Se diciamo partnership assumiamo che soggetti distinti, che conservano la loro autonomia, decidano di collaborare per conseguire risultati concordati e per ottenere ritorni (o vantaggi?). Quali risultati e quali ritorni (vantaggi) sono questioni che determinano la natura della partnership. E naturalmente vi possono essere diversi modelli di partnership. Prendiamo come punto di partenza lo schema esplicativo proposto da Jupp (2000, p. 14) – nella versione sotto rielaborata – nel quale vengono contrapposte due tipologie di partnership.
Il primo modello di partnership viene presentato come motivato dallo sviluppo di strategie condivise: prevarrebbe in questo caso un qualche comune interesse. Il secondo modello viene presentato invece come guidato dal vantaggio strumentale dei singoli ad accedere a risorse diversamente non raggiungibili: di comune vi è la capacità di cogliere l’opportunità, di unire le forze per poi ripartire i risultati. Nel primo modello la condivisione orienta la scelta di unire le forze, nel secondo l’opportunità di dividere i vantaggi indurrebbe alla coesione temporanea. Con effetti diversi: nel primo schema di azione si hanno evoluzioni e innovazioni (ma ci si espone anche al rischio di caos), nel secondo si ottimizzerebbe l’uso delle risorse (dovendo però affrontare il rischio opportunismi divisivi).
Due tipologie di partnership intersettoriali | Dinamica | Effetto | Rischi |
Collaborazione strategica | Differenti prospettive vengono condivise e rielaborate per sviluppare un approccio comune | Evoluzioni nelle culture organizzative e sviluppo di soluzioni inedite | Conflittualità e dispersività |
Collaborazione nella gestione delle risorse | Raccordo nell’utilizzo di risorse | Ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse | Comportamenti opportunistici |
Giocati sul registro della contrapposizione, i due modelli mentali finiscono per indurre una valutazione sul grado di altruismo espresso e a ritenere socialmente più desiderabile l’intenzione strategica rispetto a quella autointeressata. Sarà proprio così? Le partnership davvero prendono forma in uno spazio così dicotomico?
Questa rappresentazione segnala l’esigenza di interrogare le ragioni e le attese che la costituzione di una partnership determina. E, nella sua essenzialità, suggerisce l’esigenza di ulteriori indagini che restituiscano una mappa meno semplificata delle forme di collaborazione e delle filosofie di fondo che le guidano.
Un primo limite dello schema presentato da Jupp (2000) è nella contrapposizione fra la dimensione politica rispetto a quella dell’utilità. Capita che le retoriche celebrative delle partnership pongano in primo piano i risultati comuni enfatizzandoli, mentre l’esigenza di ritorni individuali venga sottaciuta, quando non acriticamente rigettata, o semplicemente rimossa. Lo schema non ammette intersezioni win-win, situazioni nelle quali al crescere di vantaggi individuali si determinano vantaggi collettivi.
Un secondo limite è quello di non segnalare la possibilità che la collaborazione strategica sia una condizione alla quale si giunge dopo avere saggiato collaborazioni opportunistiche, e avere valutato la possibilità di evolvere verso forme di maggiore integrazione degli interessi prefigurati e dei vantaggi ricercati. Non necessariamente una o l’altro modello sono i punti di partenza: potrebbero essere approdi. In effetti incontriamo collaborazioni che funzionano meglio dopo un downgrade e un riposizionamento meno palingenetico.
Proviamo allora non trasformare la rappresentazione e rimaniamo nel gioco della distinzione. Limitiamoci a disegnare una mappa più articolata (rappresentata nel quadrante che introduce questo post). Manteniamo alternativi i due schemi: interessi convergenti (raccordo di interessi particolari) versus interesse comune dei promotori di partnership, e intersechiamo questi due ‘movimenti’ con forme di partnership settoriali versus partnership intersettoriali. Si determinano così quattro quadranti:
Il quadrante A identifica gli effetti che si determinano quando cross-sector partnership sono mosse da interessi strategici, partnership che partendo da condizioni difformi concordano di affrontare questioni complesse mettendo a fattore comune la forza di ciascuno dei partner coinvolti. Si tratta di alleanze capaci di incidere. Il rischio che tali raccordi corrono è quello della dispersività.
Il quadrante B identifica gli effetti che si determinano quando cross-sector partnership si costituiscono sotto la spinta di interessi particolari. L’aggregazione è determinata dall’obiettivo di disporre di risorse e opportunità altrimenti non accessibili. Le differenze vengono messe da parte in vista del vantaggio ottenibile, o – detto altrimenti – è propio la leva della differenza che costituisce il differenziale che consente di ottenere l’accesso alle risorse. Il rischio al quale sono esposti queste aggregazioni è che prevalga la strumentalità distruttiva per l’ecosistema.
Il quadrante C identifica gli effetti che si determinano quando partnership intrasettoriali si collegano per accedere a risorse supplementari da suddividere fra le organizzazioni stesse. In questo caso il rischio è quello di operare per ottenere vantaggi di posizione individuali determinati dalla capacità di collegare interessi particolari.
Il quadrante D identifica gli effetti che si determinano quando partnership intrasettoriali si costituiscono sotto la spinta di interessi strategici di sistema. Il vantaggio non è ricercato in modo ripartitivo, ma come ritorno comune. Il rischio in questo caso è che prevalga l’autoreferenzialità rinforzata dalla consonanza di interessi messi a sistema.
Nelle due configurazioni vi è qualcosa che ricorda un approccio mutualistico e un approccio altruistico. I due schemi in effetti identificando due possibilità: una a vocazione mutualistica, nella quale la reciprocità costituisce il driver, la seconda con un orientamento prosociale prevalente volto a produrre ricadute dirette oltre il perimetro degli attori coinvolti.
Esiste una pressione sociale a considerare più meritevoli sul piano morale i soggetti che si prodigano per gli altri, rispetto a chi ricerca nella collaborazione un vantaggio esclusivo. Ma al di là della percezione comune, possiamo con certezza affermare che un interesse condiviso altruistico produca risultati migliori rispetto a reti connesse da interessi particolari dei partner?
E che si determinino maggiori opportunità per la collettività attraverso il sostegno a reti di collaborazione tra soggetti differenti rispetto a reti con interessi difformi? Dati empirici potrebbero confermare gli assunti culturali che spingono per partnership intersettoriali e anche mostrare in quali condizioni ecosistemiche promuovere configurazioni diverse di partnership per ottenere risultati, magari parziali ma evolutivi, precursori di cambiamenti significativi.
Brambilla M. e Pizzochero G., “Il ruolo del governo locale a supporto dell’innovazione sociale”, http://www.glistatigenerali.com/milano_sharing-economy/il-ruolo-del-governo-locale-a-supporto-dellinnovazione-sociale/, in Gli Stati Generali, 20 luglio 2015.
Jupp B., Working together. Creating a better enviroment for cross-sector parterships, Demos, 2000.
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