Tre coincidenze fanno sistema
Vorrei proporre alcune considerazioni sui turni di parola nella scrittura elettronica. Siamo nel campo della sociolinguistica. Mi muovo circospetto e titubante.
Parto da tre osservazioni empiriche. Nelle scorse settimane ho ricevuto tre email da tre studenti dell’università. Tre richieste riguardanti la possibilità di sostenere – senza frequentare – l’esame di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni.
Tre richieste, tre risposte e nessuna chiusura.
Cioè ho risposto via email alle richieste che gli studenti mi hanno sottoposto, ma l’interazione si è chiusa lì. Le email le ho mandate volentieri: ho cercato di spiegare l’impostazione del corso e di fornire indicazioni su cosa fosse possibile fare. Ho chiuso l’email dando la mia disponibilità a essere contattato telefonicamente o per un appuntamento in università. Rispondere alle richieste degli studenti rientra nei miei compiti, ho cercato di farlo a modo (al meglio delle forze).
Tre richieste, tre risposte e nessuna chiusura.
Saranno andate perse le email?
No impossibile, sono anni che non perdo email. E in ogni caso in quei giorni tutto funzionava perfettamente.
Avrò scritto cose incomprensibili?
Ho riguardato le email e non mi sembra. Il solito tono, cordiale e formale al tempo stesso, come si addice – e ci si aspetta – nel contesto universitario.
Cosa è successo?
“Eh.. ma è tipico dell’università…
Si dirà che le modalità comunicative dipendono dai codici relazionali propri del contesto (universitario). Non sono del tutto convinto. È possibile certo che in circolo, nelle situazioni specifiche che ho descritto, ci sia l’idea che, una volta ricevute informazioni sollecitate, l’interazione si chiuda lì. Certo è possibile, ma, oltre ad essere un modo facile per rimettere rapidamente la questione nella scatola e chiuderla, noto che gli scambi lasciati in sospeso sono presenti anche in altri contesti.
[Insomma non accetto l’idea che sia tipico degli studenti dell’università: l’argomentazione “Ah, i giovani d’oggi rientra nel campo delle rimozioni psicoanalitiche].
Anche in altri contesti lavorativi accade che le conversazioni rimangano in sospeso. Non tutti cioè dopo aver sollecitato una risposta e averla ottenuta rispondono con un garbato e disimpegnante: “Bene, grazie, ti farò sapere”, che ancora non dice né sì né no, ma almeno segnala di avere assunto su di sé l’onere del passo successivo, chiudendo così lo scambio.
Immaginazione…
Mi sono immaginato una situazione del genere.
Mi chiama un collega al telefono.
Mi chiede se è confermato l’incontro in programma per il prossimo lunedì e mi chiede di portargli del materiale in mio possesso.
Poi, anziché ringraziare, passare a qualche formula di commiato più o meno lunga, fare una battuta e salutare… Riattacca.
Cosa penserei (cosa pensereste)?
Mah, che si è fulminato o che è caduta la linea.
Al telefono – fateci caso – ci sono diverse modalità di contatto, ma in genere non si sfugge ai convenevoli di apertura e a qualche modalità di commiato (diverse, più o meno impegnative, nelle diverse situazioni relazionali).
In ogni caso omettere le chiusure e i commiati sollecita riprovazione (Eh, che modi!).
Quanto tempo investiamo ad insegnare ai nostri figli le magiche parole che faticano a diventare automatismi? Quante volte dobbiamo ripetere che è necessario dire “per favore” e “grazie” indipendentemente dalle situazioni e dalle persone con cui ci rapportiamo?
(E quanto tempo hanno investito con noi?)
Il silenzio è un’informazione ambigua
C’è poi un secondo aspetto.
Il silenzio non è facilmente decodificabile.
Il silenzio è assenso? Sì, ma dobbiamo essere d’accordo preliminarmente nell’interpretarlo come via libera.
