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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Mediazione familiare e scrittura. Quando scrivere non è solo scrivere.

Nella nostra società la scrittura è una pratica pervasiva. La scrittura è dappertutto. Se non ci fosse la scrittura (questa del web 2.0 ad esempio) non potremmo comunicare e neppure lavorare. Al punto che le organizzazioni e le professioni sembrano essere sistemi di scritture tout-court. La scrittura sembra essere una forma attraverso la quale le organizzazioni esistono e molteplici sono i generi e le produzioni scrittorie: dalle e-mail che ci fanno lavorare, ai verbali, alle relazioni, ai progetti, alle scritture contabili (preventivi, bilanci, budget, resoconti ecc.), alle presentazioni, ai siti e ai blog, ai diari di consegne, alle certificazioni, agli accordi e ai contratti…
Ma se il mondo sembra essere scrittura, l’oralità non è scomparsa. Come stanno insieme il parlare (il parlarsi) e lo scrivere? E nei servizi alle persone, sociali, educativi, di assistenza, socio-sanitari che funzioni svolge la scrittura?

Scrittura e mediazione familiare. Che utilità e che significato (quali utilità e quali significati) assume la scrittura nelle pratiche di mediazione familiare? In questo post vorrei condividere uno scambio in tema di scrittura professionale. Ho chiesto alle redattrici di Mediazioneblog se e come si usa la scrittura in mediazione. Secondo approcci accreditati, nel corso della mediazione il mediatore non prende appunti e non scrive (e sul tavolo della mediazione non ci sono fogli e penne per i genitori, mentre ci possono essere fazzoletti di carta e caramelle). Ora questa modalità di gestire il confronto e la relazione in una situazione conflittuale rimanda all’oralità. Perché si evita di usare la scrittura? Se, quando e in che modo allora si può usare la scrittura? Gli accordi che i genitori costruiscono (o provano a costruire) come vengono sanciti o formalizzati? E che significato ha parlare e non scrivere in una società come la nostra che è fatta di scritture?

Mi ha risposto Claudia, una delle curatrici di Mediazioneblog. Cito le sue parole:

[…] per quanto riguarda la scrittura in mediazione non ci sono prescrizioni, indicazioni o divieti particolari. Piuttosto si evita di prendere appunti o scrivere verbali perché non c’è ragione o utilità per cui il contenuto di ciò che viene detto in mediazione debba essere registrato o conservato. È tra gli obiettivi della mediazione che le decisioni vengano prese in modo condiviso, e questo è prioritario rispetto al contenuto delle decisioni stesse.Se poi la scrittura degli accordi diventa un “monumento alla sfiducia”, per cui i coniugi, nutrendo dubbi sull’affidabilità dell’altro, insistono sullo “scripta manent”, allora scrivere diventa davvero controproducente e prova, questo sì, del fallimento della mediazione, che non è stata in grado di costruire la base per il riconoscimento dell’altro coniuge come interlocutore, il che presuppone, ovviamente, un buon livello di fiducia reciproca.Quindi il mediatore non tiene registri perché il suo ruolo non è quello di testimone.
Se invece l’obiettivo è quello di avere un supporto su cui appuntare questioni complicate da visualizzare e capire, come ad esempio i complicati calcoli del mutuo (e delle rate che ancora rimangono da pagare, al netto degli anticipi, meno i soldi presi in prestito dalla zia!), allora si può fare tranquillamente ricorso alla scrittura.
Ricordo di aver conosciuto una mediatrice, molto creativa e brava, che usava, quando era necessario rompere il ghiaccio nelle fasi iniziali, scrivere la lista delle questioni prioritarie sulla base degli argomenti che i coniugi portavano e poi, ripiegando un lembo del foglio in due parti, faceva scrivere individualmente il punteggio di importanza soggettiva che entrambi attribuivano a ogni argomento. Quando svelava il dato raccolto otteneva spesso punteggi sorprendentemente simili da parte di tutti e due, quindi usava l’informazione ricevuta per dare fiducia nella possibilità e capacità che i coniugi hanno di trovare accordi.

Mediazione familiare e scrittura. Il diritto, una delle forme di cui disponiamo per regolare i conflitti, è intreccio di scrittura e di parola. La parola non basta. La scrittura sembra prevalere (è davvero così?). Nella mediazione, dalle parole di Claudia, sembra invece essere fondamentale il valore della parola. Mi sembra quasi di tornare a una questione che si colloca (ci colloca?) all’origine della civiltà occidentale. Questione posta da Platone: la scrittura è supporto per ricordare, ma anche ostacolo al pensare: le cose importanti, quelle davvero essenziali non si scrivono, possono solo essere dette… Eccomi alla mediazione, e al significato culturale e relazionale che assume il parlarsi e lo scrivere. Questione che mi piacerebbe approfondire.

