Se stiamo alla (sintesi della) ricerca condotta da Euricse per i vent’anni della 381 abbiamo una rappresentazione della cooperazione sociale non steoreotipica.
La ricerca si basa su 400 interviste rivolte a presidenti di cooperative sociali aderenti a Federsolidarietà. Riprendo alcuni spunti facendo una sintesi della sintesi e spostando l’attenzione sul bicchiere mezzo vuoto (intenzionalmente!). Ecco alcuni dati:
Naturalmente questi dati vanno approfonditi studiando il rapporto di ricerca esteso. La sintesi da cui ho tratto i dati inoltre sottolinea che si tratta di risultati apprezzabili, infatti i dati vanno comparati con quelli di altri settori dove la crisi e la staticità imperversano con veemenza maggiore. In particolare i dati mostrerebbero le maggiori capacità strutturali della cooperazione sociale di sperimentare, cambiare, innovare, evolvere. La cooperazione sociale sarebbe maggiormente in grado di osservare e leggere i cambiamenti sociali, intercettare bisogni e fragilità di persone, famiglie, gruppi, comunità, mettere in campo risorse per fronteggiare il mutare dei disagi e il trasformarsi delle domande di servizi.
È possibile.
I dati suggeriscono questa predisposizione. Ma ci dicono anche che c’è una quota di cooperative sociali in difficoltà. Come sempre è interessante capire come è possibile che qualcuno sviluppi competenze nelle crisi e performi bene (o accettabilmente) anche in condizioni avverse. Ma è anche interessante capire per quali ragioni altre organizzazioni o sistemi invece incespichino, si avvitino, retrocedano, perdano il passo, la via, il tram di mezzogiorno e anche l’allegria. Al cuore dell’esperienza della cooperazione sociale mi pare di intravedere un desiderio di comprensione profonda del mondo, della sua mutabilità, una curiosità operosa che si stupisce ma non si lascia intimidire, che se non comprende studia, prova, sperimenta, chiama a raccolta risorse ed energie. Non un mondo fatato, ma disincantato senza supponenze, realista senza cinismi, capace di promuovere e socializzare i risultati, assolutamente interessato ad intervenire nelle situazioni di fatica, fragilità, esclusione. Anche in quelle organizzative.
Un secondo aspetto messo in luce dalla ricerca sono i fattori che attivano il potenziale di innovazione [ricordo che mi riferisco a quanto apprendo dalla sintesi, riformulando con parole mie quanto mi pare rilevante]. Quali caratteristiche dunque distinguono le cooperative sociali innovative?
Insomma: apertura, valorizzazione delle differenze, dirigenze che ricercano il confronto, ricerca di partner affidabili, riflessività costante su contesto, organizzazione, relazioni ed esperienze. Organizzazioni mindful, che non si fanno ingabbiare dai tracciati conosciuti né dagli schemi di azione consolidati., che non riposano su presunti allori, sempre un po’ in allerta, senza essere in ansia. Come dire che è operativo un fattore che non pur non nominato nella sintesi (sono certo lo ritroverò nel rapporto esteso) agisce a livello di gli schemi di pensiero organizzativo: le cooperative sociali capaci di innovare sanno che cambiare e migliorare comporta lasciare strade conosciute, attraversare confini, varcare soglie e limiti: innovare è esplorare e oltrepassare.
La sintesi a cui mi sono riferito è scaricabile dal sito di Vita.
Domani, lunedì 21 novembre 2011 (09:00 – 13:30), nuove considerazioni, spunti e idee verranno dal workshop organizzato dal Centro Studi Metodi Dati e Strumenti della Facoltà di Economia dell’Università di Brescia (in Sala Biblioteca in via San Faustino 74/b, Brescia).
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