Se dovessi partecipare alla progettazione di una summer school…
“Non dire notte” di Amos Oz non è solo una storia d’amore. È anche la vicenda di un progetto sociale e comunitario, incerto e sospeso, che prende (più o meno) forma nell’arco di una estate.
Se dovessi partecipare alla progettazione di una summer school mi preoccuperei dei libri dai quali prendere spunti per emozionare chi vi vorrà prendere parte.
“Non mollare. Coinvolgere delle brave persone. Che in fondo non è che mancano qui. Devo essere ancora più sincero con voi? Il nostro vero guaio è che non ci lasciamo entusiasmare da niente. Questa è la vera tragedia. Chi non si attizza più per nulla si raffredda e comincia a morire. Così dice Linda e io sono d’accordo con lei. Bisogna cominciare a desiderare. Trattenere forte, con tutte e due le mani perché la vita non scappi, spero capiate quel che intendo dire. Altrimenti tutto è perduto.”
Verso la fine del capitolo 24, il neretto è mio.
Se dovessi pensare ai contenuti, cercherei di fare una proposta che colleghi tre polarità:
– l’attenzione per lo sviluppo del territorio, a partire dalle potenzialità inespresse che possiede;
– le innovazioni (possibili) che interessano il welfare, considerandolo dimensione che consente di attivare processi trasformativi;
– le azioni di cura da rivolgere alle organizzazioni (non solo sociali) perché possano contribuire a creare opportunità per chi abita i territori.
E non mi figuro una summer school che non sia accogliente, allegra, attivante.
Immagino un ciclo di laboratori che attingano da riflessioni brevi e intense.
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