Mainograz

Pensieri, esplorazioni, ipotesi. Un confine incerto tra personale e professionale.

Unizombie 7/7 – Cosa abbiamo imparato da questa esperienza? #psunimib13

Questo è il settimo di sette post

Un post di sintesi per ricapitolare come le tecnologie digitali sono state introdotte intenzionalmente (e come si sono inserite creativamente) nell’ambito di un corso universitario e per considerare le questioni relative alla costruzione di conoscenze e all’apprendimento, e al ruolo più o meno consapevole delle tecnologie in questi processi.

Questo settimo post, conclusivo del ciclo Unizombie 1-7, è stato scritto attingendo dalle esperienze dagli autor* dei post U/1U/3: Graziano Maino, U/2: Nicola LocatelliU/4Stefano Ferrinda, U/5Alessandra Sacino, U/6: Emanuele Amato.

Unizombie?

Il titolo del ciclo di post prende spunto da una provocazione. In un convegno sull’innovazione tecnologica un relatore ha affermato che nelle università italiane si aggirano degli zombie (non era chiaro se si riferisse ai docenti, agli studenti, o a tutti quanti). Ci è parso che la provocazione potesse essere presa come una sollecitazione di ricerca e abbiamo provato a considerare l’esperienza dell’insegnamento di Psicosociologia dei gruppi e delle organizzazioni, tenutosi tra marzo e maggio 2012, presso il corso di Laurea magistrale in Psicologia dei processi decisionali e dei comportamenti economici della Facoltà di Psicologia dell’Università Bicocca di Milano (se siete curiosi di scoprire i dettagli leggete il post U/2).

Quale ruolo per le tecnologie nel funzionamento delle organizzazioni che apprendono?

Uno degli apprendimenti di questo percorso è stato quello che ci ha fornito la consapevolezza che le tecnologie sono sempre piegate dalle organizzazioni sul loro modello di esigenze e sulle loro rappresentative a riguardo. I dati esperienziali che abbiamo raccolto a riguardo provengono una serie distinta di livelli di analisi:

  • Le rappresentazioni delle tecnologie presenti nelle organizzazioni al centro della nostra ricerca conoscitiva: ogni organizzazione incontrata, aveva una differente rappresentazione delle tecnologie e di come usarle. Ad esempio nella scuola in ospedale, le comunicazioni con il plesso non funzionano in modo ottimale, gli insegnanti devono recarsi presso la segreteria scolastica, sita in un edificio distante più di un chilometro, per ritirare le copie cartacee delle circolari. Al contrario la comunicazione con tutte le altre figure professionali presenti in ospedale, sia mediche che docenti, avviene comodamente via mail, anche se il messaggio viaggia per poche centinaia di metri da un ufficio all’altro di uno stesso edificio. E’ molto significativo il fatto che uno strumento di comunicazione a distanza abbia maggiore uso a distanze brevi (e brevissime) colmabili a piedi in pochi istanti e invece non venga preso in considerazione quando si renderebbe davvero utile per evitare spreco di risorse e tempo per recarsi a distanze maggiori per ricevere comunicazioni in formato cartaceo.
  • La rappresentazione delle tecnologie nell’organizzazione temporanea: a questo livello di analisi può essere importante ricordare  la necessità di tecnologie che aiutassero a colmare le distanze all’interno dei gruppi di ricerca formati da persone per le quali era un costo non indifferente trovare spazi di lavoro in presenza, diversi da quelli programmati per le lezioni. Questo senso di necessità può rappresentare una chiave di lettura per capire se le tecnologie si sono imposte o se sono state scelte. Nella maggior parte dei gruppi le tecnologie si sono in realtà scelte da sole, senza creare vincoli impositivi molto forti ma senza nemmeno essere scelte con criteri espliciti e vagliando diverse possibilità. Un esempio centrale è l’uso del gruppo chiuso su facebook, che si è presentato come elemento di scelta automatica in molti dei gruppi, senza considerare due fattori diversi: innanzitutto non tutti i membri avevano un account attivo e quindi si sono visti “costretti” a riattivarlo o a sottoscriverne uno nuovo e inoltre esistono degli strumenti dedicati che si sarebbero potuti sfruttare più proficuamente tenendo presente che facebook mescola molto (troppo?) vita privata e vita lavorativa (sempre che abbia un senso separarle).

