Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni
Le note che seguono presentano alcune considerazioni sul ruolo degli osservatori nei gruppi di ricerca costituiti nell’ambito del corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni, corso che si tiene nell’ambito dell’indirizzo magistrale “Psicologia dei processi sociali, decisionali e dei comportamenti economici”, presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Bicocca di Milano.
Anche quest’anno il format del corso (nel solco dell’impostazione che progettata da Marco Brunod e Monica Colombo a partire dall’anno accademico 2005-2006) ha previsto la costituzione di gruppi di lavoro con il compito di sviluppare alcune ricerche conoscitive di organizzazioni, per provare a rendere visibili le loro specificità, a identificare elementi di forza e aspetti di criticità,ad individuare aspetti problematici affrontabili e a prefigurare possibili interventi o azioni.
Ciascun gruppo di lavoro ha individuato una realtà organizzativa da avvicinare grazie al contatto di un/a componente del gruppo (portatore/trice di caso). Nel costituire i gruppi di ricerca, alle persone che sono entrate a farvi parte, è stato inoltre chiesto di identificare una figura di coordinamento e due figure di osservatori.
Se la figura di coordinamento è apparsa (ai più) immediatamente chiara, suscitando quindi minori incertezze (anche se l’impressione di avere rappresentazioni comuni su un ruolo rivelarsi essere solo un vantaggio temporaneo), nel caso degli osservatori invece, la scelta non ha contribuito a chiarire cosa dovessero fare, in che modo dovessero dare il loro contributo, quale era la loro funzione nell’economia della ricerca e del lavoro di gruppo.
Cosa osservare
Una questione che i gruppi riportano essersi immediatamente posta è cosa osservare. Attraverso il confronto interno sono stati distinti tre possibili aree di osservazione:
Rispetto al porre al centro delle attività di osservazione le dinamiche di gruppo di tratta forse di precisare meglio quali aspetti sono sembrati interessanti. Si possono osservare le relazioni fra i membri del gruppo, le modalità di inclusione e di esclusione delle persone, il formarsi di sottogruppi, come il potere viene gestito, circola, viene ostacolato nel gruppo, come i membri prendono parte e intervengono nel prendere parola, dare il loro apporto, quali regole implicite emergono ed esplicite si concordano…
In alcuni gruppi la posizione di osservatori ha implicato uno status di partecipanti distanti: osservare è sembrato significare non prendere parte alle attività, ma ritagliarsi un ruolo di ‘sopra-visione’. Una tale posizione/attività ha suscitato fastidio per una certa invadenza (e un certo ‘potere inquisitivo’) e la preoccupazione di compito di indagine, svolto allo scopo poi di valutare e giudicare (‘siamo sotto esame e verremo giudicati dai nostri colleghi’). Anche per effetto delle sensazioni di controllo questo lavoro non è sembrato sostenibile né per gli osservatori (che si sono sentiti immediatamente guardati con sospetto e marginalizzati) né per gli altri membri del gruppo.
Riflettendo su cosa servisse allo sviluppo della ricerca e quali attività potessero essere d’aiuto (cercando evitare blocchi e di allentare le preoccupazioni) è emerso che forse poteva essere attivare forme di partecipazione degli osservatori (eventualmente meno intense) alle attività e allo sviluppo del lavoro, forme di collaborazione e contributi nel trovare soluzioni, determinando per gli osservatori attività più sostenibili e utili. Quanto all’osservazione dell’organizzazione oggetto della ricerca, all’identificazione di elementi da approfondire, questo è parso un compito che investiva l’intero gruppo di ricerca e non i/le soli/e osservatori/trici.
