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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Le domande per costruire un progetto

Per elaborare un progetto le note ‘5W’ dei giornalisti sembrano un buon punto di partenza. Una rampa per partire sulla quale non sembra difficile andarsi a piazzare. Who, what, when, where, why: ‘chi’, ‘cosa’, ‘quando’, ‘dove’, ‘perché’… Combinando a piacere le domande, e considerando che potrebbe non guastare aggiungere ‘come’, ‘per chi’, ‘con chi’, si può dare forma a un piano. E certo c’è una certa razionalità in queste domande, in queste generalissime categorie. E le stesse combinazioni disegnano configurazioni in cui l’ordine conferisce ordine. A volte si è quasi indotti a credere che queste siano le uniche e insostituibili domande. Tuttavia questa incontrovertibile apparenza mi spinge a mettere alla prova la tenuta dell’evidenza, a considerare le domande e le disposizioni possibili come ipotesi, più che come verità. Quello che mi chiedo (che vi chiedo) è se utilizzate altri schemi per dare opportunamente avvio alle più svariate attività. Sarei interessato a scambiare opinioni ed esperienze con altri che sono soddisfatti delle ‘5W’ ma non se sono perdutamente innamorati.

Prendiamo ad esempio le indicazioni che forniscono Karl E. Weick e Kathleen M. Sutcliffe nel libro Governare l’inatteso. Organizzazioni capaci di affrontare le crisi con successo, pubblicato da Cortina nel 2010 (si tratta della traduzione dell’edizione in lingua inglese del 2007). I due autori in senso stretto non affrontano il tema dei progetti, ma trattano delle organizzazioni che si sforzano di operare con un elevato grado di affidabilità in contesti complessi e mutevoli. I criteri che propongono per identificare le organizzazioni affidabili potrebbero anche essere formulati a guisa di domande, e come tali essere utilizzate per accostare una qualche attività che vorremmo intraprendere:

  • Quali sono le aspettative in circolazione, quali le nostre e le altrui attese?
  • Quali sono gli eventi critici o i problemi di cui si sta ragionando?
  • Possiamo provare a tenere conto dei più svariati e diversi elementi, piuttosto che procedere attraverso semplificazioni?
  • Possiamo collegare quello che vorremmo intraprendere con quanto sta accadendo nel contesto nel stiamo agendo?
  • Se qualcosa va storto, abbiamo una qualche idea di intervento o di azione alternativa per far fronte agli imprevisti?
  • Disponiamo delle competenze affrontare il tipo di attività che intendiamo intraprendere, siamo in contatto con qualcuno che ne dispone?

Ora, non che nelle domande che si pongono Weick e Sutcliffe: il soggetto, i destinatari, le attività, i processi, il tempo, il luogo, e le ragioni (le nostre cinque o sei domande) non siano presenti, ma è come se venissero messe tra parentesi a vantaggio di un diverso modo di porsi rispetto alla realtà, che considera il mondo meno statico e assume un atteggiamento meno semplificante e più orientato all’apprendimento in un ambiente evolvente, un atteggiamento che promuove maggiore consapevolezza per quanto ci accade intorno, per l’inatteso che ci viene incontro nonostante il nostro desiderio di controllo e di ordine.

Forse si potrebbe cercare una mediazione di buon senso; le cinque o sei domande di base potrebbero avere lo scopo di circoscrivere un oggetto del quale ragionare, e le domande di Weick e Sutcliffe invece quello di attivare un lavoro di esplorazione e di approfondimento.

Forse si potrebbe cercare un’armonizzazione tra i due approcci conoscitivi. O si potrebbe anche lasciar perdere. Potrebbe non valerne la pena. In ogni caso il set di domande che utilizziamo o che concordiamo per prendere contatto con e avviare una nuova attività riflettono il tipo di organizzazione di cui disponiamo (interiore o operativa), che attiviamo più o meno consapevolmente. E in queste premesse, nel programma di costruzione delle conoscenze è già iscritto – almeno in parte – lo sviluppo del progetto.

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