Due gli obiettivi di questo post:
Come si vedrà, l’estrazione delle caratteristiche che identificano il soggetto rischia – come in ogni sintesi – di smontare la complessa e dinamica unitarietà delle riflessioni. Ne sono consapevole, ma in un’ottica didattica ho pensato che potesse essere utile. Ci pensano poi letteratura ed esperienze personali a ricombinare – con creatività – ciò che scompongo per il tempo necessario a svolgere rapide considerazioni di inquadramento.
Questa la struttura del contributo di J. Ardoino e J. Barus-Michel, Soggetto, in Barus-Michel J., Enriquez E., Lévy A. (a cura di), Dizionario di psicosociologia, Cortina, Milano, 2005, (ed. or. 2002), pp. 273-280.
Provo, attraverso citazioni e commenti, a dire qualcosa in più.
Il soggetto, secondo J. Ardoino e J. Barus-Michel, è un prodotto della storia e non è sempre esistito per come ce lo rappresentiamo.
Se ‘soggetto’ è l’essere umano con un nome, collocato entro uno spazio e un tempo, in cui si costituisce come originale e singolare, complesso e conflittuale; essere che aspira a realizzarsi e a mantenersi in un’unità coesa e in una continuità coerente, essere avido di godimento, che si scontra con la sofferenza, rivendica riconoscimento e condivisione, responsabile e alienato… questo soggetto è apparso di recente nella Storia, è comparso quando è stato attribuito un valore qualitativo unico e irripetibile all’individuo. In altri secoli e in altre culture, è il gruppo la sola entità valorizzata e i singoli hanno soltanto il merito di farne parte e il dovere di occuparvi il proprio posto.
p. 273
Ardoino J., Barus-Michel J., “Soggetto”.
Il soggetto si caratterizza per la sua singolarità situata nelle vicende imprevedibili che vive e che contribuisce a far accadere. Manifesta una complessità emotiva ed esistenziale.
Il soggetto moderno si manifesta a poco a poco come passione per l’interiorità, attenzione alle risonanze soggettive e al modo in cui esse contribuiscono alla comprensione di sé.
p. 273
Ardoino J., Barus-Michel J., “Soggetto”.
Il soggetto si impegna nel conoscere la realtà, è capace di ricordare e riflettere, e non smette di ricercare un senso per le esperienze che fa. Non solo il soggetto compare nella storia, ma contribuisce a produrre la propria storia.
Il soggetto è più che individuo, persona, attore, agente, autore. Nel Dizionario Ardoino e Barus-Michel provano a distinguere il concetto di ‘soggetto’ e la sua complessità da altri concetti simili.
Identità
La costruzione dell’identità del soggetto è un’opera incessante e fragile, movimento, narrazione, dialogo, responsabilità, temporalità, immaginario e intenzionalità, progetto.
Il soggetto progetta quello che sarà, è capace di ricordare il passato, pur collocandosi rispetto al futuro: è capace di immaginazione che rielabora ciò che è disparato ed eterogeneo, per aggregare e riunire vari elementi nel corso del tempo ed entro una sufficiente coerenza.
[…]
L’identità sembrerebbe la permanenza del soggetto: in realtà è costruzione incessante e fragile di una rappresentazione di sé che tende a una unità singolare, continuativa e riconosciuta, e che via via può essere o non essere confermata da ciò che offre il contesto. Entro lo stesso ambito temporale in cui si iscrive, l’identità si nutre letteralmente di alterazioni.
p. 275
Ardoino J., Barus-Michel J., “Soggetto”.
Il soggetto vivendo continuamente è continuamente esposto alle emozioni e all’incontro con le dimensioni pulsionali, parti di sé meno luminose, ambivalenti e contraddittorie, parti che gli sfuggono e che dimentica. Si avverte come complesso e diviso, estraneo a se stesso, “produttore di un senso che gli sfugge” (p. 278).
In risposta alla fatica di vivere, gli approcci che si richiamano alla psicanalisi lavorano affinché il soggetto si riconosca “non monolitico, e rinunci all’unità compatta e compiuta e accettino in se stessi l’eterogeneo e l’estraneo, pur seguendo un filo proprio, tracciato nel corso della propria storia” (p. 276).
