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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Avvicendamenti e know-how

Longevità

“Sapere-come” aiuta le transizioni

Qualche giorno fa si è chiuso un laboratorio di ricerca e formazione sugli avvicendamenti di figure intermedie e apicali in organizzazioni pubbliche e sociali.
Valutando l’esperienza è emerso il nodo della condivisione del know-how professionale:

  • Se non si curano i passaggi di saperi, la costruzione di conoscenze comuni, la condivisione, lo sviluppo, la dismissione di competenze le organizzazioni affrontano con maggiore fatica i processi di avvicendamento. Le conoscenza rischiano di rimanere in buona parte un bagaglio individuale, e chi lascia il gruppo di lavoro o l’organizzazione finisce (inevitabilmente) per portare via con sé dotazioni di saperi teorici, pratici e situati. In questo modo il patrimonio collettivo si impoverisce e gli avvicendamenti risultano essere fisiologicamente dispersivi.
  • Un secondo aspetto riguarda l’importanza di promuovere la condivisione delle conoscenze e delle pratiche nelle fasi di avvicendamento. Accade che le organizzazioni accolgano le transizioni come processi in cui prevale la fatica e lo spaesamento e non come occasione per riconsiderare quello che si pensa e si sa fare (le conoscenze teoriche e pratiche) e per esplorare i nuovi apporti che chi entra nei gruppi può mettere a disposizione.
  • E in tema di condivisione si aperta la questione del passaggio generazionale di esperienze: come si fa a mettere in collegamento le conoscenze che portano le persone provenienti da altri tracciati di lavoro e le persone più giovani professionalmente, con le persone con maggiore esperienza, anzianità di servizio e competenze? In fondo le comunità di pratiche sono sistemi che consento la circolazione di saperi fino a diventare comunità di apprendimento.

Fare…

Sollecitati da questi temi abbiamo ragionato su cosa sia possibile fare per promuovere condivisione nelle organizzazioni pubbliche (e private). Ci sembra siano possibili tre accortezze che sintetizziamo così:

  • Fare insieme
    Un buon modo, forse ineludibile, per trasmettere competenze è lavorare fianco a fianco. Nell’operatività quotidiana passano competenze tacite, nello sviluppo di progetti sul campo si può attingere ad esperienze consolidate, interrogarle (con garbo infinito anche criticarle). Ideare, progettare, intervenire, accompagnare, e scrivere insieme sono attività che, se svolte intenzionalmente come processi di formazione producono intensi e rapidi scambi di conoscenze. Lavorare insieme con persone professionalmente meno esperte comporta di dovere rispondere a molte domande, consente di venire osservati, permette di vedere come si affrontano passaggi non codificati dalle teorie, e anche come le teorie vengono messe in pratica.
  • (Lasciare) fare da soli
    Per qualcuno “spingere a fare da soli”. In ogni caso consentire e promuovere autonomia, sostenere esperienze individuali che permettano ai/lle colleghi/e più giovani di sperimentarsi, di provare a gestire situazioni dalle complessità crescenti. Per facilitare la condivisione di know-how è necessario che le persone esordienti abbiano esperienze personali da socializzare, competenze e riferimenti pratici da scambiare. Per chi ha competenze più salde, per le figure di coordinamento non si tratta di ‘gettare le persone in mare per insegnare a nuotare’, ma piuttosto di trovare formule organizzative personalizzabili (perché l’apprendimento si sviluppa attraverso processi non che intrecciano dimensioni istituite e dimensioni individuali). Ora, il mio punto di vista è che, i modelli di trasmissione, condivisione e costruzione condivisa delle conoscenze e delle competenze professionali contribuiscono a tessere forme di collaborazioni che entrano in funzione nelle delicate fasi di cambiamento, operando come mappe comportamentali. Promuovere autonomia non significa stressare, semmai chiedere responsabilità e concordarla. E parlare delle modalità di passaggio di competenze per dare continuità all’operatività dei gruppi di lavoro e delle organizzazioni. In fondo si tratta di istituire relazioni di fiducia e di cura, da attivare anche nelle fasi di uscita dai gruppi di lavoro.
  • Fare con altri
    C’è un terzo passaggio, una terza polarità, da collegare con le prime due. Le persone con esperienze professionali esordienti hanno anche l’esigenza di incontrare altri gruppi, altre modalità di lavoro, altri punti di vista. Occasioni formative qualificate, gruppi di ricerca, scrittura con colleghi di altre organizzazioni… Qualcuno teme la perdita di informazioni, altri (secondo me con ragione) vedono il vantaggio di aumentare la varietà di idee e di stimoli, di opportunità di fare domande, di confrontarsi, di farsi un proprio punto di vista. L’accortezza sta – come nel punto precedente – nel costruire intenzionalmente occasioni di sviluppo di conoscenze e competenze. E poi nel raccordarle con i processi e gli orientamenti organizzativi. Detto forse brutalmente, il punto non è quello di costruire opportunità per le persone in ingresso, ma di muoversi in una logica win-win: al crescere delle competenze e delle capacità riflessive delle persone in ingresso, grazie ad un progetto di condivisione delle conoscenze (knowledge management), crescono le opportunità per le organizzazioni di istituire gruppi di lavoro complessivamente più competenti, in grado di fronteggiare con maggiore resilienza cambiamenti e avvicendamenti, repentini o programmati.

