A dispetto dei desideri e dei discorsi, le organizzazioni sono luoghi-sistemi-relazioni non facilmente conoscibili.
Per fornire alcune chiavi concettuali e contribuire ad articolare la questione, scelgo e sintetizzo alcuni spunti in tema di organizzazioni dalle riflessioni che Franca Olivetti Manoukian ha sviluppato nel primo, nel secondo e nel quinto capitolo del testo – scritto a quattro mani con Cesare Kaneklin – Conoscere l’organizzazione. Formazione e ricerca psicosociologica, La Nuova Italia Scientifica, 1990.
In Conoscere l’organizzazione, nel primo capitolo dal titolo “La conoscenza dell’organizzazione”, Manoukian introduce un excursus sull’idea di organizzazione e nota come il termine ‘organizzare’ sia stato usato con significati differenti: dal formarsi degli organi, al mettere in ordine, al preparare, e con una ambiguità non risolta ‘organizzazione’ indica il processo (l’agire per organizzare) e il risultato di questo processo (l’entità organizzata). E la contrapposizione crea una tensione fra due concezioni: organizzazione come sistema chiuso e organizzazioni come sistema aperto.
Nell’uso, il termine organizzazione, tende a veicolare l’idea di razionalità dei fini, degli strumenti e delle tecnologie impiegate, delle regole vigenti, della struttura e delle connessioni fra le sue parti, dell’autorità che ne dirige l’azione. La prospettiva razionale è stata messa in discussione, sia considerando nelle organizzazioni la presenza di molteplici ed anche configgenti razionalità, sia rilevando una dimensione caotica costitutiva spesso ascritta alla dimensione sociale propria di ogni sistema organizzato.
Manoukian sottolinea poi come l’approccio psicoanalitico propenda per una concezione dell’organizzazione come sistema artificiale ordinato, costituito non solo per raggiungere obiettivi razionali ma da legami affettivi intensi e difensivi, volti a contrastare la disgregazione e a proteggere dai pericoli esterni.
L’organizzazione può essere vista come “una realtà dinamica da indagare e comprendere”.
L’organizzazione è vista piuttosto come realtà dinamica, continuamente e variamente animata da individui e gruppi, attivi al suo interno con propri interessi e comportamenti finalizzati, con strategie diverse, mutevoli nel tempo, difficilmente generalizzabili e soprattutto difficilmente riducibili a variabili dipendenti.
p. 20
Kaneklin C., Olivetti Manoukian F., Conoscere l’organizzazione. Formazione e ricerca psicosociologica, La Nuova Italia Scientifica, 1990.
Nel secondo capitolo di Conoscere l’organizzazione (1999) dal titolo “L’organizzazione nelle rappresentazioni di chi vi lavora”, Manoukian presenta due prospettive per definire e interpretare le organizzazioni.
Da chi fa parte delle organizzazioni le rappresentazioni personali finiscono per essere utilizzate in modo inconsapevole per costruire concettualizzazioni, mentre gli approcci circospetti e parziali proposti dalle recenti ipotesi epistemologiche sono difficili da accogliere come riferimenti per pensare le proprie esperienze organizzative. In questa prospettiva sono le figure intermedie che si trovano in una posizione chiave per promuovere la conoscenza dell’organizzazione: in contatto con le dimensioni individuali, possono facilitare l’integrazione di diversi punti di vista.
Da parte di chi lavora nelle organizzazioni possono venire sviluppate visioni diverse:
Chi si propone di conoscere l’organizzazione è inevitabilmente animato da una preoccupazione di esattezza, ma la conoscenza sistematica, totale, compiuta dell’organizzazione ci è sempre preclusa. Si tratta di una impossibilità strutturale, perché non dipende dai limiti dei metodi o degli strumenti conoscitivi adottati, ma piuttosto all’opacità ineliminabile dei sistemi organizzativi, che sono conoscibili solo per approssimazione, sia che si parta da un’opzione epistemologica debole e parziale, che da una forte e razionale. Da una parte infatti c’è uno scarto tra i l’organizzazione esperita, e la traducibilità in racconto dell’esperienza stessa; dall’altra c’è lo scarto operato dalla necessità di ridurre questi racconti ad elementi formalizzati (obiettivi, funzioni, ruoli, norme, procedure…).
Manoukian nota come – confrontando le rappresentazioni che dell’organizzazione danno coloro che vi lavorano e coloro che la studiano – sembrerebbero emergere quattro questioni centrali, che ricorrono in tutte le rappresentazioni:
Una delle questioni che emerge dai racconti dell’organizzazione di coloro che vi lavorano e di coloro che la studiano emerge l’idealizzazione dell’organizzazione, descritta come sistema ordinato, armonico e razionale, capace di comporre positivamente le posizioni degli individui che vi fanno parte. Da cosa ipotizza possa dipendere questa idealizzazione, e quale funzione assolverebbe? Probabilmente è l’esito di un processo di attribuzione di qualità positive a un’entità buona, necessario per poter sopportare e contenere le tensioni e inquietudini generate dall’interazione continua con una realtà organizzativa esperita come difficile e spesso negativa. Si tratta quindi di un diaframma che filtra la conoscenza dell’organizzazione: distorce e distanzia, e allo stesso tempo permette la conoscenza del fenomeno.
