Le metafore hanno una potente energia adesiva, ti ingarbugliano, ti irretiscono, ti ammaliano.
Ma sono più simili a labirinti che a scale mobili perfettamente illuminate.
Hanno uno o più lati oscuri, sapientemente celati.
Prendiamo due metafore che in un recente seminario sono state utilizzate per enfatizzare i vantaggi e la praticabilità (i pregi e la desiderabilità) della cooperazione fra piccole organizzazioni.
Le metafore dell’alveare e del formicaio.
Le due metafore hanno costellato il via vai di interventi (quasi un tormentone), innescate dalle immagini proposte nei lucidi da due dei relatori intervenuti. La concomitanza mi è parsa fortuita, l’indipendenza delle scelte è stata subito avvertita come una casualità convergente, ripresa come elemento di rinforzo, quasi un’asseverazione della implicita auto evidenza delle metafore.
Quali sono gli aspetti che contribuiscono a rendere le metafore luminose?
Nel formicaio:
Nell’alveare:
È vero che negli alveari e nei formicai c’è cooperazione.
Ma anche divisione del lavoro, specializzazione, gerarchia e ruoli definiti (e non negoziabili), e non mi sembra prevalgano libertà e democrazia.
Quanto poi alla collaborazione intercomunitaria dobbiamo rifarci ai film di animazione, anche se verrebbe da pensare che in natura le forme di collaborazione costituiscono gli ecosistemi (già la collaborazione… mi pare un costrutto tutto da esplorare: in che termini si può parlare di collaborazione ambientale?).
Nel seminario le due metafore hanno imperversato, quasi cancellando lo spirito critico che in genere contraddistingue le micro-organizzazioni e che trova spazio negli incontri di più persone dove per il fatto di essere in gruppo sembra più facile (ed interessante) essere critici (e invece questa volta no, chissà perché).
Ripensandoci mi chiedo se – nella specifica situazione – non si sentisse l’esigenza di narrazioni che rassicurassero collettivamente, che servissero da stendardi per alimentare un immaginario collettivo non (auto)distruttivo, che lasciare in ombra il lato oscuro delle due metafore fosse funzionale – lì, in quel momento – per le persone convenute, in relazione ai ruoli di rappresentanti delle organizzazioni di cui fanno parte.
Sono giorni che mi gira in testa la metafora che Giancarlo Ottaviani utilizza per riassumere la sua posizione sulla situazione economica: “Riordinare le sedie a sdraio sul ponte del titanic non risolve i problemi” (Joseph Stiglitz, nobel per l’economia).
Mainograz è il blog professionale di Graziano Maino, consulente di organizzazioni e network, professionista indipendente (legge 4/2013).
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le metafore (quelle serie e ben riuscite) hanno qualcosa di magico. non basta trovare dei paralleli tra caratteristiche.. bisogna gettare luce su quello che sfugge e così generare lo stupore di cui parlava vittorio (almeno credo).
prossimo punto del lavoro di gruppo: questione metafora!
! ;-)
…..e sulla metafora c’è pure MAGLIA O UNCINETTO di Luisa Muraro!!
v
Grazie Vittorio.
Grazie Riccardo.
Cerco il libro che suggerito da Riccardo.
Anche perché ‘cos’è una metafora’ è l’espressione più digitata tra tutte quelle che hanno condotto a Mainograz.
Da un certo punto di vista verrebbe da scrivere seguendo i temi che conducono al blog.
Quanto alle metafore poi sono anche un potente strumento in sede di consulenza. A volte per cercare di trovare un filo negli incontri e nelle discussioni, nei punti di vista di diversi interlocutori si considerano le metafore utilizzate.
E spesso nelle interviste si sollecitano.
;-)
La metafora, il mito religioso od eroico che sia, ha sempre trasportato in se insegnamenti analogici. I miti di qualsiasi tempo sono percorsi mentali, sono il filo di Arianna, il sottile fil rouge necessario per (ri)trovare il giusto percorso mentale nel labirinto della mente, un labirinto che porta spesso a combattere con il minotauro del cervello limbico. E quando la via non esiste essa si crea proprio grazie alle associazioni mentali prodotte dalla storia mitologica. Una volta creata la via gli archetipi legati ontologicamente dalla medesima analogia del mito, ovvero il medesimo filo rosso, possono usufruire di questa conoscenza “nascosta” presente in termini di collegamenti neuronali all’interno della corteccia cerebrale. Il mito è quindi lo strumento in mano dell’umanità per addestrare la mente, per creare determinate connessioni.
Consiglio il seguente libro:
Metafore Terapeutiche
Modelli e strategie per il cambiamento
David Gordon
Astrolabio Edizioni
se la metafora che si utilizza non produce uno scarto, uno sforzo di pensiero, un briciolo di stupore ed anche un pochino di fatica, se non altro per fare la ‘connessione’ tra la metafora ed il contenuto che essa ‘porta’ (e nello stupore ci deve stare anche quella sorta di leggero piacere estetico….le sedie a sdraio del titanic, mirabolante!), ecco, se una metafora non è questo, ma la ripetizione di un luogo comune irriflesso (cioè prende la sua forza proprio dal fatto che NON stimola il pensare, ma l’adagiarsi sul già conosciuto e consolidato), questa metafora non produce nulla se non ripetizione, rassicurazione, stabilizzazione. Api e formiche!
Ci facessero per una volta amare gli sciacalli!!!
vittorio