivali

Certo piroettarsi dai miti greci alle fiabe di Charles Perrault può sembrare un salto logico quasi sfrontato (ma noi non ci inquietiamo per così poco e procediamo). Cosa troviamo di utile nella fiaba? Intanto una definizione storica della trasmissione ereditaria ai primogeniti. Quando il padre muore lascia al primo figlio il mulino, il bene più prezioso, al secondogenito un cavallo (o un asino, secondo le varianti), al terzo e più giovane un gatto (furbissimo ci dice la fiaba, e molto capace cacciatore di topi). In questo frangente possiamo osservare la scomparsa del genitore, che unificava mulino, cavallo (o asino in alcune varianti) e gatto. I due fratelli che ottengono mulino e forza motrice animale (cavallo o asino che sia) trovano un accordo di collaborazione reciprocamente vantaggioso e proseguono l’attività paterna. L’evoluzione è tracciata dagli strumenti aviti. Ma il terzo figlio, il più giovane riceve un dono non immediatamente produttivo. Non sappiamo nulla delle ragioni che spingono il padre a fare parti così diseguali (se non l’ordine di nascita). Che sarà mai questo gatto? Che cosa rappresenta? L’incomprensibilità dei doni che le vicende della vita (e a volte i genitori) ci riservano? Un aspetto più dolce della vita famigliare riservato al più piccolo dei fratelli? Il segno che il più giovane è troppo giovane per prendere attivamente parte alle attività produttive avviate dal padre? C’è un figlio che riceve un dono inutile e diseguale, viene escluso. Eppure dall’esclusione sembrano scaturire inattese possibilità… Forse è proprio da un destino non già prefigurato che si aprono possibilità di realizzazione…

Il barone rampante

Come vedete ci avviciniamo a racconti moderni. Italo Calvino racconta una fiaba ambientata in prossimità della rivoluzione francese, eppure attuale (post-moderna). Di tutte le suggestioni (e le inquietudini, prima come figlio, adesso anche come padre) ne prendo una, che mi pare attinente con la presente ricerca di configurazioni archetipiche. E se il figlio rifiutasse l’eredità, e con l’eredità la tradizione, e con la tradizione il legato (se non volesse sentirsi legato), e se rifiutando i beni rifiutasse il tracciato già molto tracciato, definito, immaginato dai genitori? Cosa accadrebbe a un padre? E cosa accadrebbe a un figlio? Qual è il momento della verità (quali sono i momenti in cui una qualche parvenza di verità si ripresenta, bussa e viene accolta suo malgrado? Di Cosimo barone rampante sugli alberi e di suo padre il barone Arminio non dico altro. Due post dedicati alla vicenda verranno presto linkati. E allora qualcosa in più verrà argomentato.

Cinque (e più) storie…

Cinque situazioni. Cinque differenze. Più temi, una comune questione. Le cose passano di mano in mano. E si fanno strada nel presente e nel futuro. Volendo riepilogare (e drasticamente semplificare, esprimendo ciò che si è compreso ed esponendo tutto quello che sfugge) si potrebbe dire così.

I padri, i genitori non sono sempre generosi. A volte rifiutano e ostacolano il futuro. Per ragioni loro, per incapacità, invidia, impossibilità di farsi da parte. Non sono solo i figli a non essere in grado di raccogliere le eredità, anche i genitori possono non trovare la forza e le risorse per fare spazio, dare fiducia, sostenere sapendo che c’è un tempo dell’azione e un tempo per ricollocarsi. Sin qui Urano ‘sprofondatore’ e Crono ‘divoratore’ di possibilità.

Poi Dedalo, padre tecnologico, sollecito, fiducioso, concentrato sulla tecnica, sembra conoscere poco i desideri inespressi del figlio Icaro. Punta a salvarsi e a salvare, si salva ma perde il figlio. Non tutto può essere condiviso (non le esperienze e le conoscenze). Non sempre si viene ascoltati. I progetti e le curiosità possono portare altrove, anche alla disfatta. Si può provare a volare insieme, spinti dalle medesime urgenze, ma ciascuno percorre il suo volo, ciascuno sceglie, in ragione anche della propria soggettività.

Poi Odisseo, padre che si sottrae, assente e presente, irraggiungibile (solo lui riuscirà a tenendere nuovamente l’arco che lasciato nella reggia)

Poi ancora un figlio che riceve poco, non per cupidigia, ma per lo schema culturale che regola le relazioni, il meccanismo delle partizioni, la collocazione predefinita nella gerarchia dei posizionamenti sociali. Eppure ciascuno è artefice della propria fortuna. Chi l’avrebbe mai detto che un gatto può parlare, indossare nobili stivali, ingannare astutamente, e sapientemente consigliare? Chi l’avrebbe mai detto che la sfortuna può essere bypassata e la sorte oltrepassata? Chi l’avrebbe detto che un figlio si sarebbe lasciato consigliare al limite della passività?

E poi un padre, il barone Arminio che forse non capisce i tempi che cambiano e un figlio, il barone Cosimo, che decide altrimenti, sceglie la vita sospesa tra terra e cielo, sceglie di non derogare, di stabilire il suo percorso esistenziale rifiutando convenzioni, vincoli e (parte) delle responsabilità a cui era destinato per nascita, decidendo di tracciare un itinerario ribelle, trasgressivo, autonomo, solitario, forse non comprensibile…

Cinque storie pertinenti con il tema degli avvicendamenti? Cinque configurazioni relazionali di possibili rapporti fra genitori e figli? Cinque transizioni che si compiono secondo modelli differenti. Quali altre storie raccontano successioni e passaggi generazionali, avvicendamenti e transizioni? Cosa possono ancora dire queste storie, quali altre interpretazioni?
Di qui l’esigenza di lanciare un messaggio nella bottiglia: chi ha storie meno impertinenti in tema di avvicendamenti, se ha piacere, può segnalarle o pubblicarle in forma di post (l’ospitalità è benevenuta).
Ci interessa mettere in circolo racconti, discuterne, ragionarci e – perché no – cavarci qualche indicazione per il presente.

Riferimenti bibliografici

Calvino I., Il barone rampante, Mondadori, 2002 (ed or. 1957).
Graves R., I miti greci, Longanesi (1983 (ed. or. 1955).
Perraulti C., Il Gatto con gli stivali, Edizioni C’era una volta, 1995.
Rodari G., “Difesa del Gatto con gli stivali” in Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Einaudi, 2010 (ed. or. 1973), pp. 182-186.

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