Avevo pensato di citare un brano dalle ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza. Ne ho lette alcune per cercare un passaggio che potesse dire il valore del 25 aprile. Testimonianze struggenti a rischio di uso retorico.
Ricordare, celebrare, festeggiare il 25 aprile?
Tre modi di porsi rispetto al passato (e al presente) che non possono dirsi equivalenti.
Fare memoria, risalire nel tempo per considerare vicende e movimenti. Non solo rievocare condizioni, sofferenze, persone affincé non affondino nell’oblio. Rileggere per conoscere gli intrecci della storia e sottrarre le sue inconcepibili assurdità alle semplificazioni. Ricordare: interrogare, riportare al presente, provare a comprendere.
Celebrare. In bilico tra l’enfasi politica e l’affermazione di una discontinuità. Collocare un avvenimento in una dimensione simbolica, sottrarlo allo scorrere della temporalità, stabilire una incommensurabilità mitica rispetto all’attualità.
Festeggiare. Incontrarsi gioire per lo scampato pericolo, riconoscere la ricchezza dei raccolti, ringraziare. Sospendere il corso della quotidianità, rivivere il passato e fare spazio al futuro, ritrovarsi. Rinsaldare i legami e rinnovare l’impegno di una comunità a relazioni pacifiche e inclusive.
25 aprile: resistenza, liberazione, rinascita.
Un rito che rivendica e rassicura i vincitori e ammonendo i vinti?
Una festa che consente di riaffermare un fondamento irrinunciabile: solo riconoscendo l’altro è possibile la libertà individuale e la convivenza sociale?
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