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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

La fatica di scrivere resoconti utili (G.W. Persson)

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Se siete interessati alla scrittura di relazioni/report/resoconti efficaci, che aiutino i gruppi di lavoro a discutere e a ragionare, qui trovate due esempi, uno non proprio efficacissimo, l’altro decisamente meglio. Due approcci a confronto, costruiti eccedendo forse sulla contrapposizione, che offrono però una veloce rassegna delle caratteristiche – da evitare o da ricercare – per stendere testi che raggiungano il loro obiettivo: aiutare a ragionare e a procedere.

Prendo spunto da due passaggi di In caduta libera come in un sogno, spy-crime story di G.W. Persson, ultima del trittico che ricostruisce (tra verità e fantasia) gli snodi politici della Svezia dal dopoguerra ad oggi. Siamo nel 2007. Lars Martin Johansson, capo della polizia di Stoccolma, riattiva le ricerche sull’omicidio di Olof Palme avvenuto una sera del febbraio del 1986. La Polizia svedese non ha mai chiuso il caso e ha accumulato ventun anni di indagini inconcludenti. Johansson riprende l’indagine, costituisce un gruppo di lavoro e ricomincia dall’inizio un esame retrospettivo del lavoro condotto, delle informazioni e dei materiali via via accumulati.
E a noi cosa interessa?
Mah… provo a dirlo nel penultimo paragrafo del post. Adesso ecco i due esempi.

Primo esempio di resoconto (analitico ed esaustivo, ma prolisso)

Cosa c’è che non va?

«Jan, racconta a noi poveri ignoranti quello che è successo quel disgraziato venerdì sera del 28 febbraio 1986.»
«Ho scritto un breve rapporto su quella sera» cominciò Jan Lewin con il suo obbligatorio e cauto schiarimento di gola. «Ve l’ho girato per email. Davanti a voi ne avete anche una copia cartacea. Propongo di prenderci dieci minuti, così avrete il tempo di leggerlo in tutta tranquillità.»
«Eccellente idea» disse Johansson. «Così potrò far preparare il caffè per tutti e sgranchirmi le gambe.»
Johansson sembra contento e soddisfatto, pensò Anna. Sospettosamente contento e soddisfatto, se disse prendendo il rapporto di Lewin dalla cartella di plastica. Cosa diavolo è questo? Venti pagine di testo più altre dieci contenenti una specie di indice. Quasi duecento persone, nomi, cognomi, e codici fiscali, seguiti da un numero di registrazione.
«Sono i testimoni ascoltati nei diversi capitoli del mio rapporto» spiegò Lewin che aveva evidentemente notato l’espressione perplessa della collega. «I numeri di registrazione si riferiscono agli interrogatori nel teriale Palme.»
«Capisco» disse Anna annuendo, Cos’è che non va con Jan? Non è il tipo che cerca di farsi bello agli occhi degli altri. Svegliati Anna, si disse, e iniziò a leggere.

pp. 87-88
G.W. Persson, In caduta libera come in un sogno, Marsilio, 2008 (2007)

Maledettamente troppo lungo

Johansson era tornato dopo venti minuti e non era chiaro di che cosa si fosse occupato. Non certo del caffè, perché la sua segretaria lo aveva portato poco prima che tornasse. Sicuramente si trattava di qualcosa di particolare. Era tornato e aveva ripreso il suo posto proprio quando Anna Holt aveva appena finito di leggere il rapporto di Lewin.
[…]
«Okay» disse Johansson. «Grazie, Jan. Un modello di chiarezza e sintesi.» E maledettamente troppo lungo.

p. 92
G.W. Persson, In caduta libera come in un sogno, Marsilio, 2008 (2007)

Secondo esempio di resoconto (selettivo e sintetico, quindi afferrabile)

Ti ascolto

No, Lisa Mattei non aveva scovato il colpevole. Però era riuscita a farsi un’idea sul perché nessuno ci fosse ancora riuscito. Ed era abbastanza sicura del contenuto del materiale di indagine.
«A grandi linee.» chiarì.
«Senti, senti» disse Johansson.
«Avevo pensato di esporti un’idea.»
«Ti ascolto» disse Johansson.
«Ho pensato di chiederti il permesso di condurre una piccola ricerca sociologica.»
Johansson annuì, ma Lisa aveva notato un vago cambiamento nei suoi occhi.
Una piccola ricerca sociologica, intervistando semplicemente i colleghi che avevano tenuto le redini della caccia all’assassino di Palme in tutti quegli anni. Quelli che erano ancora vivi e con i quali era possibile parlare. Chiedendo chi avesse fatto cosa e perché le cose fossero andate come erano andate.

p. 77
G.W. Persson, In caduta libera come in un sogno, Marsilio, 2008 (2007)

Tutto in due pagine

La sera dopo l’ultima intervista, Lisa rimase in ufficio fino a tardi per scrivere un breve rapporto sulle conclusioni alle quali era arrivata. In tutto due pagine contro le venticinque di Jan Lewin. Le inviò per email a Johansson. Soltanto a Johansson, perché pensava toccasse a lui decidere chi dovesse leggerle.

p. 125
G.W. Persson, In caduta libera come in un sogno, Marsilio, 2008 (2007)

Brevi o lunghi?