E in ogni caso questa forma d’uso del silenzio (lo segnalano con chiarezza Weick e Sucfliffe, 2010, p. 153 e d’intorni) non è sempre interpretabile univocamente. Il silenzio potrebbe dipendere da qualche impedimento nel ricevere l’informazione o da una mancata elaborazione. In questo caso il silenzio non sarebbe intenzionalmente avvallo. Ci sarebbe un problema da qualche parte, lungo il corso della comunicazione che non invece interpretiamo come assenso pieno e positivo. L’assenza di comunicazione è comunicazione… da disambiguare (al minimo) e da interpretare.
Tornerò, in un prossimo post, sulle richieste che non ricevono risposta (alla domanda si risponde con il silenzio, cioè non si risponde).
Intanto sono (moderatamente) preoccupato per il silenzio alle mie email di risposta.
Il silenzio è uno spazio che consente la comunicazione?
Il silenzio è un’attesa che consente di prendere parola?
Il silenzio è una pausa che dà spazio alla riflessione?
Il silenzio è un intervallo che dà modo ai parlanti di organizzarsi?
Il silenzio è una sconnessione tecnica?
Il silenzio è un ritiro e una assenza relazionale?
Il silenzio è un vuoto inspiegabile?
O un successo certo (“nessuna nuova, buona nuova”)?
Il silenzio è tutto quanto noi vogliamo che sia, e anche una semplificazione?
Ringraziare non è time-consuming
Ringraziare non è mai tempo sprecato e non consuma tempo. Se il tempo non è un apriori quantitativo ma un vissuto psicologico e una dimensione sociale, ricevere un “grazie” dilata il (mio) tempo e rende l’affollamento delle incombenze meno oneroso da gestire.
Qualcuno sostiene che si dovrebbero evitare le email di ringraziamento per non ingolfare le caselle di posta. Non sono d’accordo (l’ho già argomentato qui). Non sono queste le email che disturbano o fanno perdere minuti preziosi.
Ci vuole poco a dire grazie. Per essere veloci si può inserire il grazie nell’oggetto. Si può semplicemente fare un reply dicendo: “Grazie per i materiali, a presto”. Oppure: “Grazie per le informazioni, le valuto ed eventualmente mi farò vivo”. Non sto parlando, lo si sarà capito di ringraziamenti extra-conversazionali (inutile e fastidiosa piaggeria derelazionale), ma di ringraziamenti pertinenti e collegati allo scambio in corso.
[I ringraziamenti rinsaldano i legami, e li vivificano, attivano energie e aiutano ad andare avanti.]
(Non solo) secondo me
Anche per le email, secondo me, lo schema dovrebbe essere: “Formulo una richiesta > Ricevo una risposta > Ringrazio e chiudo”.
Un “Ok, ricevuto, procedo”, non guasta, non ruba tempo, non lascia appesi tra il sì e il no, consente di procedere. Nelle pratiche conversazionali il sistema di presa di turno è essenziale (viceversa non c’è conversazione). Le conversazioni, per potersi dire comunicazioni fra parlanti, si configurano come sequenze di scambi sufficientemente ordinati, regolati dagli stessi soggetti nel momento stesso in cui interagiscono fra loro (Jacob, 2001, da p. 376 in avanti).
Quello che potrebbe accadere nel caso delle email è che lo scivolamento (quasi un processo che investe l’immaginario collettivo?) verso un linguaggio scritto che utilizza le regole del parlato determina una maggiore flessibilità nella presa di turno, quasi che le email (lo sentiamo dire spesso) possano essere ascritte alle conversazioni informali. Se fosse così significherebbe che a una richiesta brevissima potrebbe seguire una risposta lunga, o che a un insieme di domande articolate si potrebbe rispondere quasi a monosillabi (sì… ma poi quando ci si comporta in questo modo, entrambi gli interlocutori sentono che c’è qualcosa di minimale e di stonato).
Nell’uso delle email (nell’esempio sopra riportato) potrebbe essere che per gli studenti, la risposta del docente completa (e chiude) l’interazione.
“Cosa c’è da aggiungere? Ho fatto una richiesta, ho ricevuto la risposta. Fine”.
