Sei gradi è una trasmissione di Radio3, in onda nei giorni feriali alle 18:00. La formula è (in apparenza) semplice. Paola De Angelis introduce e propone sette brani. C’è un brano di partenza e uno di arrivo. Un brano è collegato all’altro da aspetti marginali, curiosi, inattesi. Si tratta di composizioni diverse: autori, generi, tempi, storie… Ma fra loro c’è un punto di contatto. Una connessione. E ascoltando la trasmissione ci si chiede dove si viene condotti, quale sarà l’elemento successivo, cosa ci avvicinerà ad un compositore, ad un cantante facendoci fare salti impensabili. Si potrebbe (e credo forse sia così) immaginare che la trasmissione riprenda la teoria del sociologo Stanley Milgram che negli anni sessanta aveva dimostrato che ogni persona è divisa da una qualsiasi altra da sei contatti intermedi di conoscenza. La teoria dei Sei gradi di separazione circola ormai in forma di affermazione incontrovertibile, introdotta da un “Si dice che… con sei passaggi puoi raggiungere chiunque nel mondo”. E forse è davvero così. Ma non è tanto la separazione ad intrigarmi, quanto le infinite connessioni possibili, e fra quelle, le attuabili.
Nel caso del programma radiofonico Sei gradi, le connessioni attuate determinano configurazioni temporanee curiose e piacevoli. Si ascolta la radio con il gusto di scoprire qual è il punto di contatto, l’innesco che consente l’aggancio, la porta per passare da una storia ad un’altra, da una atmosfera a un’altra, da una canzone ad un’altra. Da un mondo a un nuovo mondo. Ora, quello che interessa a me è l’idea di connessione in (leggera) contrapposizione al concetto di struttura. Mi capita di lavorare con persone che tendono a prediligere strutture piuttosto forti e definite. Strutture che possono venire sottoposte a discussione solo se davvero si rivelano fallaci. Strutture difficilmente abbandonabili. Rassicuranti. Strutture di pensiero delle quali, a volte, si è perso il ricordo mentre permane la loro azione organizzatrice.
Sei gradi prova che è possibile fare diversamente. Che non è necessario ascoltare solo musica classica, che se la si ascolta non necessariamente si devono ascoltare composizioni del settecento e poi dell’ottocento e poi del novecento. Che l’ordine non deriva dagli elementi più in vista (oboi con oboi, viole con viole, ottoni con ottoni, se è camera non è orchestra…) o dalle comunanze ovvie (autori italiani, tedeschi, francesi, inglesi: vietato mescolare). Che non si devono raggruppare le performance per scuole o per etichette (neppure se sono discografiche).
Sei gradi mostra, pomeriggio dopo pomeriggio, che cosa significa mescolare, costruire connessioni. Avvicinare, mettere in contatto, far dialogare, favorire il riconoscimento, ricercare trame, ammettere condivisioni tenui. E l’effetto sono le configurazioni attuali fra quelle possibili. E molti ascoltatori nel propongono altre, se non alternative, almeno varianti. Cosa succede nelle cose che facciamo, nel nostro lavoro, nella nostra vita se ammettiamo le molteplici connessioni che vorrebbero rivelarsi e che le strutture nascondo? Se ricerchiamo nuove connessioni?
Pingback: #paresday2015 (confronto professionale) | Mainograz