Una metafora che forse può aiutare a mettere a fuoco il ruolo delle figure degli osservatori è quella del navigatore che siede a fianco al pilota di rally. Il navigatore è parte del sistema. Lo osserva da fuori come l’allenatore a bordo campo che richiama, segnala, incita, urla… Il navigatore non guida, ma senza il suo apporto la guida si fa reattiva e molto meno capace di tenere conto di quello che ci sarà dopo la curva successiva… l’allenatore non gioca, ma senza le indicazioni e la presenza, mancano feedback e una visione complessiva dello svolgersi del gioco. Chi ha studiato il ruolo dei navigatori? Chi quello degli allenatori? Saranno le metafore adatte? Chi sa, parli (o segnali:-)
E vale la pena segnalare che ci sono diverse professioni che richiedono forme di condivisione delle attività e ruoli di osservazione in itinere… Chissà come e in quale posizione si pone chi osserva?
Come osservare e restituire
Si possono intraprendere vie diverse, svariate le possibilità. Nelle passate edizioni del corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni, alcuni gruppi avevano scelto di istituire una sorta di diario di ricerca (diario di bordo), altri avevano preferito utilizzare lo scambio di mail intercorso, considerandolo un deposito di quanto andava sviluppandosi, un giacimento di scambi epistolari. Alcuni gruppi avevano optato per un ritorno settimanale al gruppo. Altri guidavano l’osservazione mediante griglie concordate con il gruppo stesso, lasciando i ritorni ad occasioni determinate dagli osservatori, in altri gruppi la trama dei ritorni non è stata strutturata, non si è utilizzato un canovaccio molto lasco, concordando piuttosto il momento della restituzione (a fine incontro, ogni settimana, se possibile con una breve nota scritta).
Due elementi possono venire richiamati:
Perché?
Qual è il senso dell’aver introdotto le figure degli/le osservatori/trici? Questa è una domanda che persiste. L’ipotesi è quella di mettere in funzione un dispositivo di aiuto al gruppo nell’affrontare la complessità del compito affidato, con l’obiettivo di consentire al gruppo di lavoro di avere ritorni per riflettere sul modo di lavorare adottato. Gli osservatori possono svolgere sia un compito di monitoraggio sia un compito di restituzione. Possono prestare attenzione a quello che accade, raccogliere gli elementi che ritengono (o che hanno concordato essere) più significativi, gli aspetti trascurati, marginali, provare a fissare lo svolgersi degli eventi… per rendere disponibili all’intero gruppo materiali da considerare: non tanto giudizi o sentenze, quanto piuttosto rilevazioni (certo parziali e soggettive) ma sempre punti di vista altri da poter considerare, da poter confrontare con i propri… Si tratta di mettere a disposizione dell’intero gruppo informazioni, elementi, tracce o sintesi per sviluppare pensieri sulla propria attività e sulla propria esperienza. Gli osservatori hanno il compito di predisporre i materiali affinché siano facilitati processi di scambio e di apprendimento a partire dalle attività e dalle esperienze collettive.
Perché due persone e non una?
Più di un gruppo ha segnalato di avere scelto un uomo e una donna. Si è forse voluto sottolineare l’importanza delle diverse sensibilità di genere? O si è trattato di una scelta casuale? In ogni caso due osservatori mettono in campo due prospettive. Non una sola voce, ma almeno due attenzioni, due restituzioni… e la possibilità di sviluppare restituzioni in dialettica, di mettere a disposizione del gruppo considerazioni meno unilaterali (che corrono il rischio di conservare un vago retrogusto di sentenza inappellabile). Un doppio punto di vista rappresenta e simboleggia la pluralità dei punti di vista assumibili e ammissibili. Osservare per disporre di materiali che consentano di rielaborare l’esperienza, di riconsiderarla, di riflettere, di sviluppare apprendimenti, a partire da sensibilità, attenzioni, curiosità diverse (ecco due osservatori all’opera).
Considerazioni: tre utilità
Ripensando al ‘dispositivo’ degli osservatori ho provato a raccogliere le idee e a riconsiderare le ragioni che motivano l’introduzione delle figure degli osservatori e gli effetti che si determinano. Tre mi sembrano gli aspetti che possono venire considerati:
Osservatori: autorità laterali?
