«Quello dell’imprenditore/imprenditrice sociale è un mestiere difficile, faticoso: devi avere una visione, costruire una dimensione collettiva, far girare le risorse, e non stare fermo/a.»
Ormai sono passate un paio di settimane dal X Workshop sull’impresa sociale (Riva del Garda, 13-14 settembre 2012). In questi giorni ho provato a raccontare com’è andata alle persone che me l’hanno chiesto, cercando di procedere per punti e provando di volta in volta a focalizzare gli elementi che mi sono sembrati salienti.
Qui mi concentro sulla plenaria di apertura (giovedì mattina, 13 settembre 2012) e sulla plenaria di chiusura (venerdì pomeriggio, 14 settembre 2012). Altri colleghi/e racconteranno delle sessioni alle quali hanno partecipato.
Non sarò un cronista fedele.
Il mio obiettivo è riferire quello che mi ha colpito (e cosa mi preoccupa).
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Riva del Garda, giovedì mattina 13 settembre 2012.
La giornata è frizzante, c’è vento, il cielo è luminoso, il lago mosso.
La plenaria non tracolma di allegria, eppure in apertura qualche segnale positivo fa capolino.
Nell’attuale crisi, il sistema cooperativo sta tenendo, è un sistema che opera in tutti i campi dell’economia, che va promosso e rinnovato. Nei prossimi anni in Europa – per le cooperative e le imprese sociali – ci saranno molte opportunità: l’economia sociale tenderà ad estendersi e costituirà uno spazio di sviluppo. [Non sarebbe male sapere cosa è riconducibile all’economia sociale].
Il rapporto 2012 sull’impresa sociale in Italia (ricerca a cura IRIS-Network) fornisce diverse informazioni che fanno pensare al futuro.
In Europa il welfare pubblico va contraendosi, circolano tante idee di impresa sociale, si aprono spazi per l’economia sociale. L’innovazione sociale dovrà affrontare diverse sfide: invecchiamento delle persone, richiesta di beni eco-efficienti e eco-compatibili, nuove povertà e nuovi rischi sociali…
La Commissione Europea ha adottato la Social Business Initiative per promuovere economia e imprese sociali puntando su:
[Dall’Europa non abbiamo sentito molto di sociale… Può bastare l’annuncio di interventi su accesso al credito, visibilità e appalti?]
Quali sono le caratteristiche dell’impresa sociale di cui si discute in Europa?
È possibile immaginare una piattaforma di elementi comuni e al medesimo tempo forme giuridiche differenti e flessibilità nei modelli organizzativi?
Intanto in Europa non si guarda al solo modello cooperativo, vengono immaginati una molteplicità di soggetti, avanzate idee di imprese sociali diverse in Paesi diversi, e contano davvero le differenti evoluzioni, la storia. Anche se, secondo alcuni, gli aspetti che accomunano sono più delle differenze, e nel giro di qualche anno si potrà dare spazio a tutti, e un processo di convergenza sembra essersi avviato…
Quali sono gli elementi comuni che le imprese sociali devono esprimere?
Guardando all’Europa, ci sono elementi convergenti ed elementi divergenti…
Interviene Carlo Borzaga.
Sostiene che c’è confusione tra capitalismo (accumulazione) e mercato (coordinamento tra soggetti che scambiano). Il mercato non richiede necessariamente l’accumulazione capitalistica. Può esistere un mercato cooperativo e sociale, ma non un capitalismo cooperativo. Le cooperative e le imprese sociale hanno il compito di generare un mercato cooperativo e sociale. E forse il capitalismo come forma prevalente nel mercato ha gli anni contati [Forse…].
L’impresa è un meccanismo di coordinamento che mette insieme risorse e crea possibilità e con l’impresa sociale cambia il modo di concepire l’impresa. Queste le caratteristiche dell’impresa sociale:
[La liberalizzazione delle forme giuridiche delle imprese sociali può promuovere lo sviluppo dell’economia sociale? Da dove nasce l’esigenza? Si tratta di spinte culturali, economiche, funzionali?
Dove trovare soldi per crescere? [Dalla plenaria (e non solo) mi sono fatto l’idea che i soldi per finanziare idee, progetti, nuove imprese non mancano]. Le banche sono interessate a finanziare un settore descritto di espansione. Ci sono anche finanziatori privati. E dall’Europa ci si aspetta la disponibilità di fondi dedicati. Raccolta fondi, microcredito, forme di prestito… Diverse modalità sono state indicate. Ma un conto è trovare risorse per avviare un’impresa, un conto vendere servizi. [Un conto è aprire, un conto è durare].
