Poiché non è per nulla facile dire cosa siano le organizzazioni, in particolare quando nessuno si pone la domanda, ho pensato di prendere in prestito alcuni passaggi, che Italo Calvino colloca in premessa alla ristampa del 2004 de Le città invisibili e di alterarli quel tanto che basta per traslare dalle città alle organizzazioni.
Il mio intervento è stato dunque radicale (e – nell’intenzione – garbato): ho sostituito a ‘città’ ‘organizzazioni’.
Ecco la citazione…
Le città [organizzazioni] sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città [organizzazioni] sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. Il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città [organizzazioni] felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città [organizzazioni] infelici.
Quasi tutti i critici si sono soffermati sulla frase finale del libro: «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». Dato che sono le ultime righe, tutti hanno considerato questa come conclusione, la «morale della favola». Ma questo libro è fatto a poliedro, e di conclusioni ne ha un po’ dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli; e anche di non meno epigrammatiche ed epigrafiche di quest’ultima. Certo, se questa frase è capitata in fine del libro non è a caso, ma cominciamo col dire che quest’ultimo capitoletto ha una conclusione duplice, i cui elementi sono entrambi necessari: sulla città [organizzazione] d’utopia (che anche se non scorgiamo non possiamo smettere di cercare) e sulla città [organizzazione] infernale.pp. ix-x in Calvino I., “Presentazione”, ne Le città invisibili, Mondadori, 2004, pp. v-xi.
Aggiungo che porrei la citazione non in conclusione semmai in apertura di un testo che prenda a cuore il tema delle organizzazioni, del loro funzionamento, del senso e del potere che hanno nella contemporaneità, delle possibilità di intervenire per consolidarle e rinnovarle.
Torno al mio scopo. Offrire spunti di riflessione nell’ambito del corso di Psicosociologia dei Gruppi e delle Organizzazioni (Corso di laurea magistrale in Psicologia dei processi sociali, decisionali e dei comportamenti economici – Dipartimento di Psicologia – Università degli Studi di Milano Bicocca).
Una prospettiva di ricerca potrebbe quella di immaginare che sulle organizzazioni molto si è detto e molto può essere detto, di conclusioni ce ne sono un po’ dappertutto, e perché le possibilità e i metodi di ricerca sono decisamente vari, e perché le cose cambiano e con esse le organizzazioni (e le organizzazioni fanno cambiare le cose).
Cambia la realtà, il nostro modo di indagarla e di costruirla.
Molte conclusioni, nessuna conclusione.
Molti problemi, molte possibili ragioni e molti possibili modi di affrontarli.
E quindi siamo in presenza di un oggetto sfuggente, aperto a nuove ricerche, a nuovi spiazzamenti, nuove comprensioni e nuove domande.
Le organizzazioni si sottraggono dunque.
Le possiamo pensare anche come alterazioni, impermanenze, micro cambiamenti continui.
In un prossimo post, per non farmi travolgere dall’inconoscibililità del reale, per non sottrarmi, mi impegno a mettere in ordine alcuni punti di vista.
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Molto interessanti l’utopico e l’infernale associati all’organizzazione. Anche dal punto di vista di noi studenti “ricercatori”; da fuori la prima rappresentazione che scorgiamo é utopica, mentre pian piano che ci avviciniamo e diventano evidenti tutti i vari intrecci e i vari points of view, l’organizzazione e la sua complessità diventano un piccolo inferno nel quale trovare la via luminosa, la via della buona ricerca.