Questo è un post ‘volante’.
Scritto su sollecitazione di mia sorella Franca Maino (che ringrazio:-)
Le parole – si sa – sono importanti, in particolare quando identificano questioni sociali non secondarie per la vita di un sacco di persone. E sono ancora più importanti quando sono unanimemente impiegate in forma etichette (auto)evidenti. Bene, quando accade è la volta buona che passano idee indiscutibili, proprio in situazioni nelle quali discussione e confronto dovrebbero essere di casa. [Finita la perorazione iniziale, veniamo al dunque].
Ci sono espressioni che mi sembrano imprecise (comode, brevi, veloci… ma imprecise).
Conciliazione tra vita e lavoro | Viene da obiettare anche il lavoro fa parte della vita. L’espressione poi implica che il lavoro non è vita (a me pare che non sia così). |
Conciliazione tra tempo di vita e tempo di lavoro | La formula, a parte contrapporre lavoro a vita, introduce (forse) l’idea che siano i tempi a non trovare aggiustamenti sostenibili (sono solo i tempi che non si armonizzano?) |
Conciliazione fra lavoro e famiglia | Questa mi pare un’espressione migliore, se non fosse che si tratta di precisare il senso di famiglia (e qui si potrebbe discutere). L’espressione ha un aspetto interessante: implica che si possa ricercare la conciliazione tra il lavoro (di chi?) e la famiglia (e non solo la donna!). Ma il punto vero – per me – è che si tratta di conciliare il lavoro con molte altre attività. |
Conciliazione tra tempo di lavoro e tempo personale | Questa soluzione non mi dispiace, ma ha lo svantaggio di implicare una visione ‘individuale’ della conciliazione. E ciò a causa di quel “tempo personale” (personale = del singolo al/la quale ci si riferisce). |
Conciliazione tra tempi di lavoro e tempi personali | Mantiene la prospettiva individualista ma almeno moltiplica gli elementi da conciliare (la sfumatura aiuta a percepire le molteplici strade percorribili?). |
Conciliazione tra tempi di lavoro e tempi personali e della famiglia | Ecco che – ancora una volta – nella società irriducibile a monoconformismi, trionfa il plurale. L’espressione non è orecchiabile ma si presenta come un accettabile compromesso(?). |
Qualche altro suggerimento? | Forse soluzioni diverse per le diverse situazioni? Forse è meglio lasciar perdere? |
Decidere quali sono le dimensioni esistenziali che vogliamo provare a (far) conciliare – almeno un po’, un po’ di più di quanto avviene adesso – significa introdurre il tema della responsabilità. A chi spetta il compito di lavorare per far crescere la quota di conciliazione che circola nella società?
A me piacerebbe poter conciliare:
A me per cominciare.
Ma anche all’organizzazione per la quale lavoro.
E forse un po’ anche alle persone con le quali partecipo ad attività politiche (per la verità in questi anni da consigliere comunale non è andata male). I tempi e le quantità di tempo sono più sostenibili se ci si divide il lavoro e ci si dà una mano (meno si è, più è dura). E molti (ti) stanno a guardare, mollano di tanto in tanto un pacca sulla spalla (e questo aiuta), ma più spesso stanno in silenzio (e allora non capisci se fai bene o se fai male).
E di certo uno sforzo di conciliazione lo fa la mia famiglia (a denti stretti, o tirando un sospiro di sollievo). In ogni caso senza i nonni, che aiutano a conciliare a tutto campo, non sarebbe possibile far fronte ai molteplici oggetti da sintonizzare (quindi grazie;-)
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Argomento molto interessante. Da quando mi alzo a quando vado a letto la “conciliazione” prevale su tutto. E’ quasi una lotta tra chi o tra cosa ha la meglio. Alla fine bene o male, con o senza l’aiuto delle Istituzioni, degli amici, dei vicini di casa, dei parenti (fisicamente lontani) ce la faccio. Certo un po’ di solidarieta’ e di aiuto reciproco non guasterebbe, aiuterebbe a conciliare un po’ di piu’. Solo una dimensione quasi sempre non riesco a conciliare: il tempo e lo spazio necessario per la cura dell’anima!
