Twitter si può usare in molti modi. Intuitivamente è così per ogni strumento e ancora di più per le tecnologie digitali. Sarà per via della loro disponibilità, per la vastità degli utilizzatori, per le caratteristiche intrinsecamente sociali e facilitate? Per altro ancora?
A proposito di Twitter (in Italia meno diffuso di Facebook), vorrei raccontare quattro micro-esperienze che mi fanno pensare. Ci aggiungo poi un paio di considerazioni semiserie – agglomerati di apprendimenti incompiuti – che mi divertono (e al più faranno sorridere).
Quindi il post si divide in due parti: microstorie e microapprendimenti.
[Ah, la ragione per cui ho scritto il post… Mi chiedo se Twitter possa essere utile alle imprese e agli operatori sociali, e come possano utilizzarlo.]
Come funziona Twitter? Bene bene non l’ho ancora capito. Non mi destreggio. Così ho pensato di passare dall’attonito-stare-a-guardare al tuffo sperimentale. Ed è venuto il gran giorno. Mercoledì 20 giugno 2012 ho provato a utilizzare Twitter con deliberato intento di ricerca (l’occasione mi è stata offferta da Pane, Web e Salame 3). Avevo già visto altri farlo in altri convegni, ma non mi ero mai pre/disposto, né attrezzato per farlo a mia volta. E così, non appena sono iniziati gli interventi, ho cominciato a scrivere quello che mi veniva in mente, ma riguardando poi i tweet sostanzialmente facendo diverse cose:
Se si dispone di una connessione flat di buona velocità, mentre i relatori parlano puoi twittare, puoi navigare sul web, controllare un’affermazione, cercare una parola che non conosci, correre dietro a uno spunto curioso, cercare un libro citato… Insomma un po’ (apparentemente) ti distrai e un po’ (inconsapevolmente) costruisci un tuo percorso di comprensione (lo si fa comunque anche senza Twitter, prendendo appunti e fissando idee che scaturiscono dagli appunti, seguendo i pensieri che si formano in testa, distraendosi, pensando altro collegandosi a precedenti esperienze, chiedendo, commentanto, disturbando, alzandosi). Insomma i nostri comportamenti sono ipertestuali (anche la nostra mente lo è), e la connessione flat amplifica questo effetto. Insomma se dovessi dire cosa ho sperimentato usando Twitter (con gusto e sorpresa) sintetizzerei cosi: ho cercato di costruire tracciati elaborativi amplificati e di collegarli con una comunità interattiva, reattiva e conversante.
[Col senno di poi, mi sono reso conto di avere iniziato a twittare troppo tardi, la fase di attesa, prima che il convegno si apra è essenziale, è la fase di presa dei contatti. Ma l’ho capito dopo.]
Di norma a lezione c’è uno strano brusio. Non si può dire che sia disturbo, è piuttosto un movimento collettivo trattenuto. Conversazioni di sottofondo. Non rumore, ma persone che pensano parlando tra loro. Che poi è quello che raccontano gli studenti (quando alla fine del corso raccontano di come è andata). In università la connessione è appunto flat. Protetti dagli schermi dei computer, seguono le lezioni in modi molto diversi: prendendo appunti, cazzeggiando, approfondendo, controllando le citazioni e gli autori, verificando le affermazioni, amplificando le sviste, gli errori e le boutade che ti scappano, rilanciando a partire da un’idea, commentando, raccogliendo materiale.
La lezione inizia quando si alzano gli schermi [posso vederli come barriere difensive o come passaggi, porte e finestre che moltiplicano le viste]. E molte teste ondeggianti, che ti guardano, e tornano a guardare i video, che si guardano, ammiccano, si fanno segno, che si cercano e tornano a guardare il video, non sono ricevitori passivi intenti a trascrivere le slides che presenti (quelle tanto ci sono, basta inviarle). Dietro ai sommovimenti e alle increspature c’è un lavorio incessante, individuale e di gruppo. Un’agitazione misurata che non coinvolge tutti (qualcuno si attiene al metodo classico, chiude i devices e prende appunti su carta), che coinvolge in modi diversi: c’è chi conversa e chi dibatte, chi prende appunti, chi segue, commenta e approfondisce, chi si distrae (apparentemente) e poi ritorna, chi moltiplica e amplifica, chi si perde dietro ai fatti suoi (e i risultati non sono esattamente i medesimi).
Con una differenza.
A Pane, Web e Salame 3 imperava Twitter, in università ho visto prevalere Facebook.
Chissà perché.
Sempre a Pane, Web e Salame 3 (grazie ancora a Fabrizio Martire per l’ospitalità), con Flaviano Zandonai abbiamo ascoltato l’intervento di Michele Aquila di U10 a proposito di libri fatti di tweets (tweetbooks). Mi sono portato a casa un rotolo di scambi, che mi gira in cucina, nel cesto dove si mettono tutte le cose che non hanno una precisa collocazione domestica. E questo papiro di tweets stampato sulla carta dei registratori di cassa di tanto in tanto fa capolino, a ricordarmi la possibilità di fare un libro piuttosto innovativo.