    SocialApocalipse

  • Ma facebook si può usare come strumento di lavoro? Uno dei temi emersi è stato quello del dualismo utilità versus invadenza. Uno dei pregi di Facebook è quello di contenere molte parti della nostra vita: ci sono gli amici, ci possono essere degli svaghi, ma il lavoro? Facebook non nasce certo come strumento dedicato ai gruppi di lavoro, ma proprio la capacità di racchiudere in un solo spazio differenti dimensioni esistenziali lo rende un mezzo potente. Al lato opposto della barricata ci sta anche il timore e la preoccupazione che si palesa con questa frase: “ma io mi trovavo a rispondere a messaggi facebook e a contattare i colleghi a tutte le ore del giorno e della notte.” Forse proprio l’aspetto multi sfaccettato di facebook lo rende troppo invadente, e tende a cancellare gli spazi del lavoro intesi classicamente spostando l’impegno cognitivo verso le attività produttive in orari della giornata che solitamente le persone dedicano ad altro.
  • Come vengono sviluppati i materiali di lavoro nei gruppi virtuali? Ci si è resi conto che per scrivere a più mani poteva essere molto utile un altro tipo di strumento che consentisse modifiche on-line e garantisse un salvataggio su una linea temporale delle modifiche. Alla ricerca di uno strumento come questo si è pensato a dropbox e si è poi approdati a google docs (qui un post interessante per capire di cosa si parla) tralasciando sicuramente altri supporti che sarebbero stati molto utili (migliori?)  Alla fine di questo percorso siamo poi tornati a facebook, perché le tecnologie non sono statiche ma sono dinamiche e fluide, e si adattano alle esigenze dei loro utenti, tant’è che anche nel gruppo chiuso ora si può condividere un documento e modificarlo on line, caricare file e avere uno storico degli interventi fatti dai partecipanti.

    ZombieMedia

Didattica universitaria e trasformazione del rapporto docente-studente

La tecnologia che invade gli spazi di formazione universitaria ha modificato il rapporto tra docenti e studenti? A tal proposito una riflessione che è stata raccolta in unizombie è quella che durante le lezioni si deve instaurare un nuovo rapporto di fiducia perché il docente entrando in aula si trova di fronte una serie di schermi alzati, schermi che possono esser visti sia come barriere che come finestre. In questa nuova relazione, nella quale entrano come terzo incomodo pc, tablet e smartphone i docenti devono fidarsi di più degli studenti per evitare di credere che dietro a quegli schermi gli studenti si stiano facendo i fatti propri invece di seguire. Anche nella direzione opposta, dallo studente al docente cambia la relazione, restituendo a chi ascolta la lezione un potere in più, il potere di verificare, integrare e ampliare le proprie riflessioni attraverso gli strumenti tecnologici e il filo invisibile della connessione wifi.

La tecnologia fornisce però anche ai docenti dei nuovi poteri, nuovi poteri in quanto a possibilità di sfruttare gli strumenti durante la lezione, nella quale può inserire animazioni, video e correggere la presentazione on site, ma anche nuovi poteri in quanto a modalità di condivisione, grazie alle mail, ai gruppi Facebook, a Dropbox ai file transfer protocol e a tutti gli strumenti di comunicazione immediata come le chat o Skype, il docente può stringere relazioni più profonde e più partecipative con gli studenti (sempre che lo voglia).

In questa relazione la tecnologia è un’arma a doppio taglio per tutti. Abbiamo già detto del rischio di cancellare i confini tra lo spazio e il tempo del lavoro e quello della vita privata ma, nel rapporto di formazione, la tecnologia se sfruttata male può limitare i gradi di libertà dei partecipanti. Sappiamo tutti quanto siano noiose lezioni di due ore con la lettura di slide proiettate e quanto questo tipo di performance allontani lo studente dalla materia, facendolo annoiare e non appassionare.

Riflessioni, apprendimenti dall’esperienza

Di seguito cito testualmente alcune delle riflessioni che che sono nate a partire dal lavoro auto-riflessivo e dalla scrittura dei post.

  • Le tecnologie sono consapevoli? In U/4: Stefano Ferrinda parla di nove mix tecnologici, ma quanta consapevolezza c’è dietro l’uso delle tecnologie? Quanto invece è stato usato solo perché gli studenti erano abituati ad usarlo già per le altre attività che svolgevano? Ormai le tecnologie sono estremamente radicate nelle nostre vite lavorative e private, e usarle sta diventando un comportamento inconsapevole ed automatico. Il fatto che le tecnologie stiano diventando un abitudine deve però far riflettere sul loro uso consapevole che diventa necessario per sfruttare al massimo le potenzialità tecnologiche.

