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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Le partnership hanno bisogno di cura (#PPPNP)

Partnership Manager leggero

Le caratteristiche delle partnership

La costruzione di partnership si sviluppa affrontando condizioni ineludibili e concrete: ne isolo tre, che mi consentono di precisare meglio quale concetto di partnership tengo a riferimento e di identificare uno degli elementi che ne facilita promozione e funzionamento: il lavoro di mediazione e di sviluppo.

Ecco tre caratteristiche che determinano la complessità delle partnership:

  • Collaborazioni
  • Alterità
  • Innovazioni

Che siano mosse da prevalenti ragioni mutualistiche, che invece l’obiettivo sia di incrementare il benessere sociali, ambientale, economico di una comunità, di un territorio, o di gruppi di persone, o di altri progetti collettivi, le partnership sono accordi nelle intenzioni temporanei (di norma, anche non esclusivamente). Le partnership consentono ai soggetti coinvolti di mantenere distinte le loro identità, mentre danno origine ad aree di interazioni finalizzate o anche sistemi organizzativi terzi rispetto a chi li promuove, con l’intento di produrre risultati di valore per chi vi investe energie.
Lo spirito che presiede il raccordo è quello della collaborazione fra soggetti organizzativi (e gruppi, e individui) differenti, più o meno autonomi, che presentano alcune somiglianze, che ricercano sinergie, ma che si incontrano sotto il segno dell’alterità organizzativa riconoscibile nei differenti nomi, nelle storie, negli ntenti, relazioni, risultati, dimensioni, ragioni sociali, e altro ancora. Non c’è partnership senza differenti partner dunque, alla ricerca di collaborazioni, mosse da interessi e strategie diverse ma unificati (implicitamente a volte) dalla ricerca di trasformazioni e innovazioni – spesso sociali – che intendono essere e vengono presentate come miglioramenti vantaggiosi e desiderabili: novità per le quali vale la pena investire e mobilitare energie.

Partnership manager

Prendo in prestito un’etichetta e la adatto (Community Manager > Partnership Manager) per articolare ragionamento che voglio esporre: le partnership, per avere chances di evoluzioni positive, necessitano di essere accompagnate, sostenute, connesse, promosse. Servono dunque attività e figure che operino per il loro sviluppo, il loro consolidamento e la loro produttività (capacità di raggiungere risultati attesi e apprezzabili). Metto in relazione spunti da fonti diverse di area sociologica (Ferrari, 2012; Jedlowski, 2003) e antropologica (Fasulo, 2009; Oliver de Sardan, 2008), le collego con provocazioni culturali (Gladwell, 2000), con riflessioni manageriali (Benedetti e Chiussi, 2007; Nacamulli, 2008) e sollecitazioni provenienti dalla blogsfera (MacDonald, 2013) per ricavare un abbozzo di profilo e di repertorio di competenze delle figure che identifichiamo come Partnership Manager.

Mediatori di collaborazione: agenti di sviluppo e broker locali

Se ammettiamo che per le organizzazioni la costruzione di partnership costituisce esperienza di innovazione multiattore, allora possiamo mutuare dalle riflessioni sulle dinamiche che promuovono lo sviluppo di innovazioni spunti per identificare elementi che ne facilitano l’innesco e lo sviluppo.
Quando pensiamo alle partnership possiamo pensare a mondi organizzativi che entrano in contatto, sistemi organizzativi che hanno caratteristiche e obiettivi propri, accomunati però dall’intenzione di generare/ottenere vantaggi anche attraverso processi di innovazione tecnologica e sociali.

Indagando le dinamiche di innovazione nei paesi in via di sviluppo e negli studi di sociologia urbana e rurale, Oliver de Sardan (2008) identifica due diverse figure di mediatori di innovazione gli agenti di sviluppo e i broker locali. Di seguito riformulo le sue analisi per segnalare brevemente come agiscono da mediatori di collaborazione.