Dalle citazioni sembra possibile constatare che l’eccesso di informazioni, la completezza (si scoprirà leggendo il romanzo la funzione difensiva della scrittura prolissa di Jan Lewin) non aiuta il gruppo di lavoro a trovare una chiave interpretativa nuova e neppure aiuta a riconsiderare come le indagini sono state condotte, gli errori e gli schemi d’azione che hanno negli anni ostacolato le ricerche della polizia. L’eccesso sovraccarica, disorienta, moltiplica gli sforzi di decodifica e di interpretazione. Al contrario una certa asciuttezza, un lavoro di sintesi e di focalizzazione orienta e apre possibilità di cogliere aspetti trascurati.

  • Lunghezza e completezza e analiticità ecco tre caratteristiche per spostare sui lettori la responsabilità della scelta di cosa ritenere e cosa dimenticare, affidando loro il compito di stabilire cosa è importante e cosa no. Questa scelta qualcosa dice sulle relazioni prefigurate o inconsapevoli con i lettori ai quali la relazione è diretta (o almeno ci consente di porci delle domande su chi siamo, sulla posizione che assumiamo e sulla relazione con i nostri lettori): passivi ordinatori di informazioni, facilitatori che aiutano nei processi di esame e comprensione, selezionatori ed elaboratori che devono indirizzare?
  • Le relazioni brevi, asciutte, essenziali invece imboccano un’altra strada. Mantengono nelle mani di chi scrive una buona parte di responsabilità: la scelta di stabilire cosa è importante, la trama essenziale delle vicende o l’attribuzione di rilevanza alle informazioni. Non è cosa da poco: mettono gli utenti nelle condizioni di non perdersi, e – non saturando lo spazio informativo – lasciano l’opportunità a chi legge di porre domande, di essere insoddisfatto, di voler approfondire, di abbracciare l’insieme dei contenuti.

Dovizia di particolari vs. perdita di dettagli?
Lungo: dispersione e fatica, ma possibilità di approfondimento.
Breve: orientamento e spazio alle domande, ma selezione a monte delle informazioni.

E a noi cosa interessa?

Quali spunti dalle citazioni e delle considerazioni? In che modo possono essere utili i resoconti?

  • È interessante cogliere le motivazioni dell’inquietudine retrospettiva che muove Lars Martin Johansson. Qualcosa, che nella (propria) storia è rimasto in sospeso può essere riconsiderato. Può valere la pena fare i conti con il (proprio) passato, e a volte il futuro è nella memoria.
  • Può essere che vi sia qualcosa da imparare nel riconsiderare le proprie esperienze e quelle delle organizzazioni di cui si fa parte (e delle quali – per ciò stesso – si è a qualche titolo co-responsabili), e forse ci sono apprendimenti pronti a scaturire dalle pratiche, dagli errori, dalla storia che si è vista scorrere e/o si è contribuito a costruire. Le conoscenze si producono attraverso la rilettura di avvenimenti e percorsi, rielaborando la propria esperienza.
  • Una terza ragione di interesse è più prosaica e operativa… Sembra conveniente essere stringati piuttosto che ridondanti. Si è più efficaci nell’attivare la partecipazione e il pensiero (se questi sono gli obiettivi della scrittura). Se invece c’è qualcosa da nascondere, allora è meglio farlo nella verbosità: maggiore è l’intrico delle parole, più difficile è uscirne.
  • Da ultimo, le forme di scrittura (pattern) forniscono segnali sulle persone e sulle loro rappresentazioni, segnali non immediatamente decodificabili, per nulla incontrovertibili, ma pure esaminabili…

Truccologie (qualcosa di buono verrà…)

Per predisporre resoconti che aiutino i gruppi a ragionare su possibili alternative può valere la pena costruire una matrice che evidenzi in riga le ipotetiche alternative, lasciano lo spazio per una terza e/o quarta alternativa aperta. In colonna invece è possibile inserire una serie di domande:

  • Quali sono le ipotesi (più o meno) in alternativa fra loro?
  • Quali sono le questioni in gioco?
  • Quali i vincoli da rispettare (normativi, temporali, economici, tecnici)?
  • Quali effetti per i soggetti coinvolti?
  • Quali effetti per i destinatari dell’azione/intervento?
  • Verso quali prospettive ci si dirige assumendo una o l’altra decisione?
  • Come le decisioni possono essere motivate, quali criteri le orientano?
  • Quali effetti economici, di quali risorse vi è la necessità?

Le matrici sono certamente… schematiche, separano, ma sono utili perché consentono di ragionare in termini spaziali, di configurare diverse ipotesi, di circoscriverle e di metterle in relazione fra loro. In genere, quando si presentano resoconti che aprono a ipotesi diverse e articolano gli elementi portanti, qualcosa di buono, in termini di nuove domande, di nuove considerazioni, di nuove idee viene prodotto.

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A proposito della fatica di scrivere…

Trovate qui una serie di post sulla fatica di scrivere.

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