Se ci penso ho l’impressione che il verbo usato per indicare quello che si fa con i questionari tradisca l’impostazione epistemologica che fonda la decisione di servirsi del questionario in quanto strumento…
Come potremmo descrivere l’azione di questo innamorato che – (presupponiamo) esasperato dall’incertezza e volendo una volta per tutte definire l’esito della sua relazione con Rita – alla fine ha deciso di…
Altro?
Nella pratica, i verbi che accompagnano il sostantivo ‘questionario’ non sembrano essere tantissimi:
Sono a mia volta un sollecitatore di compilazioni?
Cambia davvero qualcosa?
Il nostro innamorato desideroso di certezze, come si può vedere, non ha contemplato altre tre possibilità:
Rita, vuoi sposarmi?
Cosa sappiamo di Rita e delle sue ragioni?
Uhm, forse l’aver limitato le possibilità di divagare ha indotto Rita a scegliere.
E questo mi fa pensare ai questionari come strumenti di intervento più che a strumenti di raccolta di dati e informazioni.
Ma questo è già un altro post…
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i questionari -risposta chiusa o meno- sono trappole, che ti incastrano attraverso un utilizzo ragionato e intenzionale delle domande, piuttosto che attraverso la comunicazione didattico-pedagogica-esortativa-obbligatoria delle risposte. Il pensiero si è attorcigliato, balzando fino ai cieli ed alle profondità della parola, cercando di rispondere alle domande: Dio esiste? Di cosa sono fatti i Cieli? ed il Paradiso? e l’Inferno?….poi ad un certo punto sono cambiate le domande, chi è l’uomo, come funziona, come fa a stare insieme…e così vedo i questionari come capaci di stimolare il pensiero, nella misura in cui sono in grado di accogliere e presentare domande che producano scintille nel pensiero, che spostino la conoscenza in qualche altro luogo (la ‘accrescano’) e reputo quindi un po’ sterili i questionari di gradimento, che in realtà imbrigliano la relazione fra utente/agente nel giocherello del ‘ti do quello che vuoi?/mi dici cosa vuoi?’, come se alla fine tutto fosse solo una questione di ‘buona’ volontà.
E Rita avrà pure deciso, ma c’è quell’Anna in giallo che riceve un nitido ‘ti amo’, con cui avrà pur dovuto fare i conti.
E plausi a Graziano, nitido raccoglitore di immagini, che sfuocano nella caldana estiva….
v
Graziano sei uno dei miei miti!
Anche tu!-)
Nessun ‘orrore’, al massimo ‘errore’ e… allora?
Dov’è il problema?
Ha me piace si può dire: è un rafforzativo, significa ‘il piacere ha me’, sono posseduta dal piacere…
;-)
Ciao Maria Teresa,
la foto campeggia sul retro di un vecchio edificio che dà su via Piranesi, a Milano.
Praticamente all’uscita del Passante ferroviario (credo Stazione Vittoria).
;-)
Graziano
… cavolo, non so come mi sia scappato “ha me piace…”, forse stavo per scrivere qualcos’altro ORRORE!!!!
PS: bellissimi i commenti sulla risposta chiusa e di cosa sappiamo su Rita…
Secondo me le frasi non sono equivalenti, e generano una ‘risposta’ diversa: (1)”abbiamo somministrato i questionari ad un gruppo di genitori di bambini che praticano judo…” a parte la passività che evoca, se fossi l’interlocutore mi verrebbe da dire: “ah, e che cosa è successo poi?”; ovvero mi evoca l’inizio di un processo. (2) “Abbiamo proposto i questionari ad un gruppo di genitori di bambini che praticano judo…” e io rispondo: “e loro sono stati d’accordo con l’idea del questionario?”. (3) “Abbiamo chiesto a genitori di bambini che praticano judo di compilare i questionari preparati…” risposta: “e loro l’hanno fatto?” . (4) “Abbiamo raccolto tra i genitori dei bambini che praticano judo le risposte a un questionario…” (che presuppone che qualcuno almeno abbia risposto, se non cosa ho raccolto?) risposta “mmmhhh, e cosa è saltato fuori?”. Come diciamo in analisi transazionale: lo stato dell’Io da cui parte la comunicazione può essere intuito dallo stato dell’Io che risponde. Tra l’altro i diversi verbi evocano proprio azioni e stadi diversi di un processo … Graziano, ma dove hai preso questa foto? Sei incredibile!! ;-))
MT
PS: ha me piace ‘sottoporre’