Potrebbe anche essere che i finanziamenti non siano la questione cruciale (era già stato detto lo scorso anno, al precedente Workshop). L’impresa cooperativa cresce lenta per sua natura, perché non ha obiettivi di profitto ma di servizio. In ogni caso i soldi per partire (con nuove imprese o con nuove idee) potrebbero non mancare. [Mente la sensazione è che in molte organizzazioni sociali manchino idee ed energie, che non sia chiaro in quali aree di mercato investire e quali saranno le domande paganti].
L’economia sociale italiana raggiunge una certa efficienza e genera occupazione [+17% è stato detto], tuttavia la sua rappresentanza è frammentata. Il Governo Monti non si è occupato di cooperazione e di volontariato. È stata soppressa l’agenzia per il Terzo Settore, luogo di confronto di paradigmi sociali. Se un certo ‘disinteresse’ poteva essere comprensibile nella prima fase (di emergenza) dell’azione del Governo, oggi – nella fase dell’impegno sul versante della crescita economica – trascurare l’economia sociale non è giustificabile.
[Cosa stiamo capendo? Ok Europa, Ok imprese sociali, Ok varietà di modelli… Ma debole voce e scarsa visibilità. A questo punto Carlo Borzaga propone di cofirmare un appello al Governo].
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Anna Omodei su Fai un salto racconterà della sessione dedicata all’Innovazione digitale per le imprese sociali. Prendo solo qualche spunto, per una breve considerazione sull’innovazione digitale che le imprese sociali stanno affrontando.
Per le organizzazioni sociali (organizzazioni di volontariato, fondazioni, cooperative e imprese sociali) l’evoluzione digitale è già nelle pratiche quotidiane.
Le organizzazioni sociali possono affrontare l’innovazione digitale come un’opportunità per estendere la loro azione, potenziare la loro capacità operativa, moltiplicare i contatti.
Le innovazioni digitali possono servire a molte cose: conoscere, risparmiare, apprendere, comunicare, collaborare, trasformare, intervenire… Nei discorsi però sembrano prevalere rappresentazioni che tendono a contrapporre tecnologia e senso. Per contro nelle pratiche sembra possibile rilevare che nelle diverse innovazioni che vengono promosse – di processo, di prodotto, organizzative, sociali – le dimensioni tecnologico-digitali sono sempre (e variamente) presenti. Presenze a parole contrastate, nei fatti assunte acriticamente.
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Languido finire dell’estate… Riva del Garda, venerdì pomeriggio, 14 settembre 2012.
La cooperazione sociale è un movimento plurale che attraversa una fase critica. Ci sono organizzazioni che hanno perso movente ideale e senso del loro lavoro. Come possono rigenerare energie e capacità di costruire proposte? Il pessimismo cosmico e il nuovismo a tutti costi potrebbero non aiutare. Mentre la partecipazione alla riscrittura delle questioni sociali sulla base delle loro esperienze potrebbe essere un compito al centro della loro responsabilità. Se la cooperazione sociale non ritrova il senso della sua azione (promuovere giustizia sociale) attraverserà faticosamente la crisi attuale. [Fazzi dixit].
Sull’innovazione Luca Fazzi:
[Ho notato che ‘rete’ non è stata una parola eccessivamente spesa. Si è accennato alle reti per promuovere efficienza, rappresentanza e sostegno nella costruzione di innovazioni di lunga durata. Senza indulgere nella retorica delle reti. Le reti, se non consumano energie, se creano connessioni, se aiutano a vedere il mondo in modi diversi, se… allora alimentano innovazione].
Le cooperative e le imprese sociali devono incontrare il mondo profit. Diversi gli atteggiamenti suggeriti: imparare, contaminarsi, contaminare, conoscere… Per innovare conviene rivolgersi al profit cercando ricette risolutive o confrontarsi criticamente con esperienze diverse?
Al X Workshop sull’Impresa Sociale sono state presentate alcune anticipazioni sulle start-up sociali che si vorrebbero operanti nei campi di intervento delle onlus [se ho capito bene]. Si tratta di un progetto ancora da precisare che non sembra contemplare la forma cooperativa, ma che richiederebbe investitori diretti, sgravi nella fase di avvio (per un periodo limitato di anni), e poco altro. Sulla formula profit è stato espresso qualche dubbio: le start-up sociali potrebbero rivelarsi nuove opportunità per vecchi imprenditori [per vecchie volpi, o come dalla platea, un capitano di lungo corso ha detto: «le start-up sociali sono pensate per i figli dei padroni!»].
E la discussione è rimasta aperta.