Il soggetto si colloca in un contesto determinato, prende parola, si esprime su ciò che pensa, racconta le esperienze che fa, si interroga e riflette con l’obiettivo di comprendere ciò che fa e che gli accade, si impegna a tracciare un disegno, a spiegare che vive e ciò che accade intorno a lui. Il soggetto esprime una tensione desiderante e incontra i vincoli dell’esistenza.
Questo soggetto continuamente esposto all’alterazione e alla eterogenineità persegue continuamente la propria unitarietà singola e singolare.
p. 276
Ardoino J., Barus-Michel J., “Soggetto”.
Il soggetto è continuamente esposto alle sollecitazioni e ai cambiamenti, alla confusione della realtà, ma non rinuncia d impegna per costruire un tracciato esistenziale intenzionale. Si impegna a dare senso alla propria vita, a raccontarla, a progettarla, a perseguire obiettivi che abbiano valore, rispondere a domande radicali.
Il soggetto diventa soggetto della propria esperienza, la plasma, le dà degli scopi, definisce criteri e valori per giudicarla.
p. 277
Ardoino J., Barus-Michel J., “Soggetto”.
Nella complessità degli avvenimenti il soggetto ha consapevolezza di sé, desidera immagina, prende posizione, incontra gli altri, incontra i limiti che vengono posti dall’azione degli altri soggetti con cui entra in relazione.
Mai senza l’altro…
Il soggetto non è mai senza l’altro. L’altro, il simile e l’avversario potenziale, la presenza amica o rivale, presente fisicamente o nei suoi pensieri, emozioni, desideri o paure…
Il soggetto non si concepisce senza l’altro o gli altri: la sua parola è sempre destinata all’altro e vi si ricollega in una relazione reale o immaginaria.
p. 278
Ardoino J., Barus-Michel J., “Soggetto”.
Soggetto in relazione…
Nella prospettiva clinica il soggetto si manifesta come soggetto che enuncia (parla), che ha un proposito (vuole) e che si colloca in un contesto spazio-temporale e sociale: cammino, filiazione, percorso, progetto, di cui cerca di riunire gli elementi per farli propri in una singolarità che ha significato. Cerca riconoscimento (cerca cioè di riconoscersi e di farsi riconoscere) e questo lo pone subito entro una prospettiva di senso e nella relazione con gli altri.
p. 276
Ardoino J., Barus-Michel J., “Soggetto”.
Soggetto con diritti e doveri
Il soggetto prende forma dall’incontro della sua capacità di investire e di desiderare con il suo essere soggetto inserito in una storia, facente parte di una comunità, capace di prendere posizione in una dimensione politica. Un soggetto capace di affermare diritti e assumere doveri.
Soggetto sociale
Soggetto capace di sviluppare interazioni e scambi, di investire in pratiche comuni, di contribuire a elaborare identità collettive. Il soggetto sociale quando dice “noi” si impegna nella costruzione di relazioni, esprime la propria soggettività nell’ambito della comunità, diventa soggetto sociale, capace di azione comune, esposto però al conflitto e alle tensioni dell’immaginario e delle sue illusioni.
Gli individui non sono semplicemente accostati, giustapposti gli uni agli altri: sono continuamente impegnati in scambi e attività per trasformare la realtà e colmare la mancanza. Le interazioni e cooperazioni non escludono il conflitto ma strutturano delle unità sociali più o meno ampie, più o meno organizzate e stabili (gruppi, organizzazioni, istituzioni, società).
[…]
Il soggetto sociale è un soggetto che si esprime con la prima persona plurale: il “noi” che dichiara l’esistenza di legami di solidarietà, la soggettività dell’unità sociale: il reciproco riconoscimento forgia un immaginario che dà vigore alle pratiche e agli scambi.