Se fossimo in una interazione vis-a-vis, ci sarebbe un: “Bene, grazie, ci penso… arrivederci” > “Arrivederci”. In questo caso il mezzo (l’email) sembra ostacolare la risposta di chiusura (nonostante il tasto ‘reply’).
Mi chiedo però se l’interruzione della conversazione a due turni (domanda > risposta), invece che a tre (domanda > risposta > ringraziamento e chiusura) non dipenda dalla formula di commiato che ho usato nella email. Se cioè il mio modo di accomiatarmi non avesse determinato l’implicito che la conversazione fosse terminata e che non fosse necessario aggiungere altro. È possibile. Se chiudo dicendo: “Adesso, alla luce delle informazioni che le ho dato, valuti cosa fare”, forse è come se dicessi: “Io ho finito. Adesso sta a lei…”. Quasi una specie di “Passo e chiudo”…
Se invece avessi detto: “Mi faccia sapere cosa decide di fare” avrei tenuto la conversazione aperta. Anche se mi rendo conto che sto spostando l’asse dalla questione dai turni conversazionali che si chiudono con un “Grazie”, all’attenzione sulle modalità di rilancio dei turni di parola. Rimane il dubbio che qualcosa non abbia funzionato nell’articolazione del discorso e abbia inibito la commutazione. Che il problema (se di problema è corretto parlare) sia nelle rappresentazioni delle interazioni, nella pragmatica o nella retorica del discorso? Mi sfugge la razionalità sostanziale degli accadimenti, non colgo le relazioni e le interdipendenze degli eventi nella specifica situazione comunicativa, vedo tutto un po’ sfuocato e strizzo gli occhi (Catino, 2009, p. 110 e d’intorni).
In ogni caso nelle email non è agevole metacomunicare. Non ci si vede, la comunicazione è asincrona, sollecitare equivale a riprendersi il turno (e insistere)…
Come ci si deve comportare allora?
PS
Adesso che rileggo mi chiedo come le cose vadano nel caso degli SMS… La situazione è simile e diversa. Bastano una domanda e una risposta? Si può omettere l’SMS di ringraziamento (e di chiusura). Dipende da come la risposta segnala la fine della conversazione? Ad esempio: “Manca il latte” > “Ci penso io”. La conversazione si può chiudere così. Siamo al top dell’informale. Ma mi pare possa funzionare. In altra situazione: “Passi tu a prendermi alle 8?” > “Sì, ok” > “ok, a domani”. In questo caso i turni sono tre e c’è una chiusura. Mah, c’è da ragionarci.
PPS
Anche i robot dicono grazie. Ieri, per la prima volta ho registrato un esame usando la firma digitale e una procedura on-line. Al termine della telefonata che serviva per firmare (SIM+codice esame+PIN personale) il computer con il quale interagivo ha detto: “Grazie per la chiamata”.
Che dire?
“Prego”?
.
Riferimenti
Berruto G., Prima lezione di sociolonguistica, Laterza, 2011 (2004)
Catino M., Miopia organizzativa. Problemi di razionalità e previsione nelle organizzazioni, Il Mulino, 2009.
Jacob S., “Turno /Turn”, in Duranti A. (a cura di), Culture e discorso. Un lessico per le scienze umane, Meltemi, 2001, pp. 376-382.
Weick K. E. e Sutcliffe K. M., Governare l’inatteso. Organizzazioni capaci di affrontare le crisi con successo, Cortina, 2010 (2007).
Jacob S., “Turno /Turn”, in Duranti A. (a cura di), Culture e discorso. Un lessico per le scienze umane, Meltemi, 2001, pp. 376-382.