Le forme di innovazione possono essere anche molto diverse. I modelli di impresa sociali potrebbero differenziarsi. L’economia di mercato potrebbe non reggere il capitalismo d’accumulo e chiedere forme di imprese cooperative e responsabili.
Il mondo cambia, noi stiamo cambiando le coordinate per leggerlo? Quali scenari ci attendono?
Le cooperative sociali esprimono modi diversi di stare in contatto con la realtà, di innovare e di fare impresa. Socio-sanitario, ambiente, turismo, cultura e scuola sembrano essere mercati potenziali? Quali modelli di impresa sociale? Per le cooperative sociali dov’è lo spazio di innovazione? [Su questi punti relatori e interventi dal pubblico sono stati decisamente misurati nell’offrire prospettive tranquillizzanti. E mi chiedo se – per rilanciare – le idee che stiamo mettendo in circolo potrebbero non bastare… Nuovi contatti creativi cercasi!]
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L’obiettivo del X Workshop sull’impresa Sociale era provare a confrontarsi sui modelli di business. E anche se il titolo “Fare di più con meno” poteva trarre in inganno, la proposta originaria era di provare a ripensare i modelli organizzativi e di business. Ripensare il proprio modo di lavorare e di pensarsi, immaginando che fare innovazione non significhi semplicemente tagliare servizi e attività, ridurre le spese, ma piuttosto riconsiderare le mappe d’azione, le esperienze per provare a rispondere a una mission culturale: promuovere giustizia sociale – ha suggerito Luca Fazzi -, creare condizioni di vita e di lavoro più dignitose hanno rilanciato altri, promuovere opportunità qualcuno ha suggerito…
Non si tratta (solo) di essere più efficienti nel fare quello che si sta facendo. Questo naturalmente ha senso, può essere un buon passo, ma potrebbe non bastare. Si tratterebbe in fondo di promuovere un cambiamento del primo ordine, tutto interno alle condizioni assunte come date, senza alcuno sforzo critico di considerare le forme organizzative per provare a modificarle, senza considerare le trasformazioni di contesto per provare a interpretarli, senza immaginare inedite modalità per coevolvere con il contesto, lavorando allo stesso tempo per modificarlo. In fondo cercare di ‘efficientarsi’, per le imprese sociali, potrebbe essere l’ultimo stadio dell’autoreferenzialità: proviamo a costare meno. L’ultimo stadio prima del dilagare di una crisi che si annuncia come decisamente critica.
L’innovazione invece potrebbe passare dalla ricerca di multistrategie, che contemplano l’efficienza come esito e non come fine.
Può bastare la ricerca di efficienza di performance per rispondere alle domande sociali? E se innovare non fosse solo farsi più efficienti, ma cambiare (almeno un po’) il modo di vedere e fare le cose, oltre alle risorse economiche (quelle per partire sembrerebbero disponibili) abbiamo idee ed energie? E quali sono i modelli di business? Qualcuno ha suggerito che innovare è anche cambiare il modo di innovare, che l’innovazione è dialogo, che l’innovazione non sempre è visibile, ordinata, lineare, progressiva, di successo. L’innovazione è ricerca.
Inoltre mi pare essenziale chiarire che cosa si intenda per innovazione sociale, infatti non sembra bastare innovare i processi produttivi facendo crescere l’efficienza. Le imprese sociali sono chiamate a lavorare su un nuovo patto sociale di cittadinanza e un modello di crescita inclusivo, dignitoso, emancipativo.
Da considerazioni cyber-antropologiche è emersa l’idea che un aiuto può venire da soggetti che svolgono azioni di mediazione: tra modi di vedere la realtà, tra approcci all’economia sociale, tra disponibilità e domanda di tecnologie, tra forme di business, tra attori che si collocano in dimensioni culturali e di mercato diverse.
Qualcuno ha suggerito: “Evviva il mediatore-socio-digitale! Aiuta imprenditori e utenti a costruire cambiamenti sensati. Aiuta tecnologi e innovatori non correre troppo e troppo altrove”. Forse l’innovazione ha bisogno di mediatori (accorti).
[Staremo a vedere…]
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Cara Laura, hai ragione le conciliazioni spesso non possono che agire sul tempo.
Anche questa sintesi (tardiva) è quasi fuori tempo massimo per ragioni di conciliazione fra tante cose diverse (ciascuna demanding quanto basta;-)
A causa di una faticosa conciliazione famiglia-lavoro, quest’anno non ero presente a Riva. Ringrazio quindi Graziano per questo post di sintesi e di riflessione. Forse ho recuperato un appuntamento mancato;-)