  • Alessandra Sacino, U/5: “ Quel che trovo interessante da riconsiderare è l’idea che usare tecnologie sia dato per scontato. Nessuno ha chiesto “Usiamo qualche strumento?”. Ci si è invece chiesti “Quali strumenti ci servono? Quali i più adatti al nostro lavoro? Quali vantaggi e rischi ci sono?”.

  • Le tecnologie offrono un medium entro il quale calmare i toni della discussione? Le tecnologie possono essere utili per svolgere una mediazione tra chi vuole risolvere delle questioni spinose con dei colleghi? Con la creazione di un ambiente ad hoc è più facile smussare gli angoli e risolvere questioni in sospeso ma è altrettanto facile che questo ambiente ad hoc sia causa di litigi e discussioni.

  • Le tecnologie sono uno strumento che alza o che abbassa barriere? Probabilmente entrambe le cose, si abbassano le barriere tra lavoro e vita privata (siamo davvero disposti a essere sempre reperibili per del lavoro online? È giusto essere contattati alle più diverse ore della giornata (e oltre)? Qual è la linea di demarcazione tra spazio privato e spazio comune dentro un social network? Inoltre, La tecnologia come funziona nell’interazione tra le persone?

  • Emanuele Amato, U/6: “quella del video è stata un’idea veramente bella e che è sfruttabile in un’infinità di modi, ma dovrebbe essere poi integrata con un’interazione vis-a-vis su questioni e domande da esaminare con i creatori del video, un video può catturare ma anche ‘tenere a distanza’ se non è lo spunto per un dibattito.”

Guardando al 2013 quali risposte dareste voi?

Una comunità informale di studenti è già attiva e si alimenta automaticamente, è auspicabile che le comunità si allarghino e si ramifichino anche in direzione dei docenti?

Quale ruolo può avere la scrittura 2.0 nella pratica lavorativa del consulente, può fornire uno dei necessari spazi di auto ed etero-riflessione?

Riferimenti bibliografici:

Martini F., “Apprendere discutendo in rete”, in Pontecorvo C. (a cura di), Discorso e apprendimento. Una proposta per l’autoformazione degli insegnanti, Carocci, 2005, pp. 172-180.

About nlocatelli

Laureato Magistrale in Psicologia dei Processi Sociali, Decisionali e dei Comportamenti Economici presso la Facoltà di Psicologia dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca, vivo a Bergamo, mi interesso di consulenza, intervento e sviluppo organizzativo, amo la montagna e il mio cane. Sto svolgendo un il tirocinio professionalizzante per iscrivermi all'esame di stato.

5 comments on “Unizombie 7/7 – Cosa abbiamo imparato da questa esperienza? #psunimib13

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  3. Alessandro
    27 March 2013

    A mio parere non basta la partecipazione, il coinvolgimento e l’interattività. Senza tener conto della “spensieratezza” o “teatralità” del rapporto insegnante-alunni, che non so fino a che punto si svincola dalla sua rappresentazione odierna per entrare in un contatto davvero genuino e interessato all’altro più che alla conoscenza in sé. Noi siamo produttori continui di conoscenza e la discussione dei contenuti ci può stare, ma solo per un breve tempo, il resto (a mio parere) dovrebbe essere una discussione collettiva in cui non ci sono alcuni timori, né di sbagliare, né di essere criticati, né di criticare e modificare anche la conoscenza che i libri ci forniscono (specie in campo psicologico).

  4. Marino Zilla
    24 March 2013

    Spero che la figura del docente sia sempre più un mezzo attrattivo per gli studenti del nuovo millennio. Finora pochi docenti universitario hanno veramente attirato la mia attenzione, perchè hanno sempre usato mezzi di divulgazione standard e/o meccanici. Spero che ciò cambi e che si instauri un mezzo di comunicazione più partecipato, dato da un docente in grado di attrarre l’attenzione con il suo carisma e per la sua competenza. Basta con le slide proiettate per 2 ore che ti fanno perdere l’attenzione!!!

    L’università deve essere viva!!! Non morta!!!

  5. Mainograz
    24 March 2013

    Ragazzi, che post!

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