Guardando alle esperienze dei gruppi di ricerca (nelle ultime quattro edizioni di corso si sono costituisti complessivamente trentatre gruppi di ricerca) ho l’impressione che in certo modo gli osservatori si pongono e sono considerate figure di autorità laterali. La loro presenza e l’esercizio del compito più o meno silente e continuo, sembra indurre maggiore concentrazione nel gruppo. È come se i componenti dei gruppi si trovassero di fronte a figure che sollecitano con la loro presenza e la loro attività lo svolgimento i compiti concordati o assegnati, determinando una sorta di effetto Hawthorne, o forse, di autoattenzione. In qualche modo introducendo due osservatori si moltiplicano le autorità, i soggetti che esercitano un controllo, che anche con la sola presenza ricordano il compito da svolgere. Non è chiaro se gli osservatori impersonifichino un’autorità esterna (il docente) vista la modalità di attivazione del ruolo indotta in avvio del corso dal docente stesso, benché non vi sia alcun compito di restituzione a quest’ultimo e il destinatario delle loro osservazioni/considerazioni sia esclusivamente il gruppo stesso, o se invece esprimano un’autorità interna supplementare, che assume simbolicamente lo sguardo del gruppo stesso sulla partecipazione dei suoi membri, un’autorità che simboleggia un (auto)controllo.
Gli osservatori sembrano poter assumere la posizione che Manoukian nel suo contributo La consulenza organizzativa pubblicato su Spunti 2/1999 attribuisce al consulente: laterale, extraroutinaria e disimmetrica con l’obiettivo di cogliere segnali, a volte anche deboli, e renderli disponibili a chi fa parte dell’organizzazione ed è catturato dalle routine operative.
È cruciale per il consulente ascoltare e vedere con uno sguardo riflessivo che è in grado di guardarsi mentre guarda. È questo vedere, senza restare abbagliati e senza pretendere di avere tutto chiaro, che permette di “far vedere”, in varie forme ai diversi interlocutori dell’organizzazione, le visioni dominanti che inquadrano e rassicurano, ma anche ingabbiano e accecano e le visioni possibili che aprono altre prospettive; visioni che condensano il sapere costituito, che fa così parte dei modelli culturali interiorizzati da essere dato per scontato e naturale.
(Manoukian, 2/1999, p. 9)
L’osservatore in questo modo svolge una parte delle attività richieste al consulente. Si colloca nella posizione di attivatore di successivi momenti di riconsiderazione, assumendo o promuovendo l’assunzione di una prospettiva di autorità laterale.
Osservare per restituire feedback: un aiuto per il gruppo
Schein, nel recente libro Le forme dell’aiuto. Come costruire e sostenere relazioni efficaci (2010) prende in considerazione la costruzione del gruppo di lavoro. E l’osservazione viene classificata come una forma essenziale di aiuto, un contributo collaborativo al gruppo di lavoro che viene definito “un insieme di relazioni multiple di aiuto, che coinvolge tutti i membri del gruppo destinati a lavorare insieme” (Schein, 2010, p. 91). Attraverso i feedback, frutto di osservazioni, si consente al gruppo di riesaminare le proprie performance, stabilire cosa funziona in modo efficace e cosa può valere la pena modificare.
Il feedback interno per il gruppo è cruciale per la costruzione del gruppo e per le performance. Schein (2010, p. 96) suggerisce di esaminare il lavoro svolto non solo nelle fasi di costituzione ma anche al termine delle fasi di lavoro. Propone di (mettere sotto osservazione e di) considerare tre aspetti: come sono state svolte le attività attese, quali interventi non previsti le persone che fanno parte del gruppo hanno intrapreso a fronte di situazione impreviste, cosa non si è rivelato utile (e perché). In questa prospettiva valutativa l’attività di osservazione dovrebbe offrire un punto di vista sufficientemente vicino e sufficientemente distaccato tale da fornire elementi da considerare. Osservazioni accurate e feedback veloci aiutano a modificare i comportamenti (Weick e Sutcliffe, 2010, p.158): gli osservatori forniscono spunti e indicazioni che sollecitano i gruppi di lavoro e inducono confronto, riflessione e rielaborazioni.