[N]ella situazione collettiva […] il movimento è soltanto una condivisione temporanea esposta ai rischi dei conflitti e segnata dalla reale divisione tra i membri che si trovano di fatto riuniti per degli interessi o per dei vincoli istituzionali.
pp. 279-280
Ardoino J., Barus-Michel J., “Soggetto”.
Da due storie di persone in situazioni organizzative, propongono citazioni che lasciano intravedere elementi di soggettività in relazione alla situazione organizzativa nella quale i soggetti si trovano ad agire: al lavoro svolto alle esperienze personali, al gruppo, alla complessità del contesto in cui si collocano (attivamente o reattivamente).
Adolescenza
Nei primi giorni non facevo quasi nulla. Giravo tra i piedi dei meccanici, porgevo loro gli attrezzi e li rimettevo a posto nella cassetta, toglievo dalle macchine le macchie delle manate. Cercavo di stare vicino a Hamid, ma lui proprio non aveva bisogno d’aiuto perché non si occupa delle macchiene, ma lavora su un banco a dei motori smontati.
Dopo una settimana mi hanno dato una scopa, uno straccio e un secchio, e ho cominciato a pulire il pavimento, a raccogliere vecchie viti, a spargere la segatura sulle macchie d’olio, ero responsabile della pulizia del garage. Un lavoro che non finiva mai, noioso da morire. Tutti mi davano ordini, arabi ed ebrei, chiunque ne avesse voglia. Persino degli estranei che entravano nel garage. Porta qui, ragazzo, tira su, ragazzo, vieni qua, ragazzo, pulisci qui, ragazzo. Chi aveva voglia di dare ordini se la pigliava con me. E apposta tutti mi chiamavano ragazzo, per farmi arrabbiare. Ma io stavo zitto, non volevo cominciare a discutere. Ero molto giù, tutto quel lavoro mi sembrava orribile. Non mi interessava niente, nemmeno le macchine. Perché chissà il tempo che ci vorrà finché imparo qualcosa, finché divento meccanico – e perché poi? Per fortuna l’officina è così grande che qualche volta potevo sparire senza che nessuno se n’accorgesse. Prendevo la scopa e mi mettevo a spazzare, con gli occhi sul pavimento. Spazzo e spazzo in direzione del cancelletto posteriore, finché esco dal garage. Allora entravo nel cortile di una casa abbandonata, mi mettevo a sedere su una cassa e guardavo la strada, vedevo i bambini in divisa scolastica che passavano con le cartelle tornando a casa. Che tristezza. Pensavo alle poesie e ai racconti che leggono loro, e invece io diventerò scemo del tutto con questa scopa e con le viti arrugginite.
[…]
E chi è il nostro padrone?
Mi ci è voluto un bel po’ di tempo per capire chi era il padrone dell’officina.
[…]
Avevo paura di dirgli qualcosa. Ma improvvisamente si è accorto di me, che stavo a un metro da lui colla scopa. – Cosa vuoi? – Quando si è rivolto a me così direttamente, mi sono confuso, e anche un pochino spaventato.
– Si sposti un po’. Devo scopare là dove sta lei…
Ha sorriso e si è spostato un po’, e io ho cominciato a spazzare in fretta così che potesse tornare lì se aveva tanta voglia di starci. Ma lui mi guardava, mi osservava proprio, come se fossi qualcosa di speciale. E d’un tratto mi chiede: – Chi ti ha portato qui?
– Mio cugino, Hamid… – gli ho detto subito. Tremavo, ero tutto rosso, non so perché. Che cosa mi può fare, in fine dei conti? Tanto, mi paga solo pochi soldi, che do subito a papà. E poi non è che lui faccia paura, soltanto quella gran barba da selvaggio.
– Quanti anni hai, ragazzo?
Anche lui dice ragazzo, che il diavolo se lo porti.
– Quattordici e tre mesi, quasi.
– Come mai sei qui? Non volevi continuare ad andare a scuola?
Mi sono spaventato. Come aveva fatto a capire subito quella faccenda della scuola? Ho cominciato a impappinarmi.
