Questa mattina sono uscito presto.
Mi sono diretto verso il centro della città.
Sono nato qui e abito qui.
E quasi non mi sono mai spostato.
So (per averlo letto) che la conoscenza della realtà è impossibile.
E perché ho ripensato a questa ovvietà?
Perché ieri, alle 16:18 ho lasciato l’edificio comunale e sono uscito in strada.
Faceva caldo.
Sul lato destro della piazza sono andato incontro a un gruppetto di ragazzi che mi venivano incontro.
Ci siamo evitati.
Ignorandoci come impongono le regole della coesistenza sociale.
Cosa so di questi ragazzi?
Nulla.
Cosa so di questa città?
Pochissimo.
Alle 18:32 il sole tracolma nello scalone della biblioteca e impedisce a chi entra dal mezzanino di aprire gli occhi.
Abbagliato devo fidarmi che il mio piede incontrerà il pavimento.
E allora?
Allora ho capito che vivo tempi e spazi isolati e non so cosa succede altrove e contemporaneamente.
Come posso parlare di qualcosa che conosco solo nelle proiezioni che costruisco?
Come posso pensare a qualcosa che non ho mai osservato?
Certo, attraverso la città, di norma alla stessa ora.
Quasi sempre gli stessi tragitti.
Cosa so di quello che succede alle 19:07 nella piazza della Posta?
Nulla.
Per questo ho preso una decisione.
Devo andare in posti diversi, a orari diversi, e registrare quello che vedo e sento.
Non è una decisione epocale.
So che se sarò là non potrò essere dove sono di solito.
Ma le abitudini e le loro leggi vanno sfidate.
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Vero. Ci sono posti che ci accolgono e che ci fanno sentire bene.
Ci sono posti, vicini, che non abbiamo mai visitato.
Quasi quasi organizzo una visita guidata ai posti dove non sono mai stato, cercando di passare il minor numero di volte per posti conosciuti.
Quasi quasi lancio un itinerario…
ciao Graziano. oggi ho deciso di aggiungere un mio piccolo commento. nulla di che… teniamo le aspettative basse (il tema delle aspettative è affscinante, e meriterebbe ore e ore di colpi sulla tastiera…). il tuo post ha mosso in me una sensazione che, stranamente, provo aggirandomi nella zona in cui, da non molto, abito. mi sono trasferito a rovereto, davanti al trotter, a milano, il 1 novembre 2011. zona nuova, per me. mai statoci prima. si, accompagnavo i miei due figli a scuola al trotter, ma al di là di questo… nulla.
eppure, fin da subito, uscendo per recarmi al bar, o per andare al ferramenta per i tipici acquisti indispensabili per chi entra in una casa nuova e semi vuota, ho invece provato la sensazione di essere nella mia zona. mia, nel senso di aver sempre vissuto lì. e mi riferisco a quel sentire i marciapiedi e le vie… amiche, conosciute, fidate. luoghi che mai mi riserveranno delle brutte sorprese. ecco, questo ho provato, andando a vivere a rovereto. la sensazione di familiarità, di fiducia, di accoglienza… eppure, come tutti noi, esco la mattina, e faccio ritorno la sera. punto. il sabato e la domenica faccio qualche giro, sai, il tabaccaio, il bar, la sartoria, il ferramenta… quei giri lì, normali. eppure, ogni volta, respiro l’aria di casa mia. della mia zona.