Consideriamo allora i suggerimenti che Weick K. E. e Sutcliffe K. M. forniscono nell’ultimo capitolo di Governare l’inatteso. Organizzazioni capaci si affrontare le crisi con successo, Cortina, 2010 (ed. or. 2007). Notiamo che l’osservazione è la base per apprendere dall’esperienza. Osservazioni che possono essere giocate nel corso dell’azione per reindirizzarla, osservazioni (degli aspetti critici incontrati e affrontati) che possono venire esaminate, al termine degli avvenimenti, per trarne spunti utili alla rielaborazione.
Da un certo punto di vista introdurre figure di osservazione tiene desti rispetto ai primi tre dei cinque principi attraverso i quali Weick e Sutcliffe articolano la mindfulness che caratterizza le organizzazioni capaci di affrontare l’inatteso: prestare attenzione alle criticità,opporsi alle semplificazioni promuovendo molteplici letture, rimanere vigili, connessi con quanto va sviluppandosi, senza cedere alle proprie aspettative o all’ipotesi che quanto avviene sia spiegabile e senza difficoltà interpretabile. Più si osserva e più si contrastano cedimenti sfavorevoli.
La pratica dell’osservare e le informazioni che ne derivano sono poi essenziali nei processi di revisione durante e post azione. Grazie alle osservazioni è possibile porsi e rispondere alle seguenti domande (p. 145):
Si potrebbe dire anche che questo possono essere domande che orientano l’osservazione. Anche se si potrebbe osservare che un terreno di indagine e di riflessione è l’osservazione di ciò che si osserva o si è osservato. L’osservazioni effettuate (e le mancate osservazioni) sono il miglior carburante per alimentare la capacità di valutare, capacità che le organizzazioni dovrebbero mettere in campo per mantenersi ragionevolmente affidabili (sapendo che la potenza senza il controllo è nulla:-)
Un’ultima considerazione riguardo all’importanza di ricevere feedback. A mia volta nel ruolo docente/consulente avverto l’esigenza che sia possibile costituire uno spazio per riconsiderare il procedere del corso. Mi è sembrato di notare che lo scambio con le figure dei coordinatori dei sei gruppi di lavoro attivati quest’anno, oltre ad un piano operativo di regolazione delle attività, assuma anche un risvolto riflessivo in itinere. In certo modo mi sembra di chiedere alle figure di coordinamento di assumere il ruolo di osservatori nell’accompagnare lo sviluppo del progetto. Manifesto in questo modo l’esigenza di poter accedere ad osservazioni per moltiplicare i punti di contatto e orientarsi nella complessità del compito di facilitazione e conduzione. L’osservazione è la base per sviluppare apprendimenti e comprensioni connesse alle esperienze, e in questo senso la restituzione di osservazioni determina un ‘campo formativo’ per il gruppo e per i suoi componenti.
Osservare strumento per fare ricerca
Un ultimo spunto a proposito dell’osservare lo ricavo dalla voce “Osservazione partecipante” del Dizionario di psicosociologia. Lapassade ci ricorda che osservare è un modo per avvicinare e per provocare fenomeni sociali. Avvicinarli, entrare in contatto, poterli considerare in momenti e da osservatori diversi. Provocare: suscitare e provare reazioni, a loro volta foriere di informazioni. Nella voce del dizionario si declinano le varie modalità per attivare osservazioni, ma il punto che (banalmente) voglio sottolineare è che l’osservazione è in ogni caso un modo per… partecipare ai processi. Si può provare a regolare vicinanza e distanza, modalità esplicite, silenti, discrete. In ogni caso osservare è prendere parte e se anche l’osservatore può occultare il proprio intervento osservativo al gruppo compie in ogni caso un’esperienza che ha valore per sé, e che è molto probabile susciti pensieri e determini comportamenti che in modi non sempre consapevoli tornano al gruppo e ai suoi membri.
