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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Twitter, ancora mi sfugge. Ma… /2

Come dicevo nella prima parte del post, Twitter si può usare in molti modi per questo – dopo avere raccontato quattro microstorie  che mi avevano indotto a ragionare sugli usi di Twitter – mi ero impegnato a confezionare qualche considerazione per non farmi sfuggire abbozzi di apprendimenti (alla buona, senza pretese eccessive).
Ecco dunque la seconda parte del post.
Rimane sullo sfondo la domanda: «In quali modi Twitter può essere utile alle imprese e agli operatori sociali, come possono profittevolmente utilizzarlo?».
So che questo secondo contributo non offre risposte definitive. Mi rappresento le considerazioni che ho imbastito come un modo per mettere in circolo un punto di vista e sollecitarne altri. Mi immagino che ci siano altre storie da raccontare, ragionamenti da condividere, competenze da sviluppare, e – chissà – spero che alla fine ci si trovi tra le mani ipotesi per rispondere alla domanda che imprenditori e operatori sociali si fanno: «Ci buttiamo o lasciamo perdere?».
[Be’, a dire il vero, uno spunto ce lo ha fornito il post di Nicola Locatelli sull’utilità di Twitter in sala operatoria].

2. Microapprendimenti incompiuti (hesitant on-going learnings)

Dopo l’esperienza (Pane, Web e Salame 3) in cui mi sono trovato a usare (o a vedere usare) Twitter mi sono detto: «In pratica, se voglio provare a rilanciare o a dialogare, cosa è meglio cercare di fare?». Di seguito gli appunti ho preso.

Twitter: cinque cose che cercherò di tenere a mente

Ripensando al convegno Pane, Web e Salame 3 e al tentativo di sperimentare Twitter come strumento per interagire e commentare, contestualmente allo svolgersi del convegno, mi sono appuntato quello che ho avuto l’impressione non funzionasse per provare a rigirarlo in indicazioni che mi possano essere per il prossimo evento. [Ci vediamo a Riva del Garda per il X Workshop sull’impresa sociale? Appuntamento per il 13 e 14 settembre 2012, noi ci saremo e vi aspettiamo;-]

  1. Twittare è come pubblicare brevissimi(ssimissimi) post su un tema. Si parla infatti di microblogging: i caratteri a disposizione sono 140. Allora mi conviene considerare che il senso del messaggio dovrebbe essere autoesplicativo (se pure si inserisce in una catena di tweet).
  2. La prossima volta identifico subito l’hashtag dell’evento (nello specifico era #pwes3) e lo inserisco nei tweet. In questo modo mi immetto nel flusso della conversazione e chi partecipa all’evento può seguire i miei interventi.
  3. Di sicuro molte delle persone che seguono i miei tweet non saranno al convegno. Mi conviene di tanto in tanto ricordare dove sono e cosa sto facendo. In questo modo mi mantengo collocato nella situazione, dichiaro dove sono, cosa sto facendo.
  4. Non devo presumere di avere i contatti giusti. Quando mi sono messo a twittare, a Pane, Web e Salame 3, la prima cosa che ho notato che avevo così pochi contatti in sala, che ero fuori dalla conversazione: non riuscivo a seguire gli altri, e nessuno mi considerava. Allora, come una furia mi sono messo a seguire chi conoscevo e a cercare di agganciare altre persone seguite… ma non è facile allargare il giro. La prossima volta mi muovo in anticipo, se vedo persone intorno a me che smanettano su qualche strumento, posso cercare di aprire contatti a partire da uno scambio di parole. In fondo non l’ha detto nessuno che la tecnologia digitale deve inibire le relazioni vis-a-vis.
  5. La scrittura per mezzo di tweet è decisamente frammentata. Se voglio costruire una qualche narrazione, micropost dopo micropost, devo riuscire a tenere il filo. Se cerco il dialogo, la sintesi apodittica può non bastare. Quello che ho notato nel convegno a cui accennavo era che mi capitava di fare due cose: restituire una sorta di appunti di quello che più mi colpiva, e al tempo stesso provare a ragionare su quello che veniva detto o che altri sottolineavano, rilanciavano o commentavano. Un po’ come se con il mio vicino/a, mentre prendo appunti commento al volo quello che il relatore/trice va dicendo. Due attività che si influenzano: i miei appunti mi inducono a riflettere, le considerazioni di quelli con cui scambio opinioni mi spingono ad una certa attenzione selettiva…

Dai miei cinque warnings capisco (come del resto lo state capendo anche voi) che non sono abbastanza esperto. Ci devo lavorare. Sono troppo naif e newcomer. Quindi ogni suggerimento aiuta, anche se fin qui ragiono sull’uso di Twitter nell’ambito di un evento pubblico.
Ogni suggerimento sull’utilità di Twitter in generale e nei più diversi frangenti aiuta.
Infatti molte persone si chiedono a cosa può servire e perché mai ci si deve iscrivere: «Non è che è tutta una perdita di tempo?».

