Centralità distante?

Ci sono
luoghi centrali, cool, up-to-date, laboratori di salti quantici riconosciuti, un po’ distonici ma non distopici.
In questa fase Milano o Bologna sono un po’ così. Senti che lì succedono o stanno per succedere cose interessanti. E tante. Nuove ogni giorno. Che le attraversi o che ti giungano notizie, appaiono sempre avanti, irraggiungibili. Lì convergono le intelligenze, gli sforzi e le risorse. Lì le possibilità (prima o poi) si realizzano. Ed anche i problemi si lasciano classificare sotto il segno delle opportunità. Quelli gli snodi da passare e forse fermarsi.
Ci sono luoghi lontani. Valli alpine o appenniniche, ramificate, remote, diffuse, selvagge, antropizzate ma non atrofizzate, con le loro cime, le loro trincee, le vie antiche, i musei, la storia, l’arte che non è minore. Le élite competenti, radicate e alimentate da ritorni post-laurea (stabili o del fine settimana). Ci sono i progetti, le risorse, la lotta allo spopolamento, i parchi, il ritorno alla natura, la valorizzazione delle produzioni locali, il cibo, il turismo, gli agriturismi e gli impianti.
Ci sono centri di contado e il loro contado. Distretti del gusto, del lusso, del mobile, del legno, della ceramica, del vino, dell’oro. Ad alta densità di idee, di relazioni e di vocazione. Brand famosi o quasi-famosi, capaci di promuoversi, di essere presenti a fiere inter/nazionali, di affermare, di tessere e di attrarre. Centri dal profilo identitario sufficientemente riconoscibile per chi ci vive e per l’immaginari sociali ai quali lo propongono.
E vogliamo scordarci delle province, a loro dire raccolte eppure in movimento (o in tensione)? Con il loro capoluogo, la loro storia (e i fasti), gli stereotipi, la bontà del vivere, le borghesie, (se va di fortuna) l’università? Vogliamo sottacere che quasi sempre un treno ha la sua stazione, che non manca un’autostrada, un casello, un fiume e un ponte? E uno – o più centri minori – che contrapponendosi ne esaltano la centralità locale?
Ah, dimenticavo, le periferie. Già, lontano dai monti, dai contadi, fuori mano rispetto alle province, a ridosso delle metropoli ci sono le periferie, s/conosciute, di prima fascia e di seconda fascia, riconosciute da chi vede la città diffondersi. Problematiche, poco, tanto. Collegate, bene, male. Trascurate, ma ricomprese, nominate, attenzionate dalle politiche metropolitane. Le periferie (sempre meno) isolate, in rinnovamento, non più abbandonate.
E oltre ai luoghi annotati nelle categorie di intervento, nelle politiche regionali per il territorio ci sono spazi che non sono aree metropolitane, non sono montagna o lago, non sono contado, distretto, provincia… plaghe in apparenza ai margini, non ricomprese nelle categorizzazioni geografiche che ho abbozzato.
Territori un po’ sospesi, piccoli centri, porzioni interstiziali, non attribuibili.
Reliquati per alcuni, spazi vitali per altri.
Borghi un po’ sospesi, piccoli centri con il loro intorno che non fanno della loro collocazione motivo di autoesclusione, che cercano si saltare a piè pari la sensazione di sfavore, che provano a ricercare strade di sviluppo, di presenza vitale.
Se ne conoscete, se vi ritrovate (a viverci), se incontrate riferimenti letterari o rintracciate analisi scientifiche che ne parlano, se conoscete esperienze di autoriconoscimento o di innovazione, vi chiederei una segnalazione.
Grazie.
PS
E chissà quanti altri luoghi (reali o invisibili) ancora esistono e si possono scoprire.
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