Fino a quando, l’altro giorno, non è arrivata l’email di Flaviano, annunciante la pubblicazione di #netnomics, un libro realizzato utilizzando lo stream di twitter (un tweetbook) che presenta contenuti del modulo sulle reti, modulo proposto dal corso L’innovazione nelle Imprese Cooperative e Sociali. Il libro si apre così:
@Editormanque – #netnomics è l’hashtag per seguire il modulo sulle #reti del corso @Euricse e @AICCONnonprofit. A domani! – May 17, 2012.
Apparentemente un insieme di segni (che ricordano le imprecazioni dei fumetti), di fatto un aggancio che, il giorno prima della formazione, è stato mandato ai partecipanti. La formazione non è solo lo spazio tempo definito dall’apertura dei lavori e dalla chiusura della giornata. Grazie alle tecnologie (ma non solo) inizia prima e… prosegue poi. Il tweetbook di Flaviano è particolare, per ora una novità. Ma potrebbe presto diventare l’apripista di una serie di volumi, un esperimento di un nuovo genere letterario. Vale la pena sfogliarlo.
[Ah, Editormanque non è un editor mancato, nonostante questo il gioco di parole e nonostante questa fosse l’origine].
Ultima micro esperienza.
Ieri, dopo due settimane di silenzio, due settimane senza sosta, sono riuscito a fare un post. Un po’ al volo. E come sempre l’ho rilanciato sui social network. Nel corso della giornata ho seguito l’andamento dei contatti sul blog. Su 100 contatti alle 21:00, 40 provenivano da Facebook, 15 da Linkedin, e nessuno da Twitter. Dove sto sbagliando?
Constato che non funzionano i rilanci dei post attraverso Twitter.
Potrebbe dipendere dalla comunità dei miei ‘seguaci’ (followers). Forse mi seguono persone che si sono sbagliate, che pensavano che avrei fischiettato cose interessanti per loro.
Forse devo applicarmi di più: c’è da studiare, c’è molto da capire.
E chissà quali possibilità mi sfuggono.
Mah… non è facile fare una sintesi ragionata delle (micro)esperienze.
Ma la domanda rimane: cosa se ne possono fare le associazioni, le cooperative, le imprese sociali di Twitter?
Quali usi creativi, utili, saggi, sobri, efficaci, allegri, pensierosi, affermativi, dubitativi, critici, propositivi, possono fare?
Mainograz è il blog professionale di Graziano Maino, consulente di organizzazioni e network, professionista indipendente (legge 4/2013).
Scopo di questo blog è esprimere il mio punto di vista su questioni che reputo interessanti e discuterne con chi ha piacere di farlo.
Non raccolgo informazioni di profilazione sulle persone che visitano il blog Mainograz.
Tutte le statistiche sulla fruizione del blog Mainograz (ad esempio sulle pagine visitate e sugli argomenti ricercati) mi vengono fornite in forma anonima e aggregata da Wordpress.com.
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Questo commento è… quasi un post.
Associo un pensiero: per chi ha il compito di condurre la docenza (o la formazione) si aprono molteplici possibilità.
– Atterrirsi.
– Ignorare.
– Attrezzarsi.
– Altro che non mi viene in mente.
Se è abbastanza chiaro che la formazione trasmissiva è tendenzialmente inefficace e spesso noiosa, la domanda riguarda i cambiamenti possibili nelle impostazioni formative (e non solo quelle rivolte agli adulti, o ai giovani adulti come accade in università).
Posso permettermi di confermare le sensazioni sulla micro-storia relativa a quello che succede in Unimib, forse essere sempre connessi è un opportunità.
Mi piace pensare che attraverso un uso intelligente della connessione si possa instaurare un nuovo tipo di fiducia, tra il docente e i suoi alunni: “vediamo se sono abbastanza adulti da interessarsi ed elaborare nonostante tutte le distrazioni di flatlandia”.
E viceversa tra gli alunni e i loro docenti: “mi fido di lui ma voglio elaborare quello che mi dice”.
Probabilmente è più interessante vedere gli schermi come “passaggi, porte e finestre che moltiplicano le viste” e per questo consentono di ragionare in un modo particolarmente educativo: “adesso controllo quello che dici e decido cosa mi interessa, come usarlo e come immagazzinarlo nella mia memoria” e completamente diverso dal classico “adesso imparo quello che mi dice il docente”.
Un ragionamento nuovo per le università? forse no ma sicuramente poco applicato nonostante una grande efficacia.
“Il pericolo di questa educazione … è di poggiare su un errore psicologico fondamentale: l’idea che la pappagallesca recitazione dei manuali sviluppi l’intelligenza. Si cerca perciò di imparare il più possibile e, dalle elementari fino alla laurea … il giovane non fa che ingurgitare il contenuto dei libri, senza mai esercitare il suo giudizio o la sua iniziativa.” (Gustave Le Bon, Psicologia delle Folle, 1895)