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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Innovazioni e schemi mentali

Perché è importante considerare le rappresentazioni dell’innovazione che abbiamo in testa? Si tratta di idee di cui siamo poco consapevoli, ma che funzionano come coordinate culturali che guidano le nostre azioni (e le nostre reazioni) regolando aperture a nuove concezioni e alla possibilità di cambiare (anche solo un po’) il nostro modo di apprezzare le opportunità (o intravedere i pericoli) che ci circondano.
Lavorando con alcune organizzazioni e discutendo di innovazione con le persone che le dirigono ci siamo accorti di alcune precomprensioni difficili da identificare per il fatto che si costituiscono come strumenti per ragionare, sottraendosi così all’esame critico.

Tre modelli mentali

Innovazione come scoperta
L’innovazione è un miracolo, un insight, un’idea che risolve, come colpo di genio. Prima non c’è e poi – paff – c’è. È inutile dannarsi, si presenta all’improvviso, quando nessuno l’aspetta, e inutile è aspettarla. L’innovazione si palesa a capriccio suo, ma in quel momento tutti sapranno riconoscerla, ne sentiranno la possanza, ne saranno ammaliati, non ne potranno dubitare, non la potranno scavalcare. Quando ci sarà, allora sarà a chiaro a tutti. È inutile dannarsi: non sappiamo né il giorno, né l’ora: l’innovazione è pura serendipità. Se le cose stanno così alcuni  soggetti accorti si attrezzano per affinare le loro capacità di scansionare il mondo, le esperienze, i concorrenti, internet…

Innovazione come ricerca
L’innovazione è pazienza diffusa, è scavo, lavorio… L’innovazione non si trova, si fa. La si fa passo dopo passo, in modo ordinato e meticoloso, curando i dettagli, provando e riprovando, cercando per ogni dove, senza posa, con misurata bramosia. L’innovazione è l’accumulo di molteplici risultati, di intrecci di vie tentate, abbandonate, riprese, è compattamento di microsuccessi. L’innovazione è persuasione, coinvolgimento, sodalizio, aggregazione. L’innovazione è movimento, calpestio, brontolio, folla che si fida e che alla fine applaude. Se l’innovazione è il risultato di lavoro inesausto allora non resta che mettersi (e mettere) all’opera…

Innovazione come irruzione
Ah, se giungesse da via – da fuori – qualcuno a trarci dalla presente condizione… L’innovazione è desiderio di nuova conduzione, di leadership scartante, accelerante, risolutiva. L’innovazione è attesa (preghiera) di un colpo di fulmine.
Serve un nuovo condottiero(a), che promuova, visibilizzi (incarni) il nuovo corso. Un genio che superi l’impasse, di slancio, con decisione. Che indichi la nuova via e la nuova meta, che la assicuri (ci rassicuri).
Innovazione come discontinuità, come superamento, distacco, trascendimento, evasione, come rapimento.

Innovazione come progetto

Non solo blow-up risolutore, non solo paziente accumulo, non solo autorevole inserzione. L’innovazione è anche questo, e questo, e questo, ma non solo… Tre prospettive se non complementari, potenzialmente mescolabili. Provo ad avanzare l’ipotesi che l’innovazione possa essere piuttosto un progetto che importa script dalle precedenti idee guida per ricombinarli in un tracciato scomposto, esposto al rischio dell’insuccesso, venato di ambivalenze, ma pure pensato ed orientato verso evoluzioni considerate importanti. L’innovazione può essere descritta con un’immagine meno definita e più incerta, ma forse più realistica e praticabile.
E naturalmente per proseguire si tratta in qualche modo convenire sul senso del termine progetto. Progetto:

  • un’intenzione di cui è possibile dire a quali problemi risponde, quali fattori considera e – in linea di massima – quale tracciato immagina;
  • un disegno, se non dettagliato, sufficientemente articolato per poter vagliato;
  • una proposta accompagnata espliciti riferimenti di metodo;
  • un qualche approdo, lontano, ma non troppo lontano;
  • il senso dell’agire degli attori coinvolti, la loro sfera di responsabilità: quali gli interessi e quali le reazioni immaginabili.

Per non finire con l’essere un piano ordinato (e quindi strumento per reimmettere pensieri lineari votati ad incontrare disappunti) un progetto di innovazione potrebbe considerare alcuni criteri per relativizzare le aspettative degli attori coinvolti:

  1. Puntare a mettere in contatto informazioni sconnesse, promuovendo interazioni che consentano gradi di libertà.
  2. Considerare che spesso le soluzioni che appaiono logiche e desiderabili all’osservatore coinvolto sono inadeguate per effetto delle pressioni dovute a cambiamenti sociali e culturali;
  3. Considerare l’originalità come la capacità di connettere in modo inatteso, di ricombinare secondo schemi che ammettono categorizzazioni inclusive;
  4. Promuovere configurazioni intermedie, parziali, insature.

Qual è il metamodello?

Nelle tre idee di innovazione – presentate nel primo paragrafo – prevale un metamodello di pensiero che sembra implicare che l’innovazione dipenda dalle rappresentazioni soggettive (dall’immaginario organizzativo) e non anche dai contesti, dalle interazioni fra organizzazione e contesti, dalle risorse disponibili, dalle sollecitazioni scomposte e solo parzialmente prevedibili dei diversi attori.
Forse la proposta di rappresentarsi l’innovazione come progetto consente di considerare le molteplici variabili rimandando ai soggetti non tanto il compito di assumersi l’intera responsabilità dell’innovazione, quanto quello di essere consapevolmente attivi nella complessità degli elementi in gioco.

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