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Per farlo accenno a due format che utilizzo nel mio lavoro. Uno è il format del corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni (Laurea Magistrale in Psicologia dei Processi Sociali, Decisionali e dei Comportamenti Economici, Università Bicocca), l’altro è il format dei laboratori di formazione sulla scrittura 2.0 nelle organizzazioni. Due format… formativi [e adesso che ho scritto ‘format formativi’ mi sembra già che condividano qualcosa con i format dei programmi di intrattenimento… già, ma cosa?].
Ho mantenuto il format per la conduzione del corso messo a punto Marco Brunod e da Monica Colombo negli anni accademici 2004/2005 e 2005/2006. Dal 2006/2007 lo ripropongo a mia volta. Negli anni ho sperimentato alcune modifiche … ma sostanzialmente non ho cambiato l’impostazione che è la seguente:
Il corso di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni si svolge nel secondo semestre (marzo, aprile, maggio), le lezioni previste sono ventuno e quest’anno si tengono il martedì mattina e venerdì pomeriggio.
Per presentare il format base di laboratori di formazione di una o più giornate, utilizzo l’esempio di un intervento formativo che sto progettando sulla responsabilità d’impresa e sugli adempimenti previsti dal decreto legislativo 231/2001. Questa l’impalcatura portante della proposta formativa rivolta al consiglio di amministrazione e alle figure di coordinamento di una impresa sociale:
Considerando la struttura portante del formar, tendo a riprodurre due elementi: cerco di partire da una attivazione esperienziale delle persone che partecipano, in modo che le persone entrino nel tema sufficientemente ’emozionate’, avendo rievocato riferimenti personali ai quali collegare le informazioni che propongo. A seguire presento i quadri concettuali con un approccio frontale. A cui segue una nuova attivazione su problemi concreti che si incontrano nelle esperienze di lavoro. Chiudo con una sintesi che punta a riepilogare i contenuti e a collegare le riflessioni e gli spunti emersi.
La sequenza come si vede parte dalle esperienze, introduce informazioni, chiede la connessione fra informazioni e situazioni organizzative, si conclude presentando nuovi contenuti ordinati riferibili alla specifica situazione organizzativa. Oltre a questa sequenza ‘esperienza > teoria > impatto > indicazioni organizzative’, un secondo aspetto riguarda le modalità di lavoro ‘coinvolgimento > esposizione frontale > coinvolgimento > sintesi frontale’. Riassumendo in generale evito di partire da presentazioni frontali e mi sforzo di agganciare qualsiasi contenuto alle esperienze personali e organizzative dei partecipanti. Questo è il format di riferimento per la singola giornata, che collego, in occasione di interventi più lunghi, in un disegno che punta ad introdurre attività pratiche nei momenti di lavoro, sviluppabili sia in plenaria che in sottogruppi.
Il format è una ricetta.
Se dico format non penso solo l’elenco delle cose da fare, ma alla struttura che articola le parti (intenzioni, contenuti, regia di conduzione), accompagnata dalle regole che consentono di mettere in relazione, di far interagire, le parti stesse. Un format è un piano di lavoro corredato da indicazioni di sviluppo e di collegamento fra le parti. Si potrebbe dire che un format è un metamodello (un gioco, con le sue regole e le molteplici varianti). Il format è dunque un formato dinamico, un sistema di regole e di varianti.
Il format è un sistema.
Provando a smontarlo si possono cogliere le intricate interazioni che lo rendono specifico, ma in genere un format non facile da smontare. Come per la materia serve molta energia e il risultato può non essere desiderabile: smontandolo lo si distrugge. Per questo un format è un sistema complesso. I format ammettono varianti, ma c’è un nucleo (un’identità?) che tende a permanere nelle variazioni (un identità che sfugge?).
Il format è una configurazione generativa.
Rispetto alla formazione, il format non è un percorso e non è un’edizione, è piuttosto una configurazione stabile che può essere ripetuta, una matrice base, generativa, che contiene gli elementi salienti e le istruzioni per collegarli fra loro, per questo facilita le variazioni. Il format è un modo per collegare struttura e processo.
La formalizzazione dei know-how (non necessariamente l’accessibilità), sapere come fare le cose e sapere che se le fai in quel determinato modo riescono bene, porta ai risultati apprezzabili, guida le attività di preparazione e di conduzione e fa risparmiare tempo. Per questo i format di successo hanno un certo valore commerciale, in particolare se nessuno li può copiare, cioè se per usarli deve pagare. Nei casi sopra illustrati si tratta di open format, liberamente utilizzabili e migliorabili. Ma nel caso di format televisivi, di format radiofonici, o di format commerciali come quelli usati nella grande distribuzione (Sansone, 2002) il valore economico (dato da creatività ed efficacia operativa che si trasforma in ritorno economico) è evidente e tutelato.
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