Microtecniche per favorire la partecipazione
Quelli che seguono sono meno che appunti, giusto per condividere una microtecnica di partecipazione. In due varianti.
Imbarazzo
In genere, quando si partecipa a un gruppo di lavoro – in particolare se ci si trova con persone che non si conoscono o se si fa parte di un gruppo molto numeroso – dopo l’introduzione e gli interventi da programma, viene lasciato (poco) spazio al dibattito. Saggiamente chi organizza si accorda con alcuni partecipanti perché intervengano. Il dibattito si sviluppa su una traccia pre-disposta. Anche così si sente che il confronto non decolla, c’è una sensazione di attesa, di sospensione, di imbarazzo.
Due esperienze
Un collega consulente mi ha riferito di avere organizzato un ciclo di incontri di orientamento alla professione, rivolti a studenti universitari del triennio. In/aspettatamente si sono presentate 150 persone. Ma, terminate le testimonianze… silenzio! Grande interesse (il numero di partecipanti parla da sé) e grande silenzio (nonostante la curiosità). Allora ha chiesto a ciascun partecipante di scrivere una domanda su un foglio di carta e le ha raccolte (al secondo incontro ha portato una scatola di cartone). La cosa interessante è che le domande erano più dei partecipanti. Nella pausa ha diviso le domande trovando così le macro-questioni. A quel punto disponeva di dati: alcune domande erano frequentissime, altre assolutamente inaspettate. In ogni caso si poteva dire quali erano in percentuale i temi più gettonati. I temi che attraversavano il gruppo. Inoltre i relatori rispondevano a questioni davvero poste dal pubblico, che si era fatto più curioso, meno incerto, più esposto.
La seconda esperienza è personale. Lo scorso anno, con mia moglie, siamo andati all’incontro di presentazione della scuola dell’infanzia frequentata da nostro figlio piccolo. I genitori che hanno i/le bambini/e di tre anni, in ottobre incontrano le maestre (e si incontrano fra loro). Ci hanno fatti accomodare. Tante mamme e papà seduti su seggioline minuscole si guardano in giro, nella classe dei loro bambini (mi sembrava un po’ il primo giorno di scuola). Guardavo gli altri genitori: sono i papà e le mamme dei bambini che giocano con mio figlio. Sì ci si conosceva perché la mattina ci si incrocia, ma nessuno diceva niente. Una strana situazione di incertezza innaturale (tra estranei non propriamente estranei). Poi sono arrivate le maestre. Hanno distribuito due foglietti ciascuno: uno giallo e l’altro verde e hanno messo in centro un barattolo di pennarelli grossi. Ci hanno chiesto di scrivere sul foglietto giallo quello che ci sembrava bello nell’esperienza iniziale di inserimento nella scuola dell’infanzia, e sul foglietto verde una nostra preoccupazione. Pochi minuti e hanno ritirato i foglietti, li hanno messi da parte e hanno presentato le attività che stavano realizzando e che avrebbero proposto ai nostri bambini/e. Tre quarti d’ora in aula, poi tutti in salone. Un’ottantina di mamme e papà, le sedie sempre minuscole, sempre in cerchio. Le maestre hanno tirato fuori i foglietti, i nostri e quelli delle altre classi, li hanno rimescolati e li hanno distribuiti a caso. Hanno chiesto ad ogni genitore di leggere, ad alta voce, preoccupazioni e apprezzamenti. Voci più o meno tremolanti leggevano grafie più o meno tremolanti. Un imbarazzo diverso, una certa emozione nel parlare e nell’ascoltare punti di vista quasi uguali, o molto diversi. Poi via, verso la presentazione delle feste e dei momenti importanti dell’anno.
Considerazioni
Al termine di lavori di gruppo mi viene spesso da considerare che si riesce a partecipare se si hanno cose da dire, se c’è uno spazio per pensarle, e se non sono emotivamente troppo onerose o aggrovigliate. Ad esempio le riunioni di condominio, gruppi di lavoro bloccati, o gruppi di contatto composti da operatori di servizi diversi, attraversati da forti conflitti hanno molte cose da dire. Mi sembra però manchi lo spazio per pensarle, urgono e sgomitano per essere dette. A volte nei gruppi ci sono silenzi irritati, depressi, scazzati. Le cose da dire ci sarebbero, ma forse non ne vale più nemmeno la pena. Altre volte diverse persone prendono la parola, ma si agganciano a quello che è stato detto prima o a loro pensieri che seguono itinerari che c’entrano poco con l’occasione. Certe serate culturali finiscono con il solito mattatore che non manca mai e che arriva con le domande pronte, e se non le ha pronte non gli mancano le idee da riproporre. E se si sperimentassero i foglietti che girano e una scatola di bic a punta grossa?
Rilancio
So che alcune delle persone che ogni tanto danno un occhio al blog hanno ben altre competenze in termini di tecniche per favorire e facilitare la partecipazione. Per questo chiedo – ad esempio a Cristina o a Doris – di esprimersi, di segnalare qualche idea simpatica e furba;-)
Ciao Graziano,
da tanto tempo non passavo dal tuo blog.
Noto una nuova veste grafica, di piu’ immediata fruizione. Complimenti!
Leggo con particolare interesse questo post e da non esperta (non mi chiamo Cristina ne’ Doris….) mi vien da fare una considerazione.
L’imbarazzo che si percepisce in queste situazioni, dovuto forse al fatto che e’ sempre difficile parlare in pubblico ed essere al centro, anche se momentaneo, dell’attenzione per chi non ci e’ abituato, e’ un dato di fatto.
Ben vengano allora queste piccole “attenzioni”, che permettono ai partecipanti di superare questo imbarazzo e di mettersi in gioco.
Concordo poi in pieno con questa tuo pensiero:
“Al termine di lavori di gruppo mi viene spesso da considerare che si riesce a partecipare se si hanno cose da dire, se c’è uno spazio per pensarle, e se non sono emotivamente troppo onerose o aggrovigliate.”
Alla prossima.
ciao
Grazia