Agenti di sviluppo

Gli agenti di sviluppo vengono da fuori, non fanno parte del contesto, e – almeno nelle prime fasi – sono outgroup rispetto alla costituenda partnership. Sono in genere esperti in qualche campo,  che si riconoscono come portaroei di competenze socio-tecniche istituzionalizzate. Si presentano con il compito di sensibilizzare, coinvolgere, attivare, animare e favorire le interazioni fra i soggetti, con l’obiettivo di trasformarli in partners. Gli agenti di sviluppo sono dunque agenti di contatto, mediatori di saperi, facilitano la presentazione reciproca fra gli attori in campo di punti di vista, esigenze, conoscenze (lavorano perché gli attori in campo non siano solo portatori di interessi ma anche di risorse locali). Come interpreti lavorano per comprendere e decodificare linguaggi, simboli, e comportamenti (sistemi di senso) delle organizzazioni con le quali entrano in contatto e che mettono in contatto. Vengono dunque ingaggiati come esperti competenti nel gestire le relazioni fra partner. Due le caratteristiche che, secondo Jedlowski (2003) mettono in campo questi mediatori di innovazione: l’essere estranei al contesto e l’essere però riconosciuti come esperti a qualche titolo favorevoli per chi viene sollecitato a sviluppare innovazioni sociali.

Nel fare ciò però possono trovarsi ingaggiati, in qualità di divulgatori, a realizzare progetti che – se non condivisi e contestualizzati – sono esposti al rischio di trasformarsi in azioni acritiche, in innesti forzati, mossi da mandati ideologici, imposti da chi promuove la realizzazione dei progetti. Agenti di sviluppo colonizzatori corrono dunque il rischio di propagandare disegni estranei alle esigenze degli attori, finendo per venire  delegittimati.

Broker locali

Broker (intermediari) locali di… trasformazioni, di cambiamenti, di vantaggi, di evoluzioni. Si tratta in questo caso di figure che appartengono già alla comunità (ingroup), figure conosciute che svolgono funzioni di interfaccia e di contatto fra le parti (mediatori e a volte negoziatori). Conoscono, sono inseriti e riconosciuti dalle reti locali, che assegnano loro un certa capacità di influenza e di rappresentanza: per un verso dispongono di un capitale sociale proprio mobilizzabile ma, per altro verso si espongono al rischio di venire manipolati. Conoscono le retoriche del contesto, sanno cosa dire e come comportarsi nelle interazioni perché appartenenti ai sistemi relazionali nei quali operano, ma sono anche essere coinvolti nelle dinamiche. La loro competenza si esplica nel disporre di informazioni, legittimazione, capacità di operare negli spazi culturali (e negli spazi relazionali), traducendo e facendosi comprendere, parlando sia il linguaggio del progetto, sia quello dei soggetti coinvolti, rispettando categorie interpretative, pratiche e comportamenti. Nacamulli (2008) sottolinea come il ruolo di broker possa venire assunto dai dirigenti delle organizzazioni, diventando agenti di promozione di cambiamento, che collegano esterno e interno, mediatori di innovazione capaci di ritradurre culturalmente le innovazioni sociali nei servizi e nelle organizzazioni che dirigono.

Ma i broker locali sono anche esposti al rischio di trovarsi impigliati nei rapporti fra partner, nelle conflittualità, paralizzati da veti incrociati e da dipendenze relazionali.

Competenze per lo sviluppo di collaborazioni

Esperti, provenienti da fuori o inseriti, autorità laterali che dispongono – e si vedono riconosciute – competenze tecniche e legittimità ad operare, mediatori autorizzati ad intervenire, agenti di cambiamento ( l’essere agente ci riporta alla domanda sul senso e sulla rispondenza dell’azione: operatori proattivi o esecutivi?). In ogni caso per dispiegarsi – l’innovazione-partnership – richiede l’intervento di soggetti o strutture intermedie di mediazione. Proviamo ad elencare le attività che sono chiamati a svolgere.