Il post è veramente interessante e pieno di spunti per ulteriori riflessioni, ma c’è una domanda che mi attanaglia e che devo assolutamente porle: perchè professor Maino non ho ricevuto una risposta alla mail, in cui le confermavo l’accettazione del voto conseguito durante il corso di psicosociologia?? Ho atteso alcuni giorni, invano, nella speranza di ricevere un “presa visione” o un ringraziamento e invece niente! Avevo rimosso l’episodio finchè, bazzicando sul suo blog, mi sono imbattuto nel suo intervento, che tra l’altro condivido pienamente in tutti i punti da lei elencati. C’è un motivo particolare per cui non ha risposto alla mia mail? in effetti rispondere a 80 e passa studenti non è la cosa piu’ agevole del mondo e allora mi chiedo se non ci siano anche di questi limiti da considerare nel trattare questo argomento. Non so se si riesce a rintracciare, ma sto usando un tono scherzoso, che vuole ampliare la riflessione piu’ che suonare come un rimprovero! :)
Grazie dell’attenzione :)
Per parte mia sono colpito da quello che accade nelle chat, in cui spesso si lasciano in sospeso discussioni, non si saluta, ci si congeda improvvisamente.
Soprattutto nella comunicazione con mezzi digitali si ha la tendenza a dimenticare (si fa fatica a ricordare) che dall’altra parte c’è una persona.
Certo, per funzionalità, praticità, aderenza allo stile comunicativo del mezzo, in alcuni casi si bada (come dice Vittorio) al raggiungimento dell’obiettivo: ottenuta l’informazione ti saluto (anche no, se lo reputo superfluo).
In sintesi: strumenti diversi richiedono stili diversi, ma attenzione alle contaminazioni.
Sono rimasto allibito da una collega psicologa che durante un colloquio (83,27 €) ha fatto (non ricevuto) una telefonata senza nulla dire alla persona che aveva di fronte (il sottoscritto).
Questo mi inquieta: che stili comunicativi tipici di strumenti digitali stiano invadendo il modo di relazionarsi vis à vis?
Forse no (non solo)…mancanza di educazione e scarsa professionalità hanno da dire la loro.
Ottica evolutiva: tra chat, sms, smart phone…chi resisterà nei prossimi anni?
p.s. (1) rilanciando il post su Fb ho commentato: “Pause e silenzi nella comunicazione digitale…ovvero…guardiamoci negli occhi che è meglio! ;-)”
p.s. (2) a propostito di silenzio assenso: ho modificato la testata di appunti di lavoro…curioso di vedere cosa accade
ho cliccato ‘commento’ pensando di scrivere che io saluto sempre la signorina della voce automatica dei caselli autostradali e tac! ci ha già pensato Giovanna. anche se già sapevo di non essere il solo. A volte le faccio aspettare un po’ prima di inserire il biglietto, così me lo chiede due volte e immagino un brivido di stizza elettronica che percorre la macchina. poi infili, paghi, arrivederci, sbarra, parto, ecco il prossimo.
Le interazioni raccontate da Graziano mi hanno fatto pensare all’essere vivente (partendo proprio dall’esperienza con la macchina): l’umano struttura prassi relazionali adeguate a rafforzare la sua esistenza e la sua permanenza a questo mondo (IN questo mondo). Con la tecnologia ottiene ausili e sostegni finalizzati alla permanenza stessa. E l’efficacia che la tecnologia trasuda, sembra a volte attenuare la rilevanza sostanziale degli scambi di messaggi (che non sono soltanto contenuti, ma anche tono, espressione, ambiguità….).
Se ti metti al calduccio elettrico della tecnologia e lo scambio fatto attraverso strumenti si riduce all’utilizzo di quegli strumenti stessi, sembra non debba esserci alcuna necessità perchè io mantenga una relazione significativa con l’altra persona che condivide con me lo scambio. La nostra relazione si esaurisce nell’effettualità superficiale dell’azione di contatto: mi dai informazioni? eccole! che altro dovrebbe esserci? la ‘cosa’ ha funzionato, le ‘cose’ sono arrivate, il prof. è stato gentile,….ma un ulteriore risposta, priva di oggetto concreto e finalizzata a chiudere (stringere la mano, abbracciare), non rientra fra le azioni significative.
magari esagero.
v
Ricordo che secoli fa, quando è stato introdotto il casello autostradale automatico, un amico di mio padre tutte le volte che la voce femminile gli diceva “Arrivederci e grazie” rispondeva (in automatico pure lui) “Grazie a lei, arrivederci”.