Un elemento di convergenze nelle rappresentazioni dell’organizzazione, è che le organizzazioni sollecitano i singoli ad investire e mobilitare energie per compiere delle azioni.
In sintesi, secondo Manoukian, tre sono le strategie di risposta
Provo a fare interagire alcuni spunti spunti dai tre capitoli per individuare qualche indicazioni a proposito dell’approccio proposto dalla psicosociologia.
Lo psicosociologo tenta piuttosto di muoversi tra i problemi e i fatti organizzativi con un armamentario conoscitivo composito e sofisticato, che gli permette connessioni e intuizioni interpretative assai suggestive, ma al tempo stesso incomplete, parziali, provvisorie: non estraneo, ma neppure appartenente all’organizzazione, con un ruolo che richiede di essere via via definito e legittimato, a fronte delle difficoltà denunciate nelle situazioni organizzative, cerca di costruire ogni volta una conoscenza dell’organizzazione con coloro che in essa operano, una conoscenza di cui essi stessi possano servirsi. La sua è una presenza-segnale che invita chi fa parte dell’organizzazione a rivisitare la propria conoscenza: conoscenza repressa, inibita, attenta solo ad alcuni aspetti dei problemi, orientata e disorientata dalle proprie attese.
p. 26
Kaneklin C., Olivetti Manoukian F., Conoscere l’organizzazione. Formazione e ricerca psicosociologica, La Nuova Italia Scientifica, 1990.
Nel primo capitolo di Conoscere l’organizzazione (1999) dal titolo “La conoscenza dell’organizzazione”, Manoukian fornisce una descrizione dell’approccio psicosociologico.
L’approccio psicosociologico coinvolge continuamente il ricercatore-formatore-consulente nelle vicende organizzative in qualità di osservatore, attore, interprete. L’organizzazione è un campo di intervento d’elezione. Se per gli psicoanalisti è centrale il rapporto con gli individui e per i sociologi l’organizzazione è un oggetto di studio, per chi pratica approcci psicosociologici si tratta di avvicinare l’organizzazione sviluppando conoscenze parziali, progressive, legittimate, utilizzabili. Collocarsi nella prospettiva psicosociologica significa prestare attenzione ai soggetti, al contesto, ai problemi, alle proprie emozioni, sviluppando indagini su aspetti spesso trascurati, esplorando con curiosità per costruire significati che le persone e le organizzazioni possono considerare.
A volte si immagina di poter intervenire sull’organizzazione intervenendo sulla sua cultura, finendo però per rimanere in superficie e promuovere slogan che non toccano le dimensioni profonde che fondano l’agire organizzativo. Diversi i riferimenti possono essere utilizzati per entrare in contatto con le realtà organizzative e sviluppare processi di ricerca. Nel secondo capitolo “L’organizzazione nelle rappresentazioni di chi vi lavora”, Manoukian suggerisce uno strumento dinamico per promuovere la conoscenza delle organizzazioni: l’uso delle metafore, che condensano conoscenze culturali e possono venire utilizzate come strumenti per esplorare le realtà organizzative e per costruire nuove rappresentazioni.
Nelle conclusioni del capitolo 5, Manoukian introduce due possibili opzioni epistemologiche di conoscenza dell’organizzazione: conoscere “per eccesso” o conoscere “per difetto” le organizzazioni. Manoukian opta per il secondo paradigma: la conoscenza “per difetto”, centrata su aspetti contingenti e parziali, su indizi sparsi e incerti, piuttosto che su di una ricerca sistematica di spiegazioni e prescrizioni forti, fondate su razionalità condivise. Qualsiasi conoscenza delle organizzazioni è sempre un’approssimazione. E la consapevolezza di partire sempre da un non-sapere, da un’insufficienza della propria competenza consente di permanere in una postura di ricerca, in uno sforzo di comprensione ed elaborazione di pensiero e di ridefinizione continua dei problemi in gioco e di nuove ipotesi di lettura.
Pensando al lavoro di ricerca che va sviluppandosi nel corso di Psicosociologia viene da chiedere alle persone che incontreremo nelle organizzazioni che stiamo avvicinando per condurre una ricerca conoscitiva, quali siano le loro idee delle loro organizzazioni, con quali metafore le descriverebbero. Rappresentazioni a partire dalle quali avviare l’indagine conoscitiva.
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