Provo a rileggere il post di Claudia e a utilizzarlo per rintracciare quali funzioni e significati diversi  a scrittura può assumere in mediazione. Mi sembra di intravedere quattro diverse funzioni, quattro significati…

  • 1. La scrittura può favorire l’esplorazione, può aiutare a fissare un qualche punto di avvio: può essere utilizzata, come nell’esempio della lista dei temi e nel dare punteggio, per fermare i punti di vista e renderli visibili, reciprocamente. La scrittura è innesco, è dispiegamento…
  • 2. Dal punto di vista pratico la scrittura sembra essere supporto per la memoria: viene in soccorso per fissare idee e informazioni che non potrebbero essere trattate nel solo campo dell’oralità. La scrittura è utile per fare calcoli su mutui, per tenere traccia di cifre e numeri, per fare elenchi…

Ma la scrittura può avere effetti controproducenti. In una situazione di conflitto, dove è meglio che viga la logica della diplomazia, contano sì le cose che si dicono,  ma anche la possibilità di ritirarle rapidamente, di modificarle, rimodellarle. Deve essere possibile cambiare rapidamente idea… La scrittura può essere ostacolo. Può diventare scoglio. Può far incagliare, impedire l’andare e il venire delle emozioni, dei ragionamenti, delle ipotesi, dei tentativi e degli ‘errori’.

  • 3. Il/la mediatore/trice che non prende appunti. La scrittura non viene usata per condurre. Questo è un modo particolare di intervenire come consulente. Rimarca che la sua funzione non è quella di testimone. Il/la mediatore/trice non è presente per accertare e confermare, mira piuttosto ad assumere una presenza che facilita, che lascia quanto più possibile che processo e risultati siano frutto dell’interazione dei genitori. Persone che hanno vissuto insieme, e che, mentre decostruiscono la relazione di coppia, si trovano a dover ricostruirne un’altra relazione che al centro ha l’essere genitori. La scrittura sembra avere un valore simbolico inverso. La sua assenza segnala una posizione (e un’azione) , un modo di fornire supporto: il/la mediatore/trice non scrive per non sottrarre responsabilità, per evitare di condurre; è una presenza che non esautora, semmai sostiene il compito dei genitori nel (cercare di) trovare nuovi accordi riguardo alla cura dei figli, ed anche – se capisco bene – nel cercare un modo diverso di mantenere una forma di relazione…
  • 4. Anche ai genitori non viene chiesto di scrivere. Le cose importanti non si scrivono. La fiducia richiede che valga la parola. La scrittura potrebbe invece segnalare una mancanza di condivisione (dobbiamo ancorarci allo scritto perché nessuno di noi venga poi meno a quanto… sottoscritto). La scrittura potrebbe essere allora il segno di mancato riconoscimento dell’interlocutore e – mentre esplicita gli accordi – implicare che le parti non si ritengono reciprocamente affidabili…

Cercherò di tornarne sul tema della scrittura negli ambiti professionali. Intanto mi chiedo cosa accade in altre situazioni. Quali altre esperienze si potrebbero considerare. E anche quali considerazioni rispetto a quelle espresse qui…

One comment on “Mediazione familiare e scrittura. Quando scrivere non è solo scrivere.

  1. Giovanna
    24 May 2010

    Interessante quello che scrivi, pieno di spunti e idee.
    Una nota campagna pubblicitaria di secoli fa recitava “basta la parola”.
    Ritengo in effetti che in mediazione basti la parola, perchè lo scritto, quello dal quale non si può transigere, marmorizzato negli atti legali a volte è pesante, obbliga, lega piuttosto che sciogliere il matrimonio. Mentre penso che la mediazione sia leggerezza; capacità e possibilità di cambiare idea quando si vede che gli accordi, sperimentati dai genitori peri i figli, non vanno bene o quando seguire quel determinato accordo porta troppa sofferenza per uno dei due genitori o per i figli.
    La parola, il tono con la quale la si pronuncia, può sciogliere i nodi più intricati del conflitto famigliare.
    In un colloquio di mediazione, poi, ha un significato anche il silenzio, ma se deve esserci uno scritto, come andrà scritto il silenzio?

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This entry was posted on 23 May 2010 by in Generale, Se scrivere è organizzare... and tagged .

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