Il Corriere della Sera per molti (nel passato) rappresentava una fonte autorevolissima. Oggi (per me) è un punto di vista mediano, da considerare. Riprendo per sommi capi i contenuti di un articolo di qualche giorno fa. Poi metto in sequenza alcune considerazioni.
Le successioni ai vertici delle imprese sono fatti di rilevanza sociale e economica, questioni che presentano dimensioni di rischio per le organizzazioni produttive e i loro interlocutori. Le successioni sono anche avvenimenti che suscitano curiosità [chissà perché…].
La complessità del tema è ben rappresentata da un articolo del Corriere della Sera di sabato 19 novembre 2011. Sergio Bocconi, il giornalista che lo firma, nota che in Italia – a differenza di quanto accade negli Stati Uniti – i cambi nelle posizioni di vertice non sono processi frutto di indirizzi ponderati. Le grandi organizzazioni non disporrebbero di un’ipotesi di successione sufficientemente modellata da attivare qualora, per le ragioni più varie, gli amministratori delegati o le figure chiave non fossero in grado di assicurare la direzione dell’impresa.
Il rapido esame comparato proposto dal Corriere prende spunto dal caso di Corrado Passera che, chiamato da Mario Monti a guidare il dicastero dello sviluppo economico, ha abbandonato nel giro di 48 ore la posizione di vertice in Intesa Sanpaolo (dove ricopriva l’incarico di amministratore delegato) per trasferirsi a Roma, lasciando la super banca in difficoltà (secondo quanto riferisce Sergio Bocconi), alle prese con la frenetica ricerca di un successore che assicuri la continuità imprenditoriale attesa e garantisca azionisti, clienti e mercati che la nave è saldamente nelle mani di un condottiero.
Questa vicenda fornisce lo spunto per notare come i passaggi di consegna repentini non sarebbero oggetto di valutazione e pianificazione. Una ricerca citata nell’articolo riporta che il 54% su un campione di 300 grandi società non avrebbe il piano B, “mentre sarebbe solo il 55% ad avere identificato un successore interno pronto ad assumere l’incarico”. La mancanza di continuità si presenta come un potenziale rischio per l’andamento delle società. Negli Stati Uniti la Securities and Exchange Commission ha sollecitato la predisposizione di piani successori. In Italia la Consob ha suggerito che le relazioni sulla governance societariea indichino le misure intraprese per assicurare la continuità di governo e nella revisione del codice di autodisciplina saranno previste specifiche indicazioni.
Stando agli analisti citati dal giornalista i meccanismi previsti dagli statuti apparirebbero inadeguati e i CdA non monitorano adeguatamente il problema. Ma perché le grandi società non predispongono politiche per gli avvicendamenti di vertice? La spiegazione che viene fornita da un consulente attribuirebbe al sentimento di minaccia che gli amministratori delegati in carica proverebbero nell’affrontare il tema [come dire che non si predispongono le scale antincendio per paura di pensare al fuoco]. Due altre ipotesi fanno riferimento a ostacoli di natura culturale: la scarsa attenzione alle risorse umane e la poca cura nel coltivare giovani talenti.
In che misura le successioni mal governate provocano contraccolpi economici? Come mai le borse sono così sensibili? Qual è l’impatto delle discontinuità, quali i meccanismi che si innescano? Cade la fiducia? Si interrompono relazioni? Vengono disperse energie, le persone al lavoro sono destabilizzate? Quali sono gli effetti che potrebbero prodursi? Cosa sappiamo di questa delicata fase, ancor più delicata se repentina nell’evolversi e imprevista per l’organizzazione?
La rappresentazione che scaturisce dalla lettura dell’articolo è quella di imprese che affidano alle figure di vertice compiti di rappresentanza e di direzione molto consistenti. Davvero un’organizzazione non è in grado di funzionare temporaneamente in assenza di un capo? E’ così difficile attivare in modo resiliente forme di funzionamento che facciano fronte per il tempo necessario a identificare un successore? La situazione è tanto più delicata e urgente quanto più il modello organizzativo e l’immaginario delle attese dei principali interlocutori è quello di vedere un condottiero immediatamente avvicendato da un altrettanto valoroso capitano.
Strutturarsi nella forma di “un uomo solo al comando” è di per sé più chiaro e rischioso che immaginare un gruppo dirigente che sappia intervenire nelle situazioni in cui si interrompa l’azione di governo apicale. Se si considera l’uscita di scena di Steve Jobs si nota come il passaggio di consegne è stato anticipato facendo in modo di affidare l’investitura ufficiale allo stesso Jobs (figura carismatica e testimonial per antonomasia del brand di Apple) pochi giorni prima della sua morte. Ma non mancano esperienze di codirezione di vertice (lo stesso Passera tra il 1992 e il 1996 è stato co-amministratore del gruppo Olivetti).
L’impressione è che non è sufficiente avere figure di vertice di valore (o ritenute tali), ma è necessario assicurare la continuità di conduzione: o introducendo piano di pronto intervento o istituendo forme condivise di governo direzionale (questa seconda non è la soluzione contemplata nell’articolo). E la questione della continuità segnala anche come nella figura di vertice si tenda a condensare la forza organizzativa. I capi incarnano l’impresa, la testimoniano, ne rappresenterebbero l’affidabilità.
Un conto è il successore temporaneo, un conto è il piano di successione. Non ho nessuna esperienza di grandi imprese. Più semplicemente se penso agli statuti delle cooperative sociali rilevo la genericità dei ruoli descritti, ma pure alcuni elementi di chiarezza. Ad esempio il vicepresidente di una società è chiamato a sostituire il presidente in caso di impossibilità a svolgere le sue funzioni (gli statuti non definiscono un piano ma almeno danno una indicazione precisa, da attivarsi nel caso venga meno la capacità di esercitare l’autorità apicale). Ma avere un piano sulla carta ed essere in condizioni di attivarlo con la minore perdita di capacità operativa sono due cose diverse.
Le dis/continuità nelle posizioni di autorità sono un fenomeno organizzativo che ben rappresenta l’impasto tra questioni organizzative, economiche, sociali, psicologiche. Le autorità di controllo intervengono segnalando il problema, rendendolo una questione istituzionale, da affrontare e da non sottovalutare: perdere il controllo, per un’impresa potrebbe essere rischioso e dare luogo ad effetti economici negativi, è necessario pensarci per tempo.
Quello che merita di essere approfondito.
La reticenza ad affrontare il nodo dei passaggi di consegne, la fatica a mettere a tema “il dopo di noi”, la scarsa prudenza che indurrebbe a comportamenti accorti, l’attenzione più dichiarata che praticata per le risorse professionali alle quali affidare compiti di responsabilità, sono questioni da approfondire. Di per sé non sono motivazioni ma descrizioni di fenomeni organizzativi (e culturali). Dove stanno i problemi?
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