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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Che combinazione!

disegno di Nemo Ostrov

“Sofferenze e illusioni nelle organizzazioni: decostruire per costruire”. Solo otto parole (e un segno di interpunzione) in una combinazione allusiva.

Mi sembra di capire solo oggi un possibile senso dei temi che ci assegnavano alle superiori. L’istituzione-scuola per conto della società (e per il tramite dei professori) si assumeva un compito formativo. Indurci ad ampliare il nostro punto di vista distratto. Costringerci a scavare nel deposito delle cose sentire per sbaglio. Spingerci a scollegare e ricollegare segmenti e porzioni di letture antologiche. E, partendo da un suggerimento – da una domanda – inquietarci, scuoterci, farci pensare. Non lasciarci in pace (almeno per le due ore di tema).
Davanti al titolo della giornata di studio che APS propone per il 29 ottobre 2010 ho un po’ la stessa sensazione. Cosa vorrà dire questo titolo a cui non posso sottrarmi, e che mi gira in testa (ormai da settimane)? Cosa condensa? A cosa rimanda? E perché mai (mi chiedo, fingendo di non saperlo) ogni tanto si riaffaccia? Di seguito alcune ipotesi.

Illudersi per non soffrire?
Le sofferenze non vanno disgiunte dalle illusioni. Fanno coppia fissa (la ‘e’ è davvero una liason indissolubile). Che le sofferenze siano meno aspre se non le intricassimo di illusioni? Che le illusioni siano sintomo, spia della sofferenza che è in circolo?
Forse le organizzazioni sono luoghi ideali per soffrire e per illudersi? … E perché? Intanto ci passiamo un sacco di tempo e poi hanno un’intrinseca natura illusoria. Le loro promesse svaporano, i loro progetti (almeno un po’) mentono. Le organizzazioni sono fatte (anche) di sofferenze e illusioni (e chi non si capacita soffre e si illude!).

Decostruire
Ah, i verbi all’infinito! Sono la possibilità per eccellenza, fuori dal tempo, collocabili nel presente o nel futuro, a piacimento. Indefiniti: non si sa chi sia il soggetto che compie l’azione.
Si tratta di parole evocative. Che metaforizzano il pensiero e quindi condensano una certa quantità di informazioni. Il mio obiettivo è minimale. Considerare le parole per segnalare le suggestioni che evocano. Si tratta di un programma poco impegnativo. Quale riserva di sinonimi possiamo attrezzare?
Decostruire.
Il termine mi fa venire in mente due operazioni. La prima molto materiale è quella di smontare una struttura. Smontare è un lavoro che si fa complesso al crescere della interdipendenza delle parti della macchina, dispositivo, strumento, edificio, oggetto… sul quale si interviene. A dispetto del termine, non è detto che decostruire sia semplicemente l’operazione inversa del costruire. Forse la sottolineatura, la scelta del vocabolo è dettata dal mettere in luce che si scompone senza distruggere. Chi decostruisce sembra metterci una certa cura nel salvaguardare le parti, le loro funzionalità, e anche l’ambiente in cui opera. Decostruire richiede cura e attenzione. La seconda idea che mi viene in mente si collega all’effetto che probabilmente si va ricercando smontando una struttura. L’impressione è che si cerchi di fare spazio, di ricreare condizioni per ridurre l’ingombro e ripristinare maggiore agibilità. Se smontiamo potremo muoverci più agevolmente. Certo tra smontare e decostruire qualche differenza c’è. Smontare fa pensare a parti con funzionalità specifica e preesistente, messe in relazione per funzionare, che vengono separate senza venire distrutte. Smontare per aggiustare, mantenere, riportare a nuova funzionalità. C’è qualcosa dello spirito meccanico nell’immagine che ho in mente. Penso a un motore, una macchina che viene smontato, pulito, le parti usurate aggiustate o sostituite. Penso a smontaggi per recuperare pezzi da usare in nuove costruzioni.

Smontare per rinnovare o per costruire nuove macchine con le parti salvate. Decostruire accentua piuttosto un processo conoscitivo inverso: decostruendo possono conoscere l’intimo funzionamento di un meccanismo.
Nel titolo non si dice decostruire per ricostruire. Decostruire sembra non essere precondizione del ristrutturare.Decostruire, azzerare, fare spazio, ripristinare condizioni di possibilità. Smontare, ma smontare non è smantellare. Scollegare, alleggerire. Bonificare, rendere di nuovo agibile. Restituire alla possibilità d’uso non determinata…
Decostruire non è distruggere.
E il significato delle parole dipende anche dalle parole vicine. Veniamo al costruire.

Costruire
Costruire è una bellissima parola. Se ci dicono di partecipare a un’attività di montaggio quello che ci è chiaro che i pezzi sono stati già stati costruiti, che il disegno, le istruzioni sono state altrove pensate. Ogni montaggio è un rimontaggio, non possiamo che ripercorrere un sentiero già tracciato e che non ammette divagazioni né esplorazioni. Mentre costruire è prima di tutto ipotesi, esplorazione, eccitazione, energia, poi ideazione, progetto, lavoro anche (cioè piacere e fatica).

Due punti, il fulcro del titolo
Sofferenze, cioè incomprensioni ed esclusioni, illusioni speranze deluse, malriposte, che non si sono realizzate, errori di valutazione: forse è necessario ripensare, smontare, decostruire per fare spazio, selezionare esperienze e materiali utili a provare costruire nuovamente (nuove e diverse?) condizioni praticabili. Forse decostruire indica un lavoro per ricondursi a condizioni di nuovo avvio.

“Sofferenze e illusioni nelle organizzazioni: decostruire per costruire”. Un titolo azzeccato. Lo testimonia il segno di interpunzione. I due punti non sono a caso. Aprono e collegano: segnalano una implicazione logica non espressa, ma infrangibile. Provo ad esplicitarla. Riscrivo il titolo. “Nelle organizzazioni ci sono sofferenze e illusioni quindi è necessario intervenire decostruendo per (avere qualche possibilità di) ri/costruire.
La parentesi è mia. Sarà una combinazione?
Combinazione! …nel senso di “che casualità” o nel senso di “che configurazione”?

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