Sostenere la collaborazione

Anticipando le difficoltà, cogliendo possibilità di supporto reciproco, riconoscendo gli apporti, ma anche – come suggerisce Ferrari (2012) – legittimando gli sconfinamenti e le microdinamiche di collaborazione informale, si realizzano azioni di partnership management.

Facilitare l’innovazione

Un ruolo fondamentale delle figure di intermediazione consiste nell’avvicinare, innescare, promuovere, propagare e sostenere processi innovativi. Promuovendo contatti, ‘assaggi’, scambi, travasi, occasioni per ampliare le competenze, diffondendo varietà e opportunità per apprendere dalle esperienze inedite.

Rilanciare la governance

Non sempre agenti di sviluppo o broker locali fanno parte degli organismi di indirizzo e di gestione delle partnership, non sempre possono svolgere azioni dirette nelle situazioni in cui le decisioni vengono prese, ma possono influenzare, ricordare gli accordi e le regole, agire come autorità indirette, promuovere condivisione, titolarità delle decisioni, autonomia e responsabilità degli attori, senza minimizzare vincoli o pressioni esterne. Una delle sollecitazioni che un facilitatore di partnership può richiamare riguarda la focalizzazione della strategia di azione.

Valorizzare i risultati

Le partnership svolgono attività, raggiungono obiettivi, producono risultati, sviluppano conoscenze e competenze. Chi interviene per promuovere le partnership lavora per favorire l’esame e la considerazione degli impatti positivi (e negativi?) prodotti, ed anche per costruire occasioni per rendere visibili e apprezzabili gli esiti progressivi che le collaborazioni fra gli attori consentono di raggiungere.

Promuove la comunicazione

Mettere in circolo conoscenze provenienti da fonti diverse, con particolare attenzione a quelle autoprodotte, favorendo lo scambio di informazioni, rendendo disponibili dati pertinenti, visibilizzando attività, risultati e soggetti, valorizzando apporti, utilizzando canali comunicativi i soggetti favoriscono il consolidarsi delle collaborazioni. Gladwell (2000) identifica nelle figure in grado di tenere aperti i canali e di connettere con tempestività i promotori di processi collettivi di trasformazione. In una prospettiva 2.0 chi svolge la funzione di partnership manager si serve dei social network per comunicare: promuove la produzione di contenuti, interventi e prese di parola, raccorda le interazioni, i ritorni, le critiche, sostiene l’aggregazione, mette in circolo idee e concetti.

Riferimenti

Benedetti A., Chiussi L., “Il dirigente di rete: elementi per un repertorio di competenze”, in Scaratti G. e Zandonai F. (a cura di), I territori dell’invisibile. Culture e pratiche dell’impresa sociale, Laterza, 2007, pp. 233-249.

Ferrari M., “La sostenibile leggerezza del welfare? Opportunità, insidie, traiettorie a livello locale”, in Autonomie Locali e Servizi Sociali, 1/2012, pp. 35-50

Fasulo A., “Fiducia”, in Etnografie del contemporaneo: pratiche e temi degli antropologi – Antropologia museale, 22/2009, pp. 51-53.

Gladwell M., Il punto critico. I grandi effetti dei piccoli cambiamenti, Rizzoli, Milano, 2000 (2000).

Jedlowski P., “Senso comune, esperienza e innovazione sociale”, in Fogli nella valigia. Sociologia, cultura, vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 2003, pp. 57-67.

Mac Donald T., Community Manager Manifesto, Slideshare.net, 2013.

Nacamulli R.C.D., “Il management”, in Borzaga C., Fazzi L. (a cura di), Governo e organizzazione per l’impresa sociale, Carocci, 2008, pp. 107-125.

Olivier de Sardan J.-P., “Mediazioni e brokeraggi” in Antropologia e sviluppo, Cortina, Milano, 2008 (1995), pp. 167-191.

 

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