Un post di sintesi per ricapitolare come le tecnologie digitali sono state introdotte intenzionalmente (e come si sono inserite creativamente) nell’ambito di un corso universitario e per considerare le questioni relative alla costruzione di conoscenze e all’apprendimento, e al ruolo più o meno consapevole delle tecnologie in questi processi.
Questo settimo post, conclusivo del ciclo Unizombie 1-7, è stato scritto attingendo dalle esperienze dagli autor* dei post U/1 e U/3: Graziano Maino, U/2: Nicola Locatelli, U/4: Stefano Ferrinda, U/5: Alessandra Sacino, U/6: Emanuele Amato.
Il titolo del ciclo di post prende spunto da una provocazione. In un convegno sull’innovazione tecnologica un relatore ha affermato che nelle università italiane si aggirano degli zombie (non era chiaro se si riferisse ai docenti, agli studenti, o a tutti quanti). Ci è parso che la provocazione potesse essere presa come una sollecitazione di ricerca e abbiamo provato a considerare l’esperienza dell’insegnamento di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni, tenutosi tra marzo e maggio 2012, presso il corso di Laurea magistrale in Psicologia dei processi decisionali e dei comportamenti economici della Facoltà di Psicologia dell’Università Bicocca di Milano (se siete curiosi di scoprire i dettagli leggete il post U/2).
Uno degli apprendimenti di questo percorso è stato quello che ci ha fornito la consapevolezza che le tecnologie sono sempre piegate dalle organizzazioni sul loro modello di esigenze e sulle loro rappresentative a riguardo. I dati esperienziali che abbiamo raccolto a riguardo provengono una serie distinta di livelli di analisi:
La tecnologia che invade gli spazi di formazione universitaria ha modificato il rapporto tra docenti e studenti? A tal proposito una riflessione che è stata raccolta in unizombie è quella che durante le lezioni si deve instaurare un nuovo rapporto di fiducia perché il docente entrando in aula si trova di fronte una serie di schermi alzati, schermi che possono esser visti sia come barriere che come finestre. In questa nuova relazione, nella quale entrano come terzo incomodo pc, tablet e smartphone i docenti devono fidarsi di più degli studenti per evitare di credere che dietro a quegli schermi gli studenti si stiano facendo i fatti propri invece di seguire. Anche nella direzione opposta, dallo studente al docente cambia la relazione, restituendo a chi ascolta la lezione un potere in più, il potere di verificare, integrare e ampliare le proprie riflessioni attraverso gli strumenti tecnologici e il filo invisibile della connessione wifi.
La tecnologia fornisce però anche ai docenti dei nuovi poteri, nuovi poteri in quanto a possibilità di sfruttare gli strumenti durante la lezione, nella quale può inserire animazioni, video e correggere la presentazione on site, ma anche nuovi poteri in quanto a modalità di condivisione, grazie alle mail, ai gruppi Facebook, a Dropbox ai file transfer protocol e a tutti gli strumenti di comunicazione immediata come le chat o Skype, il docente può stringere relazioni più profonde e più partecipative con gli studenti (sempre che lo voglia).
In questa relazione la tecnologia è un’arma a doppio taglio per tutti. Abbiamo già detto del rischio di cancellare i confini tra lo spazio e il tempo del lavoro e quello della vita privata ma, nel rapporto di formazione, la tecnologia se sfruttata male può limitare i gradi di libertà dei partecipanti. Sappiamo tutti quanto siano noiose lezioni di due ore con la lettura di slide proiettate e quanto questo tipo di performance allontani lo studente dalla materia, facendolo annoiare e non appassionare.
Di seguito cito testualmente alcune delle riflessioni che che sono nate a partire dal lavoro auto-riflessivo e dalla scrittura dei post.
Le tecnologie sono consapevoli? In U/4: Stefano Ferrinda parla di nove mix tecnologici, ma quanta consapevolezza c’è dietro l’uso delle tecnologie? Quanto invece è stato usato solo perché gli studenti erano abituati ad usarlo già per le altre attività che svolgevano? Ormai le tecnologie sono estremamente radicate nelle nostre vite lavorative e private, e usarle sta diventando un comportamento inconsapevole ed automatico. Il fatto che le tecnologie stiano diventando un abitudine deve però far riflettere sul loro uso consapevole che diventa necessario per sfruttare al massimo le potenzialità tecnologiche.
Alessandra Sacino, U/5: “ Quel che trovo interessante da riconsiderare è l’idea che usare tecnologie sia dato per scontato. Nessuno ha chiesto “Usiamo qualche strumento?”. Ci si è invece chiesti “Quali strumenti ci servono? Quali i più adatti al nostro lavoro? Quali vantaggi e rischi ci sono?”.
Le tecnologie offrono un medium entro il quale calmare i toni della discussione? Le tecnologie possono essere utili per svolgere una mediazione tra chi vuole risolvere delle questioni spinose con dei colleghi? Con la creazione di un ambiente ad hoc è più facile smussare gli angoli e risolvere questioni in sospeso ma è altrettanto facile che questo ambiente ad hoc sia causa di litigi e discussioni.
Le tecnologie sono uno strumento che alza o che abbassa barriere? Probabilmente entrambe le cose, si abbassano le barriere tra lavoro e vita privata (siamo davvero disposti a essere sempre reperibili per del lavoro online? È giusto essere contattati alle più diverse ore della giornata (e oltre)? Qual è la linea di demarcazione tra spazio privato e spazio comune dentro un social network? Inoltre, La tecnologia come funziona nell’interazione tra le persone?
Emanuele Amato, U/6: “quella del video è stata un’idea veramente bella e che è sfruttabile in un’infinità di modi, ma dovrebbe essere poi integrata con un’interazione vis-a-vis su questioni e domande da esaminare con i creatori del video, un video può catturare ma anche ‘tenere a distanza’ se non è lo spunto per un dibattito.”
Una comunità informale di studenti è già attiva e si alimenta automaticamente, è auspicabile che le comunità si allarghino e si ramifichino anche in direzione dei docenti?
Quale ruolo può avere la scrittura 2.0 nella pratica lavorativa del consulente, può fornire uno dei necessari spazi di auto ed etero-riflessione?
Martini F., “Apprendere discutendo in rete”, in Pontecorvo C. (a cura di), Discorso e apprendimento. Una proposta per l’autoformazione degli insegnanti, Carocci, 2005, pp. 172-180.
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A mio parere non basta la partecipazione, il coinvolgimento e l’interattività. Senza tener conto della “spensieratezza” o “teatralità” del rapporto insegnante-alunni, che non so fino a che punto si svincola dalla sua rappresentazione odierna per entrare in un contatto davvero genuino e interessato all’altro più che alla conoscenza in sé. Noi siamo produttori continui di conoscenza e la discussione dei contenuti ci può stare, ma solo per un breve tempo, il resto (a mio parere) dovrebbe essere una discussione collettiva in cui non ci sono alcuni timori, né di sbagliare, né di essere criticati, né di criticare e modificare anche la conoscenza che i libri ci forniscono (specie in campo psicologico).
Spero che la figura del docente sia sempre più un mezzo attrattivo per gli studenti del nuovo millennio. Finora pochi docenti universitario hanno veramente attirato la mia attenzione, perchè hanno sempre usato mezzi di divulgazione standard e/o meccanici. Spero che ciò cambi e che si instauri un mezzo di comunicazione più partecipato, dato da un docente in grado di attrarre l’attenzione con il suo carisma e per la sua competenza. Basta con le slide proiettate per 2 ore che ti fanno perdere l’attenzione!!!
L’università deve essere viva!!! Non morta!!!
Ragazzi, che post!