dopo lunghi e contorti ragionamenti ho raggiunto queste definizioni:
In senso più ampio:
Conciliazione del sistema economico e produttivo con le esigenze umane e relazionali delle persone
Ovvero
Umanizzazione del sistema economico e produttivo
Come politica specifica di sostegno alle famiglie:
Conciliazione dell’organizzazione del lavoro con le esigenze organizzative delle famiglie
perchè il problema è, appunto, del “sistema” e dunque non devono essere solo le persone a sforzarsi di “conciliare” i tempi e i modi, ma anche le istituzioni e le organizzazioni devono promuovere un adeguato adattamento del sistema nel suo complesso. Insieme, partecipando, si possono trovare le soluzioni migliori, se a monte c’è un adeguato quadro legislativo
comunque mi riservo di continuare questa interessante discussione…
un caro saluto a tutti.
Gloria Zagaglioni
Grazie Gloria Zagaglioni,
mi ritrovo nelle diverse dimensioni sociale, politica, organizzativa e individuale, (da conciliare tra loro) e che richiedono approcci specifici (e quindi definizioni operative ad hoc) per intervenire.
L’idea è di riprendere i commenti e pubblicare un post più ricco e articolato…
Un saluto
Graziano Maino:-)
Salve vorrei cheridee un informazione. Lavoro solo un ora al giorno in regola da due anni in una ditta per 5 giorni a settimana. Non mi pagano da quasi 4 mesi. Sa dirmi se ho diritto alla disoccupazione anche minima avendo fatto cosec poche ore? Volevo fare il licenziamento per giusta causa. Ma credo che siano troppe poche le ore :( Grazie attendo risposta..
Buona sera,
questo è un blog di riflessione e non di consulenza online.
Le suggerisco di rivolgersi a un’organizzazione sindacale o a un patronato.
Cordialmente,
Graziano Maino
Grazie per gli spunti presenti in questo post. E’ davvero importante riflettere sul significato delle parole. Condivido il pensiero di chi mi ha preceduto “se non c’è la parola giusta vuol dire che non c’è ancora un concetto condiviso”. Credo che sia proprio così. Sul tema ci sono visioni e prospettive diverse in politica, nel mondo del lavoro e spesso anche in famiglia.
Assolutamente illuminante nelle sue declinazioni concettuali e certamente condivisibile, “sfumature” comprese. Merita un approfondimento…
Bell’analisi. Hai ragione, conciliazione è una parola che non (ci) piace e quindi ne sono stati tentati molti adattamenti, tutti poco soddisfacenti. In attesa di trovarne una nuova – ma attenzione se non c’è la parola giusta vuol dire che non c’è ancora un concetto condiviso – ce la teniamo con le sue ambiguità. La versione originale UE è “reconciling work and family” ma in Italia non piace (perché sulla famiglia ha messo mano la retorica di destra). La versione americana è “work-life balance” che non è molto meglio, dato che, come sottolinei anche tu, è idiota contrapporre il lavoro alla vita. Ma ti ringrazio soprattutto di sollevare la questione che è fuorviante parlare di conciliazione “tra tempi”: il tempo è solo una misura possibile delle cose che desideriamo/dobbiamo fare: lavorare, prenderci cura degli altri, vivere le nostre relazioni, fare commissioni, divertirci .. E parlarne in termini di “tempi” rende opaca la loro gerarchia e le loro contraddizioni interne. Induce a pensare che basti una migliore ingegneria (e che quindi magari sia pure colpa nostra). Meglio dire apertamente che alcune di queste cose, per esempio stare quanto vorremmo coi figli, ci è impedita dal lavoro. Forse, più che conciliato, il lavoro – modello novecentesco fordista – andrebbe interrogato.
Leggendo i commenti ho pensato ad una cosa che mi è sfuggita. O meglio a un problema che incontro nella mia vita (ma anche altre persone segnalano): ci sono i tempi della vita individuale da conciliare. Il tempo di quando non avevo figli e avevo trent’anni non è il tempo che ho adesso che di anni ne ho quarant’otto, ho due figli e genitori over settanta…
‘Tempi’ è una bella parola, ma troppo ampia, che richiede di essere precisata.
Sul lavoro poi… cerco di tornarci in un prossimo post;-)