Come dicevo nella prima parte del post, Twitter si può usare in molti modi per questo – dopo avere raccontato quattro microstorie che mi avevano indotto a ragionare sugli usi di Twitter – mi ero impegnato a confezionare qualche considerazione per non farmi sfuggire abbozzi di apprendimenti (alla buona, senza pretese eccessive).
Ecco dunque la seconda parte del post.
Rimane sullo sfondo la domanda: «In quali modi Twitter può essere utile alle imprese e agli operatori sociali, come possono profittevolmente utilizzarlo?».
So che questo secondo contributo non offre risposte definitive. Mi rappresento le considerazioni che ho imbastito come un modo per mettere in circolo un punto di vista e sollecitarne altri. Mi immagino che ci siano altre storie da raccontare, ragionamenti da condividere, competenze da sviluppare, e – chissà – spero che alla fine ci si trovi tra le mani ipotesi per rispondere alla domanda che imprenditori e operatori sociali si fanno: «Ci buttiamo o lasciamo perdere?».
[Be’, a dire il vero, uno spunto ce lo ha fornito il post di Nicola Locatelli sull’utilità di Twitter in sala operatoria].
Dopo l’esperienza (Pane, Web e Salame 3) in cui mi sono trovato a usare (o a vedere usare) Twitter mi sono detto: «In pratica, se voglio provare a rilanciare o a dialogare, cosa è meglio cercare di fare?». Di seguito gli appunti ho preso.
Ripensando al convegno Pane, Web e Salame 3 e al tentativo di sperimentare Twitter come strumento per interagire e commentare, contestualmente allo svolgersi del convegno, mi sono appuntato quello che ho avuto l’impressione non funzionasse per provare a rigirarlo in indicazioni che mi possano essere per il prossimo evento. [Ci vediamo a Riva del Garda per il X Workshop sull’impresa sociale? Appuntamento per il 13 e 14 settembre 2012, noi ci saremo e vi aspettiamo;-]
Dai miei cinque warnings capisco (come del resto lo state capendo anche voi) che non sono abbastanza esperto. Ci devo lavorare. Sono troppo naif e newcomer. Quindi ogni suggerimento aiuta, anche se fin qui ragiono sull’uso di Twitter nell’ambito di un evento pubblico.
Ogni suggerimento sull’utilità di Twitter in generale e nei più diversi frangenti aiuta.
Infatti molte persone si chiedono a cosa può servire e perché mai ci si deve iscrivere: «Non è che è tutta una perdita di tempo?».
C’è invece una cosa che mi dà gusto. Il limite. Sì, proprio così (e non lo avrei mai immaginato) mi fa impazzire il limite di 140 caratteri (tutto compreso, i punti, le virgole, gli spazi…). Con Twitter non si può andare oltre. Quando scrivo un tweet tengo d’occhio il contatore in basso a destra. Man mano che procedo veloce, consumo caratteri. E di solito finisco in negativo (il contatore cambia colore, da blu si fa rosso e il meno davanti mi segnala di quanto sto sforando). A quel punto devo tornare indietro e rileggere quello che ho scritto.
Tutto è molto veloce, troppo veloce.
E finisco sempre per scrivere testi (un po’) troppo lunghi e devo proprio tornare indietro.
Se ci penso la scrittura è un po’ così, conviene darsi un limite. Non sembra ma aiuta. Ad esempio, adesso qualcuno penserà, ma allora perché non ti sei fermato qui? Semplice mi sono dato la regola di scrivere post di 1000 parole e ci sto provando…
Nel primo post ho provato a raccontare quattro esperienze recenti. In questo, ricollegandomi alle esperienze ho provato a dire come cercherò di non scrivere tweet e come il processo scrittorio (il writing) sia particolare, almeno per me. In tutto questo – nelle esperienze di apprendimento che sembrano mutare e nella particolare attenzione scrittoria richiesta – ci vedo qualcosa di utile per le organizzazioni sociali…
Ricordo che lo scorso anno (nel 2011, a Riva del Garda, in occasione del IX Workshop sull’impresa sociale, un presidente di una cooperativa sociale aveva raccontato di una consultazione a mezzo Twetter. Credo avessero provato a ragionare di innovazione, sollecitando contributi e idee, tendo come prezioso limite per promuovere partecipazione efficace, il vincolo dei 140 caratteri. Troppo poco penserete. Eh, già… a cosa può servire Twitter allora? Meglio lasciar perdere? Meglio Facebook? O Linkedin? O meglio nulla?
Gli strumenti, le tecnologie stanno lì, pensate a partire da ipotesi d’uso, evolventi sulla base di molteplici (e inattese) interazioni. E noi stiamo qui. C’è qualcuno che ha un’idea, un’esperienza da condividere, uno spunto così che non si decida per partito preso?
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