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Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Identità: due domande, tre ipotesi, un’oscillazione

Photo by Jackod (2010)

Prima le due domande, poi le tre ipotesi, e infine un’oscillazione, per chiudere.

Due domande

  • Perché si ripresentano discussioni sull’identità?
  • E quali caratteristiche sembra cogliere la dialettica identitaria nella cooperazione sociale?

Perché di nuovo?

Quanto al ciclico manifestarsi del dibattito sembrano accennabili tre ipotesi.

Identità come scudo

La prima ipotesi presenta l’identità come il luogo dal quale rispondere all’insicurezza e all’instabilità con modalità difensive. Touraine (1983) segnala un impiego strumentale e retorico degli appelli all’identità. Nei frangenti di complessità il richiamo all’identità segnalerebbe resistenza ai cambiamenti.
Rimarcando le caratteristiche distintive, rinserrandosi e negando la possibilità di scambi evolutivi, compattando il legame del gruppo, costituendo sistemi raccordo esclusivi e forme di capitale sociale autoreferenziale (Ecchia e Zarri, 2005) si costituirebbero condizioni di mobilitazione sociale e di aggregazione reattiva. Reazioni di contrapposizione a fattori di pressione sociale che aiutano ad affermarsi, a resistere o almeno a cedere terreno palmo a palmo.
Gli appelli all’identità potrebbe contribuire a sorreggere disposizioni difensive e vantaggi acquisiti, ma anche promuovere affermazioni legittime, di contrasto a pressioni o derive avvertite come perdite di valore e di presidio di condizioni reputate non negoziabili. Gli usi difensivi racchiuderebbero così una miscela di difese posizionali e di conflitti affermativi.
Nelle fasi percepite come minacciose, il meccanismo di rafforzamento identitario sembra contribuire a forme ordinamento e semplificazione delle posizioni in campo (noi siamo di qui, voi siete di là). Il prevalere di compattamenti farebbe diminuire lo sforzo per districare e ricomporre ambivalenze, finendo ostacolare l’elaborazione di visioni del mondo e riferimenti valoriali mediante processi di confronto e di dialogo fra i soggetti.
Identità come riaffermazione difensiva.

Identità come defrag

Una seconda ipotesi sembra considerare l’identità come discorso interno responsabile che si sviluppa per trattare le molteplici pressioni che provengono dai diversi interlocutori, individui o organizzazioni, con cui si interagisce. Ragionare sull’identità comporta riformulare rappresentazioni ordinate e coerenti, impegnandosi ad ascoltare le nuove richieste poste dagli stakeholder, a comporre le sollecitazioni che scaturiscono dal contatto con gli interlocutori che “premono e invadono le imprese” (Hatch e Schultz, 2004).
Se attraverso il discorso sull’identità si ripone – o ci si libera – del vecchio, per fare spazio al nuovo, il richiamo alla responsabilità consente di esaminare le richieste poste all’organizzazione. Attraverso la riconsiderazione delle responsabilità si prova a ricollegare le azioni con le domande del contesto, ri/connettendo legami sfrangiati e promuovendo nuove sintonie simboliche.
Identità come ricomposizione delle sollecitazioni.

Identità come appuntamento

In una terza prospettiva si potrebbe pensare ai discorsi sull’identità come un modo per mettere a tema le questioni che investono il presente, in concomitanza con fasi di cambiamento turbolento, quando le coordinate per orientarsi sono incerte, quando minore è la capacità di mantenere relazioni vantaggiose con l’ambiente, e quando è difficile interpretare la varietà di segnali. De Gaulejac (2005, p. 168) suggerisce di considerare «l’identità come il luogo di cristallizzazione delle contraddizioni sociali ed esistenziali»: i contesti si presentano come opachi, la realtà viene avvertita come incomprensibile e ingovernabile, il rischi di esiti potenzialmente autodistruttivi di squilibri e scelte economiche, tecnologiche e geopolitiche si estendono e si moltiplicano, la percezione è di trovarsi nell’impossibilità di definire ciò che è corretto in modo assoluto.
Il dibattito sull’identità costituisce un’opportunità: catalizza attenzione, mobilita interessi, apre possibilità di azioni parziali ma concrete, suscita ipotesi e lascia intravedere percorsi evolutivi. Mettere a tema identità e responsabilità è un modo per intraprendere movimenti visibili, rassicuranti, che alimentano la speranza. Le attività di precisazione dell’identità potrebbero venire lette come modalità per gestire la confusione e l’illeggibilità delle azioni organizzative. In questa prospettiva assume rilevanza informativa ciò che viene incluso e ciò che viene estromesso dalle discussioni e le configurazioni temporanee che le diversi posizioni promuovono (Douglas, 1996).
I dibattiti su identità possono essere interpretati come appuntamenti conversazionali, socialmente istituiti per catalizzare l’attenzione e consentire il dialogo tra attori, su rappresentazioni, comportamenti e scelte. Appuntamenti sociali deputati alla discussione e alla riflessione su cosa accade nell’organizzazione e nelle sua sfere di azione. Appuntamenti per cogliere la complessità e sfuggevolezza dei fenomeni (Day e Schemaker, 2008), per collegare ciò accade nel quotidiano e su scala locale con dimensioni globali e di maggiore ampiezza temporale. Alle organizzazioni viene chiesto di riconoscersi e ricollocarsi, di ricercare e attivare progetti, di assumere attitudini meno distratte e opportuniste. E in queste condizioni possono presentarsi componenti difensive e di rifiuto.
Identità come ricerca consapevole.

Cooperative sociali: identità critiche e costruttive?