Bibliositografia
– Lapassade G., “Osservazione partecipante” in Barus-Michel J., Enriquez E., Lévy A. (a cura di), Dizionario di psicosociologia, Cortina, Milano, 2005, (ed. or. 2002), pp. 364-376.
– Olivetti Manoukian F., “La consulenza organizzativa”, in Spunti, Studio APS, Milano, 2/1999, pp. 5-10, http://www.studioaps.it/elaborazione/elabora_spunti_2.html.
– Schein E. H., Le forme dell’aiuto. Come costruire e sostenere relazioni efficaci, Cortina, Milano, 2010 (ed. or. 2009).
– Weick e Sutcliffe, Governare l’inatteso. Organizzazioni capaci di affrontare le crisi con successo, Cortina Milano, 2010 (ed. or. 2007).
Osservare permette di “mappare” non solo l’ambiente (fisico e relazionale) ma anche le azioni (meccaniche e forse anche sociali) garantendo a chi osserva la registrazione degli eventi e l’acquisizione di alcune competenze.
Recentemente a un seminario sui neuroni specchio ho appreso l’importanza di queste cellule nell’imitazione: esse si attivano semplicemente osservando un agente intenzionale all’opera “simulando” quello che dovranno fare quando l’organismo tenterà a sua volta di mettere in atto l’azione osservata!! Ciò sottolinea l’utilità di “prepararsi osservando gli altri praticare”!!
Gli sviluppi della ricerca su questo argomento si stanno dirigendo anche verso il sociale cercando riscontri nell’attività di questi neuroni e le performance sociali lasciando intendere che dall’osservazione si può trarre una conoscenza anche a questo livello.
Non so quasi nulla di neuroscienze (ma sono curioso di imparare).
Osservare è una azione essenziale per poter riflettere, elaborare e costruire una qualche rappresentazione su quello che (ci) accade.
La cosa più difficile è essere consapevoli della propria azione di osservatori.
Ci si può osservare mentre si osserva?
O altri ci si può far aiutare da altri che ci osservano.
Osservare e ascoltare sono azioni utili per poter agire.
Osservare e ascoltare sono già azioni intenzionali.
Altro non mi viene.
Vado a dormire.
(Forse è meglio).
secondo me non ci si può osservare mentre si osserva ma si possono acquisire le stesse informazioni (e non le capacità) per via indiretta: tramite un altro punto di vista (un altro osservatore) o una propria ricostruzione mentale (leggermente diversa da quella costruita osservando direttamente)… purtroppo il mio resta un parere e al momento non riesco a provarlo!
Oggi mentre aspettavo i miei bambini a judo, ho letto un avviso nella bacheca.
Ne riporto un brevissimo estratto: “In attesa della vostra ora di lezione, nel rispetto di chi pratica e della pratica stessa, evitate di parlare ad alta voce e preparatevi osservando gli altri praticare. Si può imparare molto usando questo metodo: è come guardare voi stessi, dal di fuori”.
Giusto due aggiunte, frutto di uno confronto nel merito di un processo di osservazione in corso.
Un componente di un’équipe di ricerca, descrivendo le modalità di osservazione che sta praticando, ha notato che un elemento recentemente introdotto è l’ascolto.
Nell’osservazione partecipante ha acuito l’attenzione per i commenti, le conversazioni, le lamentele, gli apprezzamenti, i giudizi…
Osservare intenzionalmente è anche ascoltare con maggiore attenzione.
Un secondo aspetto riguarda la selezione degli elementi da considerare. Dal racconto del collega sembrano identificabili due momenti.
– Dapprima un’osservazione-ascolto indifferenziata, a tutto campo, dove l’accresciuta propensione a rilevare molteplici segnali determina un sovraccarico di elementi da considerare.
– Poi, dopo una prima revisione dei materiali, avviene una sorta di selezione di alcuni punti focali (o segnali rilevanti). A questo punto l’osservazione-ascolto tende a concentrarsi su specifici elementi.