Da solo contro 140

C’è invece una cosa che mi dà gusto. Il limite. Sì, proprio così (e non lo avrei mai immaginato) mi fa impazzire il limite di 140 caratteri (tutto compreso, i punti, le virgole, gli spazi…). Con Twitter non si può andare oltre. Quando scrivo un tweet tengo d’occhio il contatore in basso a destra. Man mano che procedo veloce, consumo caratteri. E di solito finisco in negativo (il contatore cambia colore, da blu si fa rosso e il meno davanti mi segnala di quanto sto sforando). A quel punto devo tornare indietro e rileggere quello che ho scritto.
Tutto è molto veloce, troppo veloce.
E finisco sempre per scrivere testi (un po’) troppo lunghi e devo proprio tornare indietro.

  • Rileggo: cosa posso tagliare? Ecco la prima domanda. Poi però tagliare non produce sempre soluzioni efficaci.
  • Allora torno di nuovo indietro (l’occhio naturalmente è sempre sul contatore), recupero caratteri, ne faccio una piccola scorta. Rileggo il pensiero. Non gira, non è efficace.
  • Via gli avverbi e via gli aggettivi. Lavoro di sostantivi e di verbi. E adesso avanzo un pugno di caratteri (sono in attivo, cosa me ne faccio?).
  • Ho 140 caratteri e li voglio usare tutti. Non posso andare oltre (ecco il limite), non voglio sprecarne neppure uno (ecco la sfida).
  • Il problema si pone quando il pensiero funziona, il periodo è efficace, ho incorporato nel pensiero termini preceduti dall’hastag, eppure… eppure avanzo un carattere. Uno. Uno!
  • No, rileggo ancora, voglio usare fino in fondo le risorse. Se ce la faccio, bene. Se non ce faccio (le cose urgono, non posso perderci troppo tempo) allora sento un leggere disappunto.
  • E allora, dai, riprova ancora, cerca una nuova soluzione, il tuo tweet dovrà farsi leggere, fra tanti, conquistare l’attenzione, suscitare almeno un po’ di voglia.
  • E se ci riesco a usare tutti e i 140 caratteri allora sono felice e mi sento appagato [ossessivo? parsimonioso? esigente? giocoso?]

Se ci penso la scrittura è un po’ così, conviene darsi un limite. Non sembra ma aiuta. Ad esempio, adesso qualcuno penserà, ma allora perché non ti sei fermato qui? Semplice mi sono dato la regola di scrivere post di 1000 parole e ci sto provando…

3. Mi riprendo… (…back again)

Nel primo post ho provato a raccontare quattro esperienze recenti. In questo, ricollegandomi alle esperienze ho provato a dire come cercherò di non scrivere tweet e come il processo scrittorio (il writing) sia particolare, almeno per me. In tutto questo – nelle esperienze di apprendimento che sembrano mutare e nella particolare attenzione scrittoria richiesta – ci vedo qualcosa di utile per le organizzazioni sociali…
Ricordo che lo scorso anno (nel 2011, a Riva del Garda, in occasione del IX Workshop sull’impresa sociale, un presidente di una cooperativa sociale aveva raccontato di una consultazione a mezzo Twetter. Credo avessero provato a ragionare di innovazione, sollecitando contributi e idee, tendo come prezioso limite per promuovere partecipazione efficace, il vincolo dei 140 caratteri. Troppo poco penserete. Eh, già… a cosa può servire Twitter allora? Meglio lasciar perdere? Meglio Facebook? O Linkedin? O meglio nulla?
Gli strumenti, le tecnologie stanno lì, pensate a partire da ipotesi d’uso, evolventi sulla base di molteplici (e inattese) interazioni. E noi stiamo qui. C’è qualcuno che ha un’idea, un’esperienza da condividere, uno spunto così che non si decida per partito preso?

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