Cooperazione sociale… quali caratteristiche colgono la dialettica identitaria della cooperazione sociale?  In sintesi una certa disposizione costruttiva e una certa attitudine critica (ecco l’oscillazione).
Un elemento che sembra rintracciabile in diverse esperienze di cooperazione sociale è la capacità di costituirsi come organizzazioni produttive e riflessive al medesimo tempo, come organizzazioni che nel fare (sino a correre il rischio di esserne travolte) e nel segnalare criticità (turbando le rappresentazioni dominanti) trovano la loro ragione distintiva. Se pensiamo al mandato conferito alle cooperative sociali dalla legge 381 del 1991, che riconoscendole ne ha promosso il ruolo, ritroviamo l’intreccio tra dimensioni operative e dimensioni propositive: imprese attente alle dimensioni economiche e contemporaneamente organizzazioni a cui viene chiesto di leggere la realtà, di cogliere pressioni e segnali di trasformazione, rischi ed evoluzioni possibili, organizzazioni non definite dalla sola ricerca di compatibilità economiche ma attente alle opportunità sociali ed economiche per i loro membri e per la collettività.
Possiamo dire che capacità di costruire e di mettere in dubbio siano ancora gli elementi che distinguono l’azione delle cooperative sociali?

Bibliositografia

Day G.S., Schemaker P.J.H., Peripheral vision. Come prestare attenzione ai segnali deboli, Isedi, Novara, 2008 (ed. or. 2006)

Douglas M., Rischio e colpa, Il Mulino, Bologna, 1996 (ed. or. 1992).

Ecchia G. e Zarri L., “Capitale sociale e accountability: il ruolo del bilancio di missione nella governance delle organizzazioni nonprofit”, in Fazzi L. e Giorgietti G. (a cura di), Il bilancio sociale per le organizzazioni non profit, Guerini e Associati, Milano, 2005, pp. 73-96.

Gaulejac de V. “Identità”, in Barus-Michel J., Enriquez E., Levy A. (a cura di) Dizionario di psicosociologia, Cortina, Milano, 2005 (ed. or. 2002), pp. 164-170.

Hatch M.J. e Schultz (ed.), Organizational Identity: A Reader (Oxford Management Readers), 2004.

Touraine A., “ I due volti dell’identità”, in Sciolla L. (a cura di), Identità. Percorsi di analisi in sociologia, Rosenberg & Sellier, Torino, 1983, pp. 155-166.

4 comments on “Identità: due domande, tre ipotesi, un’oscillazione

  1. Pingback: Identità di chi? Di quali soggetti parliamo? « Mainograz

  2. vittorio
    7 February 2012

    ….ci può anche essere un’identità, intesa come riconoscere se stessi esistenti nel mondo (essere insomma oggetto e soggetto di questa percezione e consapevolezza…), che si coglie nel momento in cui svanisce, in cui affonda in qualcos’altro, in cui passa dalla nitidezza all’opaco, in cui saltella fra i corni del dilemma, cercando di non farsi troppo male.
    Pensando, parlando e scrivendo di cooperazione sociale -‘dentro’ cui lavoro dal 1988- finisco sempre per imbucarmi in ragionamenti complicati, con poche vie d’uscita. Chi è la cooperativa? i soci? il cda? il consiglio d’amministrazione? ed il socio che lavora e pensa troppo al suo servizio, sta facendo l’interesse della cooperativa o no? e quando siamo così obbedienti con gli enti pubblici, siamo convinti o siamo ricattabili? e dove trovare oblò per prendere un po’ d’aria?
    E l’identità si da in questo andirivieni di significazioni imperfette, sempre ondeggianti, sempre sbilanciate e mai ferme. Forse non possono. Se il movimento si blocca, l’identità che permane sarebbe abbagliante. E forse a me lì dentro non mi ci vedete più.

    v

  3. Fabio Fedrigo
    7 February 2012

    Interessante questo approccio al tema dell’identità.
    Trovo che le tre ipotesi abbiano tutte una loro collocazione di senso.
    Riaffermarsi partendo da una posizione difensiva;
    Ritrovarsi e capire dove si è, ricomporre sollecitazioni ed azioni;
    Costruire e mettersi in discussione…rimettere in circolo il senso del cooperare e della cooperazione sociale.
    E fra le righe si respira un’esigenza di legalità, di sostenibilità, di ecologia sociale d’impresa…che non è la stessa cosa di impresa sociale ecologica.

    Ti ringrazio
    Un caro saluto
    Fabio

  4. Davide Vassallo
    6 February 2012

    Ciao Graziano, come sempre stimoli interessanti.
    Ritrovo spesso discussioni legate all’identità sia nelle singole cooperative che a livello consortile.
    E, come giustamente evidenzi, molti di tali dibattiti nascono dal trovarsi nel mezzo di una crisi economica e culturale (due dimensioni entrambe centrali nella cooperazione sociale).
    I movimenti oscillatori riguardano, per la mia esperienza, anche la distanza con la quale osservare costanti identitarie.
    Molto spesso si pensa all’identità in termini di frattali, ossia derivante da elementi tutti simili, che vanno a comporre un organizzazione ricalcante l’identità stessa dei singoli.
    Mi capita di pensare, invece, che l’identità rispecchi dinamiche, passami la metafora, “puntiniste”.
    Esattamente come nei dipinti del movimento artistico di fine ottocento, se guardiamo troppo da vicino (a livello di singoli individui) rischiamo di non cogliere alcuna coerenza.
    Se invece riusciamo ad osservare da una certa distanza, cogliamo alcune “macchie di colore “regolari, alcuni caratteri identintitari che riguardano valori di base, modalità di intendere e interpretare il rapporto di lavoro, letture di realtà…

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