– Sì, io volevo… ma papà no…
Lui voleva dire qualcosa, ma è stato zitto, però continuava a guardarmi. E io ho cominciato pian piano a far andare la scopa e a pulire intorno, mi affrettavo a raccogliere la spazzatura. E d’un tratto mi accorgo che lui mi tocca, mi mette la mano sulla testa, leggermente.
– Come ti chiami?
Glielo detto, mi tremava la voce. Non mi era mai successo che un ebreo mi mettesse la mano sulla testa. Avrei potuto recitargli una poesia. Per esempio “È caduto un ramoscello”. Così se solo me lo avesse chiesto. Mi aveva proprio stregato. Ma lui non sapeva che questo era possibile.
Da allora, ogni volta che mi vede, mi fa un sorriso. Come se si ricordasse di me. E dopo una settimana mi hanno liberato dalla scopa e mi hanno insegnato un altro lavoro, registrare i freni. Non è difficile. Così ho cominciato a registrare i freni.
pp. 160-164
Abraham B. Yehoshua, L’amante, Mondadori, 2001 (1977).
La prima esperienza di lavoro, per un adolescente palestinese in una officina di proprietà di un ebreo, è un momento di disorientamento, frustrante, una fase dolorosa, confusa, incerta. Ma anche un momento evolutivo.
Alterità
Annie aveva temuto di rimanere intrappolata nell’insegnamento per sempre e aveva odiato tanto quel lavoro che adesso, per il semplice fatto di arrivare al museo con dieci o quindici minuti di ritardo, si sentì felice. Per un insegnante quei quindici minuti sarebbero stati un fallimento umiliante, che avrebbe comportato insurrezioni, rimproveri e la disapprovazione dei colleghi; a nessuno invece importava se arrivava tre o trenta minuti prima dell’apertura del piccolo museo poco frequentato (la verità era che a nessuno importava nemmeno se arrivava tre o trenta minuti dopo l’orario di apertura). Quando faceva il vecchio lavoro, uscire a metà mattina a prendersi un caffè da asporto era un sogno frequente, oltre che un po’ penoso; adesso faceva in modo di andare a prenderselo tutti i giorni, che avesse bisogno di caffeina o no. Certo, di alcune cose aveva nostalgia: quella sensazione che provava quando una lezione procedeva bene, quando era tutto un brillar d’occhi, e la concentrazione era tanto densa da sembrare quasi umida, come se potesse appiccicarsi ai vestiti; e certe volte avrebbe proprio avuto bisogno dell’energia, dell’ottimismo e della vitalità che si trovavano nei ragazzi, per quanto apparissero scontrosi e disturbati. Ma in generale era contenta di essere riuscita a passare sotto il filo spinato che circondava l’istruzione secondaria e di ritrovarsi nel mondo.
Lavorava da sola, per lunghi tratti della giornata, quasi sempre cercando di raccogliere fondi, benché cominciasse a sembrarle un compito inutile: ormai più nessuno, a quanto pareva, aveva disponibilità di denaro per un museo agonizzante di una località balneare e forse nessuno l’avrebbe avuta mai più. Ogni tanto doveva parlare alle scolaresche in visita ed era questo il motivo per cui le avevano dato l’opportunità di fuggire dalle aule. Alla biglietteria c’era sempre una volontaria, di solito Vi o Margaret o Joyce o una della altre anziane signore che, con il loro disperato bisogno di mostrarsi utili, a Annie spezzavano il cuore, le rare volte che si degnava di pensare a loro.
pp. 52-53
Nick Hornby, Tutta un’altra musica, Guanda, 2009 (2009).
La tensione esistenziale, l’incerta e insoddisfatta identità professionale, la triste venatura delle passioni e lo svanire del senso della propria azione caratterizzano il breve curriculum vitae di Annie.
Vorrei, per ciascuno dei punti che illustrano l’idea di soggetto in una prospettiva psicosociologica, trovare un brano, una citazione che restituisca all’elenco commentato la profondità e il movimento dei concetti che vi sono compressi.
Autrice del video in apertura è Stefania Carbonara.
Il tema è “Il Soggetto”, Progetto Naba Media Design e Arti Multimediali 2012/2013 corso Audiovisivi Lineari
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