Giovedì 05 marzo 2015 welcome lesson di Psicosociologia dei Gruppi e delle Organizzazioni edizione 2014-2015. In programma:
Già, come rompere il ghiaccio?
Gli inizi, tutti gli inizi, e quelli formativi in particolare mettono ansia: non sono mai facili.
Ma non si possono (devono) evitare.
Le presentazioni sono un ‘fatto sociale’, essenziale per interagire: dire il proprio nome, darsi la mano, inchinare la testa, uscire da uno stato di relativa compostezza, sorridere (a volte), introdursi, essere visti, essere riconosciuti e riconoscersi come parte del sistema di relazioni in corso. Le presentazioni non si possono saltare, ma… se si è in tanti richiedono tempo. A volte sono già state fatte e la loro ripetizione risulta noiosa.
Altre volte ci si dimentica [chissà perché?].
Per qualcuno invece sono una perdita di tempo [mah…].
Diversi gli elementi che vorrei mettere in circolo a mo’ di presentazione, e diverse le domande che vorrei porre a chi partecipa quest’anno al percorso di Psicosociologia dei Gruppi e delle Organizzazioni:
Insomma, per avviare un percorso di lavoro che durerà tre mesi (marzo-maggio 2015), c’è l’esigenza di farsi una prima idea sulle persone che prendono parte al percorso formativo. Tuttavia non è agevole – se non in modo rapsodico – raccogliere e socializzare notizie utili.
Volendo elencare gli obiettivi formativi del corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni, potremmo articolarli così:
Apprendimenti
Produzioni
Competenze
Il corso propone un’esperienza di ricerca sul campo in gruppi di lavoro con tre obiettivi:a) sviluppare nuove conoscenze e competenza di ricercaintervento, b) riflettere sulle pratiche di intervento nelle organizzazioni e sull’esperienza di apprendimento che verrà sviluppata, c) intrecciare relazioni di collaborazione con le persone che frequentano le lezioni.
“Nella prospettiva psicosociologica, apprendere non significa acquisire attraverso processi trasmissivi preordinati. L’apprendimento si realizza attraverso rielaborazioni dell’esperienza” (Brunod, 2006).
I tre inserti che seguono mirano a collocare il percorso di apprendimento all’interno di un contesto più vasto, caratterizzato da problemi diversi. I contenuti del corso verranno via via presentanti, ma qual è la cornice di senso che sorregge la proposta formativa? Il corso richiede una partecipazione attiva con l’idea di sperimentare approcci e strumenti utili non solo nell’operatività immediata, ma anche in condizioni di lavoro e di ricercaintervento nelle organizzazioni. Con alcune accortezze: la complessità delle situazioni operative richiede di essere sia ricettivi sia focalizzati, due disposizioni che identificano l’approccio creativo. Un salto di qualità è pensare l’approccio creativo non come frutto di azioni individuali, bensì di gruppo. Che è poi quello che viene richiesto a chi si trova ad operare nei contesti di lavoro: una capacità sociale di collaborare, di costruire relazioni produttive, in interazione con il contesto, e l’impegno a produrre conoscenze fruibili e leggibili: scrivere e comunicare efficacemente è una competenza trasversale irrinunciabile.
Nell’articolo di Heather Pringle, “Le origini della creatività”, pubblicato da Le Scienze (maggio 2013, pp. 34-41), vengono citate le considerazioni di Liane Gabora, neuroscienziata dell’Università della British Columbia.
«Gabora ritiene che lo studio delle persone creative oggi ci dia un indizio essenziale. Il pregio di queste persone, spiega, è di avere la testa tra le nuvole. Quando affrontano un problema, lasciano vagare la mente, in modo che pensieri e ricordi ne evochino spontaneamente altri. Queste libere associazioni facilitano lo stabilirsi di analogie e producono pensieri originali e innovativi. Poi, quando arrivano a una vaga idea che potrebbe portare a una soluzione, questi individui passano a una modalità più analitica. “Si concentrano solo sugli aspetti più rilevanti” dice Gabora, “e cominciano a elaborare un’idea per renderla praticabile”.»
Qualche tempo fa mi è capitato di leggere un articolo su Internazionale (numero 1033 del 10 gennaio 2014, p. 80): “Puntare sulle menti e non sui numeri” di Michael Brooks, e – anche se non sono completamente d’accordo con le argomentazioni sviluppate (pensiamo al valore che hanno e stanno producendo i big data) – ho trovato alcuni spunti che mi sembrano si attaglino alle intenzioni del corso di Psicosociologia edizione 2013-2014.
«Per favorire l’innovazione e far crescere l’economia […] bisognerebbe sfornare pensatori agili, dotati di spirito critico e creatività.»
«Secondo Norman Augustine, ex amministratore delegato del colosso aerospaziale Lockheed Martin, i migliori tra i suoi 80mila dipendenti erano quelli con buone doti comunicative e riflessive […]. “Ma quello che ha contraddistinto chi ha fatto strada è stata la capacità di pensare in modo critico e creativo, e di leggere e scrivere con chiarezza”.»
Terza citazione… Nel libro di Fried J. e Hansson D. H., Rework. Manifesto del nuovo imprenditore minimalista. Come avere successo con poche risorse, Etas, 2010 (2010), preso in prestito in biblioteca ho trovato l’appunto di un anonimo lettore:
«Questo libro è da considerarsi un manifesto per la piccola impresa. Il consiglio più inatteso del testo (e più utile) è: “assumete chi scrive bene”.»
“Focalizzare e fluttuare”, “curiosamente insoddisfatti/e”, “Appuntare, annotare, scrivere”. Indicazioni – concrete e di buon senso – non implicano che stia misconoscendo la complessità del mondo del lavoro e le sue trasformazioni recenti.
Rimando la questione lavoro a un momento successivo.
Se qualcosa più avanti si dirà sulla concetto di ‘lavoro’, di seguito due spunti di avvio nel post: Cosa cerca Google in un suo dipendente? che fa riflettere su come le organizzazioni sviluppino idee divergenti e su come le usino per promuoversi, e che ci dice qualcosa (ma non tutto) su alcune caratteristiche ricercate dalle imprese (caratteristiche utili per affrontare il corso di Psicosociologia dei Gruppi e delle Organizzazioni).
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