Trasferire, costruire, condividere

Per questo forse un solo verbo non è in grado di rappresentare la complessità dei processi in gioco. Gli avvicendamenti interni in posizioni operative (non necessariamente di responsabilità) richiedono variabili intrecci di trasferimento, costruzione, condivisione di know-how. L’ipotesi che il solo trasferimento consenta all’organizzazione di diffondere conoscenze e competenze è piuttosto fragile. Non tiene conto delle dispersioni nelle transazioni e non tiene conto dell’intervento trasformativo dei soggetti. Ciò nonostante si può lavorare su forme di trasferimento accurate (mentre spesso è proprio questa attività apparentemente semplice e decisamente invocata ad essere trascurata). I processi di costruzione sono certamente più impegnativi e onerosi, ma lasciano tracce diffuse durature. Richiedono energia, pazienza, tempo: risorse scarsissime e deperibili. Richiedono anche la disponibilità dei soggetti ad avventurarsi in territori selvaggi e inospitali, un certo gusto per la ricerca, una buona dose di fortuna nel far parte di equipaggi collaborativi. Quanto alla condivisione, se non viene contemplata e quindi sollecitata, potrebbe non innescarsi. Di fondo l’idea è che si ragiona di avvicendamenti ragionando di scambi e condivisioni di competenze e saperi, di valorizzazione delle esperienze, costruendo sistemi sociali in grado di produrre servizi e ri/produrre conoscenze. E si costruiscono condizioni per transizioni fra figure operative e intermedie lavorando sulla attivazione di forme di condivisione e sviluppo di conoscenze.

PS

Sempre più spesso vedo contrapposte le categorie di ‘giovane’ e ‘vecchio’ come (auto)esplicative di molteplici problemi e altrettante (innumerevoli) soluzioni sociali e organizzative. Giovane e vecchio sono etichette vaghissime. Diverso è ragionare di anzianità professionale o organizzativa, di newcomers (nuovi ingressi), di principianti, di persone esperte, di formazione e di aggiornamento continuo, di processi per riconsiderare, rigenerare, dismettere, ripensare o rinnovare le conoscenze professionali degli individui e dei sistemi organizzativi.

2 comments on “Avvicendamenti e know-how

  1. mainograz
    12 June 2012

    Ti mando un abbraccio lombardo (nel senso di ‘da dove’ e non di ‘come’)
    ,-)

  2. ovittorio
    12 June 2012

    in queste giornate un post essenziale per non perdere orientamento…grazie!
    v

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