Cos’è un laboratorio di formazione-ricerca? Quali vantaggi offre? Che impegno richiede? Ci sono controindicazioni? Ne vale la pena? E a quali condizioni?
La formazione e l’aggiornamento in contesti lavorativi sta mutando. La contrazione delle risorse e la sollecitazione ad incrementare la produttività, la consapevolezza che il tempo non deve essere sprecato – pena faticosi recuperi, la percezione di inutili giornate trascorse ad ascoltare cose solo in minima parte utili, stanno modificando gli approcci formativi. Certo rimangono sacche di formazione-intrattenimento e di formazione di sollievo, ma molte organizzazioni (e chi vi lavora) non se le possono più permettere.
Il termine è un poco frusto. Anche se conserva un nucleo attrattivo. L’idea è che la formazione avvenga in un contesto in cui sia possibile fare e pensare, e non solo ascoltare e rispondere. Il laboratorio è un posto dove si lavora, si prova e si riprova, ci si può muovere, certo ci sono regole, ma anche la possibilità di sperimentare e di sperimentarsi. Un laboratorio artigiano o un laboratorio di ricerca condividono delicati equilibri tra ordine e disordine, ma sono spazi che ammettono – a condizione di voler apprendere – la presenza attiva di persone curiose e tenaci.
L’idea è che vi sia un mix di attività formative e di attività di ricerca. Per quanto riguarda la formazione, non tutto il sapere precede gli incontri dei partecipanti. Non tutto è già pensato, scritto, e tradotto in sapere formalizzato su slides. Certo non mancano riferimenti disciplinari e quadri concettuali di orientamento. E non mancano dosi omeopatiche di lucidi. Ma uno spazio consistente è riservato allo scambio di saperi taciti, saperi che non è facile trasmettere, incapsulati in racconti (a volte confusi), non facili da estrarre e strutturare, raccontabili a condizione di mettere paziente energia nell’ascolto e nella rielaborazione.
Per quanto riguarda la ricerca poi, l’idea è che – attingendo da saperi codificati e da riflessioni sulle esperienze – possano nascere domande interessanti, questioni da approfondire, fenomeni da conoscere… E qui prende corpo la ricerca, condotta in modo partecipato, con i mezzi disponibili, cercando di mediare la scarsità della risorsa-tempo con i vincoli delle coordinate metodologiche, provando ad esplorare, a precisare meglio i costrutti e gli oggetti da indagare, avvicinando le questioni con interviste, e poi, magari con questionari. E, facendo reagire insieme ingredienti diversi, i risultati di queste ricerche focalizzate, il confronto fra punti di vista, le formalizzazioni disciplinari, scaturiscono nuove conoscenze e nuove questioni da indagare.
In avvio del laboratorio di formazione è previsto un momento di messa a punto del percorso così da proporre attività e contenuti rispondenti alle esigenze dei partecipanti. È infatti vitale condividere il format del laboratorio di formazione-ricerca con le persone che vi prendono parte, con l’obiettivo di concordare le modalità di lavoro collegiali e individuali. Chi partecipa deve sapere che:
Chi ha il compito di condurre poi, mette a disposizione supporti concreti per svolgere attività in presenza e a distanza, raccogliere interviste, trascriverle, e redigere documenti di sintesi.
La formazione-ricerca contempla sia incontri di confronto, riflessione, approfondimento, sia la progettazione e la realizzazione delle fasi di ricerca, sia l’esame delle informazioni raccolte, sia attività di lavoro a distanza (esame dei materiali, raccolta delle interviste, redazione di contributi preliminari). I vantaggi della formazione-ricerca sono diversi:
L’elenco delle criticità che si possono incontrare nell’istituire e nel condurre laboratori di formazione-ricerca non è lungo, ma i nodi non sono trascurabili:
Ci sono controindicazioni nel proporre e nel realizzare laboratori di formazione-ricerca?
Certo che sì!
I laboratori di formazione-ricerca non vanno proposti con nonchalance a persone arrabbiate con le loro organizzazioni o in condizioni di fatica professionale e stress, o in fase di disinvestimento. Si possono proporre laboratori di formazione-ricerca sia per rispondere esigenze di apprendimento individuali o personali, sia per affrontare questioni che interessano le organizzazioni, ma è necessario in avvio essere chiari sugli obiettivi che si intendo perseguire.
La partecipazione per interesse personale e la partecipazione per interesse o sollecitazione organizzativa introducono una variabile di non poco conto. Per questo, in avvio del laboratorio, è necessario esplorare le motivazioni e le prefigurazioni personali per condividerle e armonizzarle. E un lavoro di messa a punto è necessario anche in corso di realizzazione delle attività proposte.
Siamo esseri umani sociotecnologici. Indietro non si torna (salvo catastrofi planetarie). La domanda è come andare avanti.
Nei laboratori di formazione-ricerca che abbiamo condotto recentemente, abbiamo sperimentato l’uso dei social network. Abbiamo utilizzato dei blog riservati, abbiamo usato Linkedin e più recentemente Facebook. Naturalmente ci sono pro e contro in relazione alle diverse soluzioni tecnologiche. Ma ci sono alcuni aspetti che si ripresentano.
Recentemente mi sembra di notare un cambiamento nei tempi (e quindi nei modi) dell’intervento nelle organizzazioni. Che si ragioni di formazione-ricerca – con il coinvolgimento più o meno intenso dei partecipanti -, o di consulenza, o di ricerca, colgo una riconfigurazione che riassumerei così: “meno lì e più tra”.
Provo a spiegarmi.
I tempi presso i clienti o in aula si fanno più brevi e meno frequenti. Diminuisce la quantità di tempo a disposizione di incontri vis-a-vis (si va verso le sei ore effettive). Quando ci si vede è difficile disporre dell’intera giornata, non c’è un orario che possa rispondere alle esigenze di tutti. La presenza tende a frammentarsi con una sollecitazione o un richiesta di potere essere altrove. Diminuisce il tempo per trovarsi lì. Lì, in quel posto, a quell’ora, per quel tempo. Qualcuno avverte che arriverà dopo, qualcuno arriva dopo per un imprevisto, qualcuno interrompe e poi ritorna (c’era un’urgenza). Qualcuno lascia prima: deve rientrare in ufficio o non può fermarsi… Di contro cresce il “tra”: crescono attività asicrone tra un incontro e l’altro. L’attività formativa, consulenza, il confronto fra i gruppi di ricerca si dipana (per qualcuno si sfilaccia) tra un incontro e l’altro. C’è tutto un lavoro che si fa via email e sempre di più in gruppi riservati di Linkedin o di Facebook (o su piattaforme collaborative dedicate).
Quali le ragioni?
Certamente induzioni tecnologiche, ma forse da sole non spiegano tutto, forse sono concause di un mutamento più ampio nelle modalità di lavoro. Ci sono cambiamenti che sembrano avere i tratti delle evoluzioni culturali. Spesso dirigenti o responsabili non riescono a rendersi irreperibili per alcune ore. È implicito che debbano essere accessibili senza soluzioni di continuità (flat availability). Il lavoro si parcellizza e si fa multitasking [è una constatazione, lo dico senza entusiasmo né disappunto]. Tutto è attraversato da tutto. Infinite vie dei canti attraversano li territori professionali. In questo contesto non è agevole fare formazione o consulenza, anzi a loro volta queste attività contribuiscono a disarticolare la funzionalità operativa delle persone e dei gruppi. Eppure anche in questo contesto si riesce a lavorare, a ragionare e a produrre. Si sviluppano adattamenti e soluzioni innovative, più o meno apprezzate. Nella formazione una parte di lavoro, di letture, di confronto, di scambio e di scrittura si sposta negli intervalli fra un incontro e l’altro. A volte ricostruendo il filo degli istant messages si ritrovano ragionamenti sui quali tornare per un confronto ed elaborazioni successive in plenaria. I gruppi di lavoro suppliscono alle assenze, è più facile rimanere agganciati e dare contributi parziali. Insomma le trasformazioni spiazzano ma attivano, chi ha un pensiero lo può mettere a disposizione, chi trova un testo caricarlo, chi fa una foto richiamare l’attenzione… Anche il lavoro di conduzione muta, diventa un lavoro di amministratore di piccole reti di apprendimento e di pratiche. E questi spazi virtuali diventano depositi di informazioni e materiali, atrii o spazi caffè dove incontrarsi, luoghi dove trovare ascolto o riprendere fiato.
Se funzionano.
«… filmiamo, registriamo, postiamo, leggiamo costantemente nei social media nel tentativo di catturare qualcosa, qualche momento straordinario, un’esperienza o una sensazione che abbiamo paura di lasciarci sfuggire. Ma forse le cose della vita che più di tutte cerchiamo di catturare potrebbero essere proprio quelle che non si lasciano prendere. E, forse, la stessa pianificazione, la stessa efficienza, le cose che le tecnologie come Facebok cercano di diffondere e rendere a portata di mano sono più difficili da afferrare di quanto pensiamo. In tutta la nuova efficienza che scopriamo oggi, cosa abbiamo perso?»
p. 281
Losse K., Dentro Facebook. Quello che non vi hanno mai raccontato, Fazi, 2012.
«Il gruppo su Facebook è maggiormente riservato rispetto ai profili privati, perché non necessita di amicizia tra i membri. Nello spazio gruppo le persone, membri, possono condividere notizie, aggiornamenti, link e documenti. È necessario almeno un amministratore, solitamente chi apre il gruppo, e un numero limitato di utenti.
[…]
I gruppi su Facebook si identificano in tre tipologie:
- chiusi: tutti possono vedere il gruppo ma solo i membri possono vedere i post.
- aperti: Tutti possono vedere il gruppo e i post dei membri.
- segreti: Solo i membri possono vedere il gruppo e i post dei membri.»
p. 39-40
Fogarolo A., Do you speak Facebook? Guida per genitori e insegnanti al linguaggio